La Rivoluzione Americana - Parte prima - Le colonie spagnole
di Mauro Lanzi
La colonizzazione delle Americhe
La moderna storia delle Americhe ha origine, senza dubbio alcuno, dalla colonizzazione di questo continente intrapresa e condotta a termine da diverse nazioni europee a partire dagli inizi del XVI secolo, a seguito delle scoperte di Cristoforo Colombo: sappiamo bene che alcune regioni di questo continente erano state teatro di civiltà anche molto evolute e raffinate, come il Messico ed il Perù, ma è con la conquista europea che queste terre si sono omologate alla cultura europea, entrando quindi nella storia moderna. Nel processo di colonizzazione delle diverse aree del continente, ad opera delle potenze europee, fondamentalmente Spagna, Portogallo, Francia ed Inghilterra esiste una base comune, ma anche profonde differenze nei modi e nelle forme con cui queste colonizzazioni si realizzarono.
Riguardo la prima fase della conquista delle Americhe, la base comune, che caratterizza tutte queste imprese e che ci sembra necessario evidenziare, è che l’approccio del Vecchio al Nuovo Mondo non fu guidato dalla parte più evoluta, ricca e culturalmente avanzata d’Europa, che all’epoca erano l’Italia, le Fiandre, parte della Francia, ma da nazioni sensibilmente più arretrate, come Spagna, Portogallo ed Inghilterra, nazioni ancora legate a modelli politici e culturali espressione del feudalesimo medievale e quindi sostanzialmente prive della visione e della sensibilità che imprese del genere avrebbero forse richiesto. Questo approccio, motivato in primo luogo da ragioni geografiche, farà sentire il suo peso sul futuro del Nuovo Mondo, a cominciare dall’impianto ideologico che giustificò l’occupazione di queste terre, dalla struttura politica che venne data alle nuove colonie, fino all’assoggettamento e, in alcuni casi, purtroppo, allo sterminio delle popolazioni indigene.
La brutalità con cui l’occupazione fu condotta a termine e l’avidità che mosse i primi “conquistadores” non deve far pensare che le classi dirigenti dei paesi europei coinvolti non si siano mai interrogate in merito alla legittimità delle conquiste effettuate nel Nuovo Mondo ed alla sua colonizzazione; le risposte a questa domanda furono però di natura diversa a seconda degli attori e queste differenze connotarono tutti gli sviluppi successivi.
La legittimità di una conquista, quando questa è conseguenza di operazioni militari, è ormai da tempo legata al principio di “guerra giusta”, concetto che è profondamente radicato nella morale collettiva di noi europei, in quanto retaggio della civiltà latina. I primi a parlare di guerra giusta furono proprio i romani, altri popoli non si erano mai posti il problema; per i romani il buon esito di una guerra dipendeva, certamente dai generali e dall'esercito, ma soprattutto dal bellum iustum (guerra legittima), cioè da una condizione di necessità che giustificasse il ricorso alle armi; l’agire bellico doveva dunque seguire le regole dello ius belli conosciute e custodite da un collegio sacerdotale, i sacerdoti Feziali, ai quali spettava accertare che Roma avesse ricevuto un'offesa sufficiente a giustificare una guerra, “conditio sine qua non” la guerra non avrebbe avuto il favore degli Dei. Su questo principio si costruirono ovviamente infiniti travisamenti ed esercizi di ipocrisia, senza i quali Roma non avrebbe creato un impero, ma storture e strattagemmi sono fatti contingenti, i principi ideali spesso sopravvivono e divengono eterni.
Così, anche il concetto di “guerra giusta” non scomparve con la caduta di Roma, ma, come tanti altri aspetti della civiltà latina, fu ripreso nel Medioevo dai teologi dell’epoca, i quali furono capaci di inculcare nelle menti dei rozzi e brutali condottieri medievali l’idea che le conquiste ottenute sul campo erano legittime solo se conseguenze di una guerra giusta; forse non tutti ne erano completamente convinti, ma i più furono costretti, loro malgrado, ad adattarsi a questo principio per non dare un vantaggio psicologico determinante ai loro avversari. Evidentemente, visti gli ambienti che avevano predicato questa dottrina, la guerra giusta per eccellenza era quella condotta in difesa della Chiesa e della cristianità, fra tutte quindi la Crociata; la nobiltà europea, protagonista delle Crociate, si imbevve di questi principi, che animarono un tipo particolare di religiosità feudale, sopravvissuta anche oltre l’epoca delle Crociate. Nel 1455 il papa Nicolò V, sollecitato in merito ad alcune spedizioni dei Re Portoghesi in Africa, concesse a questi la facoltà di sottomettere, per convertirli, tutti i pagani e tutti gli avversari di Cristo, dovunque essi si trovassero; ancora (e questo fu il passo più importante), nel 1493, Rodrigo Borgia (a sinistra), appena salito al soglio pontificio col nome di Alessandro VI, concesse ai sovrani spagnoli il dominio su tutti i continenti non ancora sottomessi da nazioni cristiane, “per indurre i pagani ad abbracciare la fede cattolica e vivere secondo la sua morale”. Di conseguenza, i due decreti pontifici non solo costituirono, per i regnanti cattolici, la legittimazione giuridica delle loro conquiste, ma equipararono le conquiste di territori d’oltremare ad una prosecuzione delle crociate; la feudalità, che era stata protagonista delle Crociate (ricordiamo che in Spagna la “Reconquista”, la guerra contro i mori, la Crociata spagnola, si era appena conclusa nel 1492) mosse alla conquista del Nuovo Mondo con lo stesso spirito, “chi è contro di me è contro la Chiesa, è contro Cristo” e questo giustificherà ogni eccesso, ogni atrocità, ogni massacro; di più, questa “religiosità feudale” lascerà il segno su tutta la successiva evoluzione della colonizzazione dell’America Latina.
Evidentemente un tale principio di legittimità poteva essere invocato solo dalle potenze cattoliche, quindi le potenze protestanti, Inghilterra in primo luogo, che condussero a termine la colonizzazione e la conquista dell’America del Nord, si trovarono a dover elaborare nel tempo dottrine e giustificazioni diverse per l’occupazione di quei territori, elementi che vedremo in dettaglio. Ma, oltre a ciò, nel confronto tra le due Americhe, molti altri furono gli aspetti che differenziarono la loro colonizzazione e di questi aspetti dobbiamo quindi ora interessarci, per comprendere le ragioni di un così profondo divario tra le due Americhe.
La colonizzazione spagnola
Se si guarda alla storia delle imprese dei Conquistadores, non si può non rimanere stupiti della rapidità con cui si effettuarono le loro conquiste; i viaggi di Cristoforo Colombo si svolsero tra il 1492 ed il 1504 e comportarono sostanzialmente l’esplorazione e l’occupazione delle isole caraibiche: le vere conquiste si realizzarono tra il 1519 ed il 1521 con Hernan Cortez (a sinistra) in Messico e tra il 1532 ed il 1535 con Francisco Pizarro (a destra) in Perù, in entrambi i casi un pugno di uomini riuscì a sottomettere paesi immensi e densamente popolati, vediamo come.
Cortes sbarcò sulla spiaggia di Vera Cruz nell’aprile del 1519; era stato incaricato dal governatore di Cuba di compiere una missione esplorativa sulle coste dello Yucatan, ma Cortes, appena sbarcato, chiarì subito a tutti che aveva altre idee; fece bruciare le sue navi sulla spiaggia per segnalare ai suoi che non c’era spazio per ripensamenti o diserzioni. Cortes aveva con sé 500 soldati e 100 marinai, una forza insignificante se si pensa che il Messico all’epoca contava con 20 -25 milioni di abitanti; Cortes però aveva dalla sua alcuni vantaggi:
- Innanzitutto le armi ed il modo di combattere; gli spagnoli, non solo disponevano di archibugi e lame d’acciaio, ma andavano in guerra per uccidere il nemico; gli aztechi non conoscevano il ferro, usavano armi di ossidiana, ma soprattutto in battaglia non cercavano di uccidere, ma di fare prigionieri, afferrandoli con le mani, per sacrificarli poi sugli altari degli dei.
- In secondo luogo le malattie infettive, il vaiolo in primo luogo, che al momento giusto fece strage tra le file degli aztechi.
- L’astio ed il desiderio di vendetta delle popolazioni sottomesse agli aztechi, cui erano tenute a fornire tributi ed anche vittime sacrificali.
- L’aiuto ed il consiglio della figlia di un cacicco, la Malinche, dona Marina per gli spagnoli, che conoscendo sia la lingua nahuatl che la lingua maya, poteva fungere da interprete ed anche condurre i negoziati con le tribù locali. Divenne poi amante e principale consigliera di Cortes. (a destra la Malinche e Cortes a colloquio con Montezuma)
Un’altra circostanza che favorì gli spagnoli fu una leggenda diffusa tra gli aztechi che fissava proprio per quell’anno il ritorno sulla terra del dio Quetzacoatl il serpente piumato; questi strani personaggi barbuti, vestiti di armature lucenti, che impugnavano canne tonanti, sembrarono agli aztechi i messaggeri di Quetzacoatl e furono quindi accolti amichevolmente dall’imperatore Montezuma nella città di Tenochitlan; Montezuma, incerto sul da farsi, li riempì di regali ed infine strinse un rapporto cordiale con Cortes, promettendogli anche di far cessare i sacrifici umani che risultavano intollerabili per gli spagnoli. Il malcontento della popolazione però cresceva, Montezuma veniva duramente contestato dai suoi, al punto di dover rifugiarsi tra gli spagnoli. Approfittando anche di un’assenza di Cortes, la popolazione azteca allora si sollevò e gli spagnoli riuscirono a mala pena a salvarsi con la fuga, in quella che è ricordata come la “noche triste”; andarono perduti centinaia di uomini, molti cavalli e l’intero tesoro strappato agli aztechi
Cortes tornò da Vera Cruz con dei rinforzi, soldati spagnoli inviati ad arrestarlo dal governatore di Cuba, che Cortes era riuscito a far passare dalla sua parte; soprattutto, grazie all’abile mediazione di Malinche, ottenne anche l’alleanza della città di Tlaxcala, che gli fornì il supporto di 50.000 guerrieri. Cortez fu quindi in grado di sconfiggere gli aztechi in campo aperto e poi di stringere d’assedio Tenochitlan che cadde nell’agosto del 1521 (a destra la mappa). Il Messico diveniva la perla più fulgida dell’impero spagnolo, era chiamata Nueva Espana.
La conquista del Perù seguì un canovaccio molto simile a quella del Messico; Pizarro sbarcò nel porto d’ingresso del Perù, una località di nome Tumbez, con una truppa ancora più esigua di quella di Cortez, duecento uomini in tutto; fu favorito dal fatto che era in corso una guerra civile tra due fratelli pretendenti al trono, ma anche quando la guerra finì con la vittoria di Atahualpa, questi non fece nulla per arrestare l’avanzata degli spagnoli, forse perché si sentiva sicuro avendo alle spalle un esercito di 30.000 uomini, anzi accettò anche di incontrare Pizarro nella città di Cajamarca. Circa lo svolgimento dell’incontro esistono molte versioni; di certo l’Inca si presentò nella piazza della città senza scorta armata, con un seguito di dignitari inermi, era certo che a proteggerlo bastasse la presenza nelle vicinanze del suo esercito; viceversa gli spagnoli, con un’azione rapida ed improvvisa, pianificata in precedenza, ad un certo momento si gettarono su di lui, riuscendo a catturarlo, poi fecero strage dei dignitari disarmati del suo seguito, senza che l’esercito, privo di ordini, accennasse ad intervenire.
L’Inca era una divinità per il suo popolo, che non osò mettere a repentaglio la sua incolumità; fu raccolto un ingente riscatto, 80 metri cubi di solo oro, ma gli spagnoli, rinnegando la parola data, prima lo processarono, poi lo misero a morte davanti alla sua famiglia (26 luglio 1533). Gli incas cercarono abbozzare una reazione, ma, come accaduto in Messico, gli spagnoli riuscirono ad allearsi con le genti sottomesse, che odiavano il giogo degli incas e con il loro aiuto giunsero ad occupare la capitale Cuzco.
La guerra proseguì, con fiammate intermittenti di rivolta, per alcuni anni, ma ormai il Perù era parte dell’impero spagnolo.
Ma non è tutto; partendo da queste basi le conquiste spagnole a nord si spinsero fino alla Florida e al Mississippi: nel 1542 un avventuriero spagnolo, Francisco Coronado, alla ricerca di “El Dorado”, la mitica città dell’oro, si spinse fino ad occupare le attuali regioni del Kansas, del Texas e dell’Idaho. A sud, partendo dai territori peruviani, gli emuli di Pizarro conquistarono nel giro di pochi anni Ecuador, Bolivia, Cile, Argentina del nord. In un arco di tempo di pochi decenni, quindi, la corona spagnola si vide letteralmente cadere in grembo un impero sterminato, cui si aggiungerà presto, dopo l’unione dinastica tra Spagna e Portogallo, anche il Brasile, colonizzato dai Portoghesi.
I sovrani spagnoli furono lesti a mettere le loro mani su queste conquiste; erano chiaramente motivati dall’oro e dai prodotti esotici sciorinati ai loro occhi dai primi “conquistadores”, a partire da Colombo, ma anche quando si proverà che di oro ce n’era ben poco (le miniere più ricche erano quelle d’argento), le terre del Nuovo Mondo erano terre fertili, coltivate e coltivabili, popolate da milioni di abitanti, sedi di civiltà evolute, quindi, complessivamente, obiettivo molto appetibile per gli europei. La monarchia spagnola, da parte sua, fu capace di creare con grande rapidità, per il nuovo impero, un impianto amministrativo relativamente efficiente, analogo a quello esistente in Spagna, cioè basato su funzionari di nomina regia e su giudici pure essi designati dalla corona per i tribunali locali (audiencias); al di sotto di questo primo livello, l’amministrazione di quei vastissimi territori fu consegnata di fatto a dei veri e propri signori feudali, gli “adelantados”, cui erano affidate le cosiddette ”encomiendas”, in pratica assegnazioni di terre con tutti gli indios che ci vivevano sopra; l’intenzione della corona era proteggere in questo modo l’integrità fisica e spirituale dei nativi, affidando la loro cura a questi personaggi e, peraltro, il modello politico, cui potevano riferirsi, non poteva essere che quello prevalente nella madrepatria, il modello feudale; purtroppo le encomiendas si trasformarono presto in un tremendo strumento di oppressione e di sfruttamento della mano d’opera indigena. Questo sfruttamento sarà una delle cause, anche se non la principale, dello spaventoso crollo della densità abitativa di quelle regioni; basti pensare che la popolazione del Messico passò nel giro di cinquant’anni da 25 milioni a poco più di un milione di abitanti, ma la causa principale, occorre riconoscerlo, furono le malattie e le infezioni portate dagli europei, prima fra tutte il vaiolo.
Comunque sia, malgrado questi ed altri aspetti negativi, l’insieme di queste istituzioni garantì un dominio incontrastato della corona spagnola sui territori del nuovo mondo; queste terre divennero un regno legato direttamente alla persona del sovrano, per decisione del Papato, massima autorità morale nell’Europa cattolica, che aveva demandato ai Re spagnoli la cura dei nativi americani per la loro conversione.
Questo è un aspetto su cui occorre soffermarsi, perché se è vero, come è vero, che tutta la colonizzazione delle Americhe rappresentò un gigantesco abuso, una totale prevaricazione del diritto delle nazioni, nel caso delle colonie spagnole e portoghesi, però, questo abuso fu giustificato, almeno nella loro visuale, dall’obiettivo della cristianizzazione di popolazioni pagane e bisogna riconoscere che, sia gli spagnoli che gli altri popoli cattolici (anche i francesi in Canada, quindi), presero sempre questo impegno molto sul serio. Ovunque, i Conquistadores erano seguiti da frotte di religiosi impegnati nell’opera missionaria, che spesso divennero i veri difensori delle popolazioni indigene contro le violenze dei feudatari locali (Bartolomeo de Las Casas) ed i testimoni della loro cultura; le relazioni dei Gesuiti sono una vera miniera di informazioni etnologiche sulle culture precolombiane.
Sia in Messico che in Perù gli Spagnoli si trovarono di fronte a delle società fortemente strutturate in forma gerarchica, bastò quindi sostituire il vertice per governare popolazioni già avvezze al principio di autorità; malgrado il tremendo genocidio perpetrato in quelle regioni, a causa soprattutto delle malattie infettive, occorre riconoscere che gli Spagnoli seppero convivere con le popolazioni indigene, si sforzarono di assimilarle nella loro cultura, si mescolarono con esse, creando anche un vasto meticciato; non ci fu nell’America spagnola (eccezion fatta per i Caraibi) un significativo fenomeno di importazione di schiavi neri dall’Africa, quindi si evitò anche questa causa di frattura sociale. Merita ricordare, infine, che, a soli 40 anni dall’indipendenza del Messico, nel 1861, un indio purosangue, Benito Juarez, ascese alla massima carica del Paese e guidò la guerra di liberazione contro i francesi e Massimiliano d’Asburgo. Ancora oggi la società messicana presenta tutta una varietà di gradazioni etniche, dai bianchi creoli (pochi), agli indio puri, con tutta una scala intermedia di meticciato, presente in tutti i settori sociali, fino ai massimi livelli. Chi scrive, avendo risieduto e lavorato per alcuni anni in Messico, può testimoniare di questa mescola etnica anche ai livelli più alti.
L’America Latina divenne così, per la combinazione di questi fattori, insieme una fortezza dell’ortodossia cattolica, più rigidamente controllata che la stessa Spagna (era proibito, ad esempio, l’ingresso nelle Americhe di protestanti, ebrei, prostitute, ladri e… avvocati), un caposaldo indiscusso dell’autorità monarchica, almeno fino alla conquista bonapartista della madre patria, ma anche e soprattutto un ambito capace di garantire la sopravvivenza e l’integrazione delle etnie locali. Non sarà dappertutto così.
(Continua)