Xu Yang (Qing dinasty) (Suzhou, 1712 – after 1777) – The Prosperous Suzhou
Breve storia della Cina - 1
di Mauro Lanzi
Premessa dell’autore.
I due articoli dedicati a questo argomento derivano da una riflessione su di un periodo della mia vita.
Tanti anni passati lavorando con questo Paese, tanti viaggi, tante città e province visitate, tanti progetti, tanti contratti negoziati e conclusi; eppure, dal 1985, data del mio primo viaggio in Cina, non avevo mai trovato il tempo o l’opportunità per soffermarmi e cercare di capire qualcosa in più di questa parte di mondo e del suo popolo: ho visto il paese cambiare sotto i miei occhi e non mi sono mai posto una semplice domanda: perché.
Non posso certo pretendere di colmare ora questa lacuna, soprattutto da quando non frequento più la Cina, essendo uscito dal mondo del lavoro, ma se è vero, come è vero, che le radici di un popolo sono nella sua storia, allora, forse, questa breve ricostruzione del suo percorso nei secoli qualcosa può portare, può far nascere qualche idea in tutti coloro, che, come me, sanno molto poco di questa realtà.
Mi auguro, d’altro canto, che questo rapido excursus possa risultare coinvolgente per tutti i lettori, soprattutto coloro che hanno visitato questo paese, sia pur brevemente, magari per turismo: vi ritroveranno le origini di quanto hanno visto.
- Origini, sviluppo e massimo splendore.
Vale pena iniziare con una nota a margine: la parola “Cina” in cinese non esiste.
I cinesi si riferiscono comunemente al proprio Paese usando il termine Zhōngguó (中国), composto di Zhōng, "centrale" o "medio", e Guó, "regno", "Stato”: il nome ufficiale Zhōnghuá Rénmín Gònghéguó sta per Repubblica Popolare dello Stato di Mezzo.
Il termine Cina, usato solo in occidente, ha origini incerte; appare per la prima volta nelle relazioni di viaggio di un mercante portoghese (Marco Polo aveva parlato del Catai), qualcuno sostiene derivi dal persiano, altri da una delle prime dinastie regnanti, i Jin, altri ancora (ed è l’ipotesi più probabile) dal nome del primo imperatore che riunì il paese, Qin Shi Huang (260-210 a.c.) di cui parleremo.
Sia come sia, la Cina è una delle più antiche civiltà del mondo, forse la più antica in assoluto: fa parte di quelle, che il grande storico contemporaneo David Landes ha definito, con un’immagine suggestiva, “civiltà fluviali”, cioè civiltà che sono nate e si sono sviluppate lungo il corso di un grande fiume (in Cina ve ne sono almeno due, il Fiume Giallo e lo Yangtse, che qualcuno chiama anche “fiume azzurro”),
Tutte le civiltà fluviali, tra le quali dobbiamo necessariamente ascrivere le civiltà mesopotamiche e la civiltà egiziana, sono caratterizzate da elementi comuni, dovuti alle necessità di controllare l’enorme massa d’acqua del fiume che forniva risorse idriche e vie di comunicazione, rendeva fertili le terre che irrigava, era fonte di benessere, ma costituiva anche un pericolo costante per le sue piene e per le inondazioni che ne seguivano. Da qui il bisogno di ingenti risorse, per creare canalizzazioni ed argini adeguati, risorse che potevano derivare solo dall’unione degli sforzi di tutti coloro che vivevano lungo il fiume; questa unione si poteva realizzare solo se tutti riconoscevano un’unica autorità di comando, un principe-sacerdote o un imperatore, che visti i tempi, non poteva che avere attributi o ascendenza divini: non a caso la democrazia è nata in altre regioni.
La differenza trai i tre casi è che le civiltà egiziana e mesopotamica scomparvero presto, assorbite da altri stati o da altre civiltà, mentre la Cina si mantenne integra e indipendente sotto un’autorità imperiale fino all’inizio del XX secolo, caso unico al mondo.
L’altra peculiarità della civiltà cinese rispetto al mondo occidentale risiede nell’alimentazione, che non è un dettaglio da poco.
Feuerbach diceva: “l’uomo è ciò che mangia”, il concetto si applica anche alle civiltà. Sappiamo tutti che, da sempre, l’alimento di base in Cina è il riso: la resa della semina del riso può arrivare a 300 per ogni chicco seminato: per il frumento oggi la resa arriva al massimo da uno a trenta, ma ai tempi dei romani o nel Medioevo era da uno a quattro, uno a sei, di cui un chicco andava conservato per la semina successiva. Il divario è significativo ed ha due conseguenze almeno: l’insufficiente resa del frumento induce l’uomo occidentale, prima alla domesticazione di numerose specie animali, soprattutto animali da carne e da latte, ovini e bovini (poco diffusi in Cina, fino a tempi recenti), poi lo spinge alla caccia ed alla guerra. Lo sviluppo delle civiltà occidentali è fatto di conquiste e di rapine.
In Cina il surplus alimentare consentito dalla coltivazione del riso è la base dell’incremento demografico del Paese, del precoce sviluppo della sua civiltà, ma anche dell’autosufficienza del Paese: la Cina non ha bisogno di conquiste per vivere, basta a se stessa.
Impero e dinastie
Non è qui possibile ripercorrere in dettaglio la storia millenaria di questa nazione, troppo lungo e complesso è il susseguirsi delle dinastie, delle rivolte, delle fratture e delle riunificazioni dell’impero.
Ci soffermeremo, però, su alcuni momenti salienti di questa grande vicenda, significativi per aver determinato i lineamenti, lo sviluppo e la realtà attuale di questo Paese.
La Cina conosce il suo primo vero periodo di unità sotto il grande imperatore Qin Shi Huang (260-210a.c.), al quale dobbiamo anche la Grande Muraglia ed il famosissimo esercito di terracotta.
Qin Shi Huang pone fine all’epoca dei “Regni combattenti”, riunifica, in parte con la diplomazia, in parte con la forza i diversi stati: raggiunta l’unità del Paese, conia per sé il titolo di huangdi (皇帝S, letteralmente "augusto sovrano”), che da noi viene solitamente tradotto come “Imperatore”: perciò Qin Shi Huang è anche ricordato come il primo imperatore cinese.
Negli ultimi anni della sua vita Qin divenne ossessionato dalla ricerca dell’immortalità, che riteneva potersi assicurare con preparati e pozioni di ogni tipo: paradossalmente morì per avvelenamento da mercurio, contenuto nelle pillole che i suoi medici gli propinavano come viatico per l’immortalità. Il suo mausoleo si trova nei pressi del luogo dove è stata rinvenuta l’armata di terracotta, il cui fine era appunto di guardare la tomba del sovrano. L’uomo che aveva cercato l’immortalità in vita, la ottenne dopo la sua morte, per le sue opere; questa, in vero, è l’unica immortalità che ci viene consentita.
Gli archeologi non hanno ancora trovato il coraggio di aprire la camera mortuaria: i resti di Qin Shi Huang riposano indisturbati da più di duemila anni.
Qin fu anche un grande riformatore: abolì i feudi, organizzando l’impero in 36 province, ognuna retta da un governatore di nomina imperiale: ogni provincia era a sua volta divisa in distretti amministrati da funzionari civili: costruì una eccellente rete stradale, imponendo anche l’unificazione dello scartamento dei carri, per migliorarne la fruibilità; impose l’unificazione di pesi e misure, della moneta, delle leggi, ordinando anche la distruzione dei libri, per evitare ogni possibilità di ritorno al passato. La rapidità delle riforme (che comunque verranno riprese dai regimi successivi) e la brutalità con cui venivano imposte, determinarono violente reazioni in tutto il paese ed alla sua morte la Cina ripiombò nel caos.
Vale la pena di soffermarsi su di un punto; uno dei lineamenti caratteristici della storia della Cina è l’alternarsi di fasi di disordini, divisioni, fratture interne, a periodi di unità e concordia, che coincidono con i momenti di maggior splendore, in una perenne ciclicità; è stato detto che l’occidente si è sempre sviluppato per esplosione, per proiezioni verso l’esterno, le grandi conquiste, gli imperi, le esplorazioni o l’attività missionaria, la Cina per implosione: ripiegandosi su sé dopo ogni periodo di crisi, di guerre, di frammentazione in stati diversi, la Cina ha sempre ritrovato se stessa, la sua cultura, la sua forza, il suo destino.
I disordini seguenti la morte del primo Imperatore si placano con l’avvento al potere della dinastia Han (200 a.c. – 220 d.c.), che pur conservando le strutture amministrative del predecessore riesce a riportare il Paese all’unità e promuove una fase di grande crescita economica e politica, con la conquista di Mongolia, Manciuria e Corea: questa dinastia ha dato il nome all’etnia dominante in Cina, gli Han; la Cina classifica, ancor oggi, la propria popolazione in etnie (!!), gli Han (i veri cinesi) 1100 milioni, Mancesi 9 milioni, Mongoli 4 milioni, Miao 9 milioni e via dicendo.
La caduta degli Han conduce ad un nuovo, lungo periodo di frammentazione e di guerre intestine, da cui si esce con l’ascesa al potere delle dinastie Tang (618-907 d.c.) e Song (960-1279 d.c.) che segnano la prima età d’oro della Cina: a questi anni si possono far risalire l’apertura della via della seta (e quindi lo sviluppo del commercio internazionale), ma anche le grandi invenzioni, che il mondo occidentale conoscerà solo molto più tardi, come la bussola, la stampa, la polvere da sparo.
Alla dinastia Tang si fa risalire anche la prassi, importantissima, dei “concorsi” per la scelta dei funzionari pubblici. Sappiamo bene che l’occidente, purtroppo, ha sempre selezionato le sue classi dirigenti, per diritto di nascita, almeno fino all’età moderna: per i Romani valeva la “gens”, più di ogni altra cosa, i Germani avevano il culto della “Sippe”(stirpe).
Questi concetti si radicano e si evolvono nel Medioevo, periodo in cui si afferma e prevale la nobiltà per diritto di nascita: nobiltà che, di fatto, governa il nostro continente almeno fino alla Rivoluzione francese.
Sorprende notare la totale estraneità a questo approccio del mondo cinese. A parte l’imperatore, personificazione o interprete della divinità, nessuno aveva diritti politici per nascita; fino dal VI/VII secolo d.c. la selezione dei funzionari a tutti i livelli avveniva per concorsi, che avevano come oggetto il pensiero di Confucio; questo pensiero è stato per secoli l’impalcatura teorica, etica, politica e filosofica della società cinese. Proprio Confucio (VI secolo a.c,) mette l’accento sull’organizzazione sociale e sul rapporto tra individuo e collettività; proprio Confucio ammonisce le classi dirigenti che il loro potere non può derivare da posizioni o ricchezze acquisite per nascita, ma dal valore morale del loro operato.
«Colui che desidera assicurare il bene di altri, si è già assicurato il proprio.» |
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Quanto mai opportuna, quindi, la materia di studio per questi concorsi, che si tenevano a livello locale, a livello provinciale, a livello nazionale; l’ultima fase era presieduta dall’imperatore in persona, che sceglieva così, in base a merito e cultura, ministri, governatori, funzionari di ogni grado, dal centro alla periferia: una differenza culturale non da poco, rispetto ai nostri paesi; (pensate se i nostri politici attuali fossero scelti con questi criteri!!).
Vale quindi la pena di riassumere i caratteri dominanti del mondo cinese, come li abbiamo qui sopra intravisti, per comprendere la specificità di questo popolo:
- Civiltà fluviale, quindi modello politico imperiale.
- Civiltà del riso, quindi surplus alimentare, incremento demografico, sviluppo.
- Civiltà che cresce per implosione, perché sostanzialmente autosufficiente.
- Civiltà meritocratica.
Il declino della dinastia Song ed il contemporaneo apice della potenza militare mongola con Gengis Khan (che aveva riunito sotto le sue bandiere le tribù della steppa) aprono le porte alla prima dominazione straniera, che si impone con la forza delle armi; Gengis Khan lancia l’”Orda Azzurra” alla conquista della Cina. Superata la Grande Muraglia, i mongoli occupano il Nord del Paese, stabiliscono la loro capitale a Pechino e fondano la dinastia “Yuan”: l’imperatore conosciuto da Marco Polo, Kublai Khan, è un mongolo, nipote di Gengis Khan.
Gli Yuan completano già con Kublai l’occupazione della Cina e tentano, per due volte, l’invasione del Giappone; in entrambe le occasioni, una tempesta di vento disperde la flotta cinese, da questo episodio deriva il termine giapponese “kamikaze”, vento divino, inteso come evento salvifico contro una invasione; sarà impiegato per denominare i piloti suicidi che avrebbero dovuto fermare la flotta americana nella II Guerra Mondiale.
Con gli Yuan la Cina conosce il periodo di massima apertura al mondo occidentale: l’impero mongolo si estendeva fino alla Russia (“Orda d’Oro”), alla Persia ed alla Siria: i rapporti tra i vati “Khanati” erano intensi e frequenti e così gli scambi diplomatici, economici e culturali. In Cina i mongoli, che detenevano il potere, erano numericamente molto inferiori alla etnia autoctona, della quale non potevano fidarsi e quindi sceglievano spesso ministri e consiglieri tra gli stranieri che giungevano a corte; questo è il motivo della buona accoglienza che ebbero i Polo, che furono impiegati anche in missioni diplomatiche e militari.
Il limite della dominazione Yuan fu il potere concesso alla casta militare che di fatto governava la Cina.
Alla fine, nel 1368, il malgoverno dei mongoli determina una vasta rivolta popolare, che riporta al potere una dinastia autoctona, i Ming.
Sotto i Ming la civiltà cinese conosce l’ultimo periodo di grande splendore, divenendo, secondo gli storici, lo stato più evoluto della terra. Si sviluppano economia e commercio, viene approntata una grande flotta con navi di stazza pari a 1500 tonnellate, si producono più di 100.000 tonnellate di ferro all’anno, mentre il vasto impiego della stampa a caratteri mobili consente la crescita culturale del paese; si sviluppano anche le arti, come testimoniato dalle magnifiche ceramiche di quest’epoca. Con i Ming la Cina raggiunge la più vasta estensione territoriale mai conseguita, grazie anche al potente esercito creato dal primo imperatore della dinastia, Hongwu, che introduce una serie di riforme che riportano il paese ai livelli di efficienza e benessere antecedenti alla dinastia Yuan. Abolisce, ad esempio, il predominio della casta militare, imposto dagli Yuan e riporta definitivamente in auge il sistema dei concorsi, per la selezione della burocrazia amministrativa.
Al suo successore, Yongle, dobbiamo alcune delle più straordinarie opere di questo periodo, in primo luogo la “Città Proibita”; già gli Yuan avevano eretto una serie di padiglioni appena fuori le mura di Pechino (Bei Jin, capitale del nord). Yongle li fece distruggere, erigendo al loro posto, dal 1406 al 1420, i magnifici palazzi che diverranno la residenza di 24 imperatori delle dinastie Ming e Qing: si tratta di un insieme di 960 palazzi, divisi in 8707 camere, che coprono una superficie di 720.000 mq, il più grande complesso abitativo al mondo. La Città Proibita è circondata da mura alte 7,9 metri e spesse 8,62 m; oltre le mura corre un fossato profondo 6 m e largo 52: tradizionalmente la città è divisa in “Corte esterna” e corte “interna”; quest’ultima era la residenza dell’imperatore, mentre la Corte esterna era dedicata al cerimoniale e a funzioni di rappresentanza.
Il “Palazzo della Suprema Armonia” e la sua splendida sala del trono, che ci accolgono all’ingresso, riempiono ancora oggi di stupore i visitatori.
A Yongle si deve un’altra impresa di eccezionale portata, le sette grandi spedizioni navali di Zeng He. Zeng He, un ambizioso e geniale eunuco di etnia e religione musulmana, tra il 1405 ed il 1433, condusse la flotta cinese oltre il Mar della Cina, attraverso l’Oceano Indiano fino al Corno d’Africa: una delle sue spedizioni più importanti contava con 62 giunche e 28000 soldati, la più grande spedizione navale mai vista fino allora; le giunche di Zeng He disponevano di più piani (o ponti) sovrapposti, capaci di ospitare marinai, soldati, ma anche merci pregiate, seta, porcellane, spezie, ed i mercanti che erano i veri sostenitori delle spedizioni.
Queste spedizioni non avevano fini di conquista, come le spedizioni dei paesi occidentali, ma ambivano ad espandere i commerci e le relazioni politiche, quasi ad affermare una supremazia del Paese su di una zona di influenza. Costituiscono uno dei momenti più affascinanti e meno conosciuti della storia cinese, ma ebbero vita breve perché già nella seconda metà del ‘400 gli imperatori iniziarono prima a limitare, poi a proibire le navigazioni oceaniche, con il pretesto di dover fronteggiare la rinnovata minaccia mongola e gli attacchi della pirateria giapponese: sembra viceversa che questa brusca inversione di rotta sia stata dovuta al riemergere delle correnti neo-confuciane, tornate in auge proprio con la prassi dei concorsi, che i Ming avevano reintrodotto, dopo la parentesi imposta dagli Yuan. Confucio infatti considera il commercio un’attività parassita, l’unica fonte di ricchezza era la terra, al limite l’artigianato: era ovvio quindi che la nuova classe dirigente, formatasi sui suoi testi, cercasse di bloccare, con successo, queste nuove iniziative.
Anche i Ming conobbero la stessa sorte dei loro predecessori; il malgoverno degli ultimi imperatori di questa dinastia generò disordini e rivolte, che portarono rapidamente al collasso il potere imperiale.
Con la fine dei Ming inizia il declino della civiltà cinese.