Konstantin Vasilyev (Maykop, Urss, 1942 – Kazan, 1976) – Federico Barbarossa
Seconda guerra mondiale. Le grandi giornate - Stalingrado (02)
di Mauro Lanzi
2. Barbarossa
Il nome del grande imperatore Svevo, interprete di una visione comunque affascinante, anche se a noi avversa, di un impero universale, appare assolutamente incongruo per denominare un’operazione proditoria, subdola e sanguinaria come fu l’attacco tedesco alla Russia; ma tant’è, Hitler, che in certi momenti si credeva persino una reincarnazione di Federico il Grande, pensava di poter riscrivere a modo suo la storia della Germania.
L'idea di un attacco contro la Russia non era nata, nella mente di Hitler, come una decisione repentina, ma era venuta delineandosi nel tempo, a partire dal giugno 1940, era stata deliberata nel dicembre dello stesso anno, ed era assolutamente coerente con la sua visione politica generale, già delineata nel Mein Kampf; per la Germania i territori ad est erano lo sfogo naturale nella ricerca di un “Lebensraum”.
Dall’altra parte, per tutto il corso del conflitto in Grecia ed Jugoslavia, l’atteggiamento della Russia era rimasto indecifrabile: continuano i rapporti diplomatici con Berlino, improntati alla massima cordialità, anche se le iniziative tedesche nei Balcani, zona tradizionalmente seguita con attenzione dalla Russia, non erano viste di buon occhio; Stalin rimane convinto nonostante tutto, della validità del patto con la Germania, forse ritiene di avere più tempo, forse crede che Hitler sia frenato dai proficui interscambi tra i due paesi, forse non vuole credere alla possibilità di uno scontro armato, perché conscio dell’impreparazione dell’Armata Rossa, soprattutto dopo le devastanti “purghe”, che avevano decimato gli alti gradi dell’esercito.
Così accoglie con scetticismo i dati forniti dall’intelligence inglese, che segnalava da tempo i preparativi in corso in Germania, e rifiuta financo di credere all’informazione ricevuta dalla sua migliore spia, Richard Sorge (immagine a lato), che gli comunicava addirittura la data esatta dell’attacco. Sembra una beffa, ma poche ore prima dell’attacco tedesco un convoglio ferroviario aveva attraversato la frontiera per consegnare alla Germania i rifornimenti previsti dal Patto Molotov Ribbentrop, che, evidentemente, Stalin considerava ancora valido, perché sapeva che le forniture russe erano essenziali all’economia tedesca.
Malgrado ciò Hitler decretò l’attacco e uno degli interrogativi rimasti senza risposta nella Seconda Guerra Mondiale è perché l’Unione Sovietica si fece cogliere di sorpresa, tanto impreparata; perché, ad esempio, le divisioni russe erano schierate in massima parte a ridosso della frontiera, anziché in posizione arretrata, da dove avrebbero potuto più facilmente organizzarsi per una controffensiva.
L’altra domanda che ci dobbiamo porre riguarda più da vicino gli eventi di quel fatidico giugno 1941: perché un’offensiva partita in modo travolgente fallì il suo obiettivo principale, Mosca, perché l’esercito tedesco fu condotto a combattere, alla fine, tanto lontano dagli obiettivi originali.
Il piano tedesco prevedeva un attacco su tre direttrici: a nord il gruppo di armate Von Leeb forte di 31 divisioni doveva puntare su Leningrado attraversando i paesi baltici, al centro le 57 divisioni di Von Bock dovevano puntare su Smolensk e poi Mosca, al sud Von Rundsted con 48 divisioni doveva impadronirsi di Kiev, appoggiato da forze rumene ed ungheresi; nell’immagine le tre direttrici dell’offensiva, tra le quali per numeri e qualità dei mezzi e delle truppe, la principale era quella di Von Bock, diretta a Mosca.
Le forze tedesche ammontavano a 3.500.000 uomini, per un totale di 146 divisioni, 3500 carri armati, 2770 aerei da combattimento. L’Armata Rossa contava su 4.700.000 uomini, 17000 mezzi corazzati, 20000 velivoli, di cui almeno 7000 schierati sul fronte. Il vantaggio tedesco non era quindi nei numeri, ma nella qualità di uomini ed armamenti, oltre che nel fattore sorpresa.
In effetti la sorpresa fu assoluta; la dichiarazione di guerra era stata consegnata il 21 giugno nel pomeriggio, lasciando ai russi appena il tempo di diramare un’allerta; alle prime ore del 22 giugno le forze tedesche passavano la frontiera travolgendo le divisioni russe, disposte troppo a ridosso della linea di confine per poter abbozzare una difesa efficace. Già il primo giorno di combattimenti la Luftwaffe aveva distrutto al suolo 1800 aerei nemici, mentre anche quelli che riuscivano ad alzarsi in volo venivano sistematicamente abbattuti dai caccia tedeschi; nella prima settimana l’aviazione russa perse la metà dei suoi effettivi.
Nel frattempo gli Stukas bersagliavano le linee di comunicazione del nemico, a cui non riuscì neppure di distruggere i ponti per rallentare l’avanzata della Wehrmacht.
In tutto ciò sorprende ancora gli storici il silenzio di Stalin, che, secondo alcune ricostruzioni si era rinchiuso nella sua dacia fuori Mosca, dove si aspettava di essere arrestato e destituito; invece i capi del Politburo vennero a pregarlo di riprendere il suo posto; così fu solo il 3 luglio che si decise a parlare via radio alla nazione, denunciando l’aggressione subita ed incitando il popolo alla resistenza; nel frattempo i tedeschi erano giunti a Minsk!
Il compito fondamentale nei piani della Wehrmacht era affidato, come già detto, al gruppo di armate “Centro” agli ordini di Von Bock, cui era stato assegnato il maggior numero di divisioni corazzate ed il miglior comandante di carri armati, Guderian: proprio con Guderian sorsero le prime divergenze, visto che questi propugnava una tattica di avanzata in profondità dei carri, senza attendere la fanteria, mentre gli alti comandi della Wehrmacht propendevano per la teoria più ortodossa di grandi manovre a tenaglia per intrappolare le forze nemiche.
Hitler decise per la soluzione ortodossa, perché sognava un’unica gigantesca manovra di accerchiamento, che avrebbe dovuto chiudere in trappola il grosso delle forze sovietiche; questi sogni si scontravano però con la realtà del territorio russo, sulla direttrice di Von Bock esisteva una sola grande carrozzabile che portava a Minsk e poi a Mosca, tutti gli altri percorsi seguivano piste sterrate o, addirittura, campi aperti, dove si potevano muovere con relativa facilità i cingolati e non i mezzi su ruote che rappresentavano il grosso dei trasporti tedeschi: qui si manifesta la prima criticità nei piani tedeschi, due successive manovre a tenaglia falliscono per i ritardi delle unità di fanteria, la terza, attorno a Minsk riesce in parte, le unità di Von Bock fanno 300.000 prigionieri, ma il grosso delle forze russe si sottrae alla presa.
Perciò, malgrado l’innegabile successo dell’offensiva tedesca, in sole due settimane le forze tedesche erano avanzate per centinaia di chilometri in territorio russo, la Wehrmacht aveva mancato il colpo decisivo, complici anche gli improvvisi acquazzoni che riducevano in poche ore le strade in acquitrini. Un nuovo tentativo fu effettuato puntando su Smolensk; qui Guderian riuscì a superare di slancio il fiume Dnepr, ma la fanteria di appoggio giunse ancora in ritardo, anche per l’ostinata difesa attuata infine dalla fanteria russa; i tedeschi occupano Smolensk il 5 agosto, facendo 500.000 prigionieri, solo una parte dei difensori della città, ma sono poi costretti ad una pausa causa le difficoltà di far affluire alle prime linee rinforzi ed approvvigionamenti. Mancavano 300 km a Mosca, meno della metà di quelli già percorsi, ma superare questa distanza si dimostrerà impresa assai ardua.
Alle obiettive difficoltà delle armate di Bock si aggiunsero gli errori di Hitler; mentre Bock avanzava al centro, anche il gruppo di armate sud era passato all’offensiva. Qui Von Rundsted si trovava di fronte ad un compito quasi impossibile, vista la disparità delle forze in campo; i russi schieravano 5000 carri armati appoggiati da divisioni di fanteria in numero più che doppio di quelle tedesche, agli ordini del generale Budjennj, un eroe della guerra civile, con più baffi che cervello, secondo i suoi sottoposti. Rundstedt, che disponeva di soli 600 carri, poteva contare solo sulla sorpresa; sfruttando al massimo questa possibilità, Rundsted riuscì a sfondare le linee russe sull’ala destra, in corrispondenza del fiume Bug. Il successo iniziale non fu seguito dall’evoluzione che Rundstedt si aspettava: anziché ruotare il loro fronte per attaccarlo sul fianco, 25 divisioni russe si ritirarono, sottraendosi alla trappola organizzata dai tedeschi; l’avanzata sul fronte sud era bloccata. A questo punto intervenne Hitler che riteneva si dovesse aiutare Rundstedt a raggiungere i suoi obiettivi, anche sottraendo risorse al fronte centrale; contrario Guderian, che era convinto si dovesse incalzare il nemico per non dargli il tempo di riorganizzarsi, contrari i capi di stato maggiore Halder e Brautschich, non ci fu nulla da fare: a seguito di un ordine scritto di Hitler del 12 agosto, Guderian operò una conversione ad est, dietro le retrovie nemiche, chiudendo nella “sacca di Kiev” più di 600.000 prigionieri. I tedeschi realizzarono un brillante successo, ma a volte un risultato positivo su un fronte secondario può incidere negativamente sull’esito globale del conflitto: i combattimenti in Ucraina cessarono solo il 30 settembre, la diversione su Kiev era costata due mesi di ritardo, che si dimostreranno fatali per la conquista della capitale russa-
L’avanzata delle armate centrali verso Mosca poté riprendere solo in ottobre; Bock lanciò un’altra gigantesca manovra a tenaglia, che fruttò altri 600.000 prigionieri, portando le truppe tedesche ormai esauste a 30 km da Mosca: il sopraggiungere delle piogge autunnali aveva trasformato le strade in acquitrini, costringendo i tedeschi a fatiche e sofferenze inenarrabili, oltre che a soste prolungate.
Poi, all’inizio di dicembre aveva fatto la sua comparsa il “Generale Inverno”; i tedeschi compiono l’ultimo, disperato sforzo portando le loro avanguardie fino ai sobborghi della capitale, ma a questo punto scatta la controffensiva di Zukov che, come previsto da Guderian, aveva sfruttato al meglio la pausa concessagli per riorganizzarsi; la spia Sorge, poi, aveva fatto pervenire in Russia un’altra informazione di inestimabile valore, i piani giapponesi non prevedevano un attacco al confine con la Siberia. Stalin così poté trasferire sul fronte occidentale il grosso delle divisioni siberiane, truppe durissime, particolarmente attrezzate ed addestrate al combattimento invernale. I tedeschi, per contro, mancavano di tutto, anche di abbigliamento adeguato al freddo intenso; i loro avamposti sono investiti dalla furia nemica, accerchiati, spesso distrutti, si profila, per la Wehrmacht, lo spettro di una ritirata simile a quella dell’esercito napoleonico.
Se questa sciagura fu evitata, lo si dovette, bisogna riconoscerlo per una volta, ad Hitler che emanò la direttiva, che sarà spesso ripetuta: “ogni soldato deve morire al suo posto di combattimento”. Criticata, a ragione, in molte occasioni, in questo frangente questa direttiva, forse salvò, anche a costo di inumani sacrifici, il grosso dell’esercito tedesco, ma è fuori di dubbio che il successo dell’offensiva era sfumato, la Wehrmacht era sulla difensiva in tutti i settori; a nord, Von Leeb era giunto a circondare Leningrado senza riuscire ad espugnarla: quando la sua proposta di un ripiegamento fu respinta si dimise. Lo stesso fece Von Rundstedt, che era riuscito ad avanzare fino a Rostov, ma era stato poi travolto dalla controffensiva russa. Al centro, Bock si dimise per contrasti con Hitler, seguito dai capi di stato maggiore Halder e Brautschitscht, da tempo critici nei confronti del Führer. Infine Hitler si liberò anche di Guderian,il suo miglior comandante di carri, colpevole di aver ordinato un limitato ripiegamento dei suoi Panzer, senza il previo assenso del capo.
L’insuccesso tedesco fu dovuto a molte cause: innanzitutto era stato sottovalutato il potenziale bellico dell’Unione Sovietica, che arrivò a mobilitare 360 divisioni, al posto delle 200 previste dallo Stato Maggiore della Wehrmacht. Poi erano state bocciate le idee di Guderian che avevano prodotto il successo in Francia, si era data la preferenza a manovre avvolgenti, sicuramente meno rischiose, ma intrinsecamente più lente.
Infine pesarono, e furono questi gli aspetti decisivi, il sopraggiungere della stagione delle piogge e del gelo invernale, conseguenze del ritardo iniziale e della diversione su Kiev voluta da Hitler.
La Russia fu salvata dalla sua stessa arretratezza, come ai tempi di Napoleone; immense pianure, costellate da miserabili villaggi, che non offrivano punti di appoggio all’invasore, pochissime strade, spesso solo piste sterrate che le piogge trasformavano in acquitrini, assoluta mancanza di infrastrutture, enormi difficoltà nell’afflusso dei rifornimenti.
Licenziati i suoi generali più esperti, Hitler restò alla fine solo, con le sue idee e le sue allucinazioni, a fronteggiare i drammatici eventi che lo attendevano.