Olga Sedykh (Togliatti, Samara region, Russia, 1978) - Altai Wild Rosemary
La rugiada del mare
di Giorgio Cortese & Cesare Verlucca
Cari amici,
rieccoci sulla breccia. Chi ci legge da mo’ (bontà loro), sa che Giorgio Cortese & Cesare Verlucca (o viceversa) si divertono via via a trovare argomenti che possano essere discussi e ampliati, lodati o contestati, tra di loro o con chicchessia.
Finora si sono occupati di argomenti iterabili di varia estrazione: dal Carnevale di Ivrea all’analfabetismo di ritorno; dalla lingua italiana, nata felice nel III secolo e che si sta perdendo per strada, senza prevedere quale sarà la sua fine; alle bevande dolci d’estrazione prevalentemente torinese; dai sapori fondamentali del dolce e il salato, alle ricerche sulle erbe aromatiche, che hanno iniziato con il basilico e il pesto e proseguono ora con il Rosmarino (rosmarinus officinalis), noto da sempre come pianta odorosa ed aromatica, ma anche per le notevoli proprietà medicinali.
Il rosmarino, appartenente alla famiglia delle Lamiaceae, è comunissimo allo stato spontaneo lungo tutte le coste del Mediterraneo, e anche sui pendii asciutti e assolati delle nostre regioni meridionali. È un arbusto con foglie sempreverdi, alto da alcune decine di centimetri fino a due-tre metri; il fusto eretto o spesso sdraiato alla base è molto ramificato.
Le foglie sono coriacee, persistenti e riunite nei rametti giovani, e inserite due a due nei nodi. I fiori sono riuniti in gruppetti all’ascella delle foglie superiori; la corolla è azzurra e tubulare. Il frutto è composto da quattro acheni ovoidali con la superficie liscia di colore bruno e racchiusi al fondo del calice.
La pianta non regge al forte gelo, soprattutto in zone dove sono frequenti le nebbie; oppure dove il terreno è poco permeabile all’acqua, né a troppe irrigazioni in estate: una volta che Giorgio aveva inavvertitamente esagerato, alcuni rami hanno assunto il colore tendente al giallo con brio, e la pianta ha decisamente patito.
Il nome latino, Rosmarinus, potrebbe derivare dall’associazione delle parole ros e maris, con il significato di “rugiada del mare”, in riferimento al colore lilla-indaco dei fiori che ricorda il colore del mare. Un'altra tesi lo farebbe provenire dal greco rops, arbusto, e myrinos, odoroso. I popoli antichi consideravano il rosmarino una pianta eccezionale per doti aromatiche e terapeutiche. Presso gli Egizi veniva considerato un elemento magico, i cui rametti erano in grado di procurare l’immortalità perché, pur recisi, si mantenevano freschi nel tempo.
I Romani fecero del rosmarino il simbolo della morte e dell’amore. In onore degli dèi ne bruciavano i rametti per purificare l’aria durante i sacrifici, e Orazio consigliava: «Se vuoi guadagnarti la stima dei defunti, porta loro corone di rosmarino e di mirto».
Pianta dedicata a Venere, era ritenuto un afrodisiaco che se preso in dosi massicce poteva provocare l’aborto.
Le sue proprietà corroboranti trovavano applicazione sia nel “vino al rosmarino”, sia nel cosiddetto “bagno di rosmarino”, quest’ultimo indicato per stimolare la circolazione sanguigna e rendere la pelle molto sensibile al tatto.
Fino al II sec. d.C. questa erba non era un ingrediente di cucina, poi Galeno ne identificò la virtù digestiva. Da allora il rosmarino iniziò quel percorso gastronomico che lo portò a diventare quell'aroma italiano per eccellenza, che nelle calde giornate estive emana il suo aroma intenso e gradevole, trasportato dalle brezze marine.
Nel XVII sec. alla corte di Francia divenne di gran moda una particolare preparazione detta “Acqua della Regina d’Ungheria”, fatta distillando due parti di fiori di rosmarino e tre di alcol. Si narra infatti che la regina Isabella, settuagenaria e piena d’acciacchi, ritrovasse la salute e una seconda giovinezza proprio grazie al rosmarino.
Quest’acqua era decisamente considerata una panacéa; il re Luigi XIV la assumeva per curare la gotta, mentre Madame de Sévigné la portava in tasca per profumarsi la pelle. Dall’Ottocento, poco alla volta, l’Acqua della Regina venne sostituita da un’altra preparazione al rosmarino: l’Acqua di Colonia, che è di origine piemontese, ma questa la raccontiamo un'altra volta.
Il rosmarino, verde tutto l'anno, mostra foglie all'apparenza aguzze ma in realtà morbide. È un'erba d'elezione nella nostra penisola e molto gradita anche nella Francia del sud, benché nelle cucine degli altri paesi del bacino mediterraneo non incontri lo stesso apprezzamento. Grazie al gusto intenso è adatta ad accompagnare pesce, carne e molte verdure. Non può mancare con le patate arrosto e viene spesso usata per spennellare d'olio la carne e il pesce cotto alla griglia.
L'erba fresca ha un aroma più delicato rispetto a quella secca, e può essere usata anche in cottura. Nella medicina popolare il rosmarino è ideale: per uso interno a tonificare la memoria, per uso esterno, come olio essenziale, a combattere dolori muscolari o reumatici. Il mito sulla nascita di questa pianta lo troviamo narrato da Ovidio nelle “Metamorfosi”.
Cerchiamo Ovidio senza trovarlo, ma ci imbattiamo in una poesia di Federico Garcia Lorca,che sembra volercene offrire una spiegazione.
Api d’oro
Api d’oro
cercavano il miele.
Dove starà il miele?
È nell’azzurro
di un fiorellino,
sopra un bocciolo
di rosmarino.
E sì, il rosmarino è un’erba capace di cambiare i connotati ai piatti che incontra. Un’erba tosta, meglio, un arbusto che si porta addosso il dna del Mediterraneo.
Se chiudiamo gli occhi e annusiamo questa erba, ritroviamo il sapore dell’estate al mare: il caldo asciutto, la terra assetata, argilla e sabbia, i fiori azzurrini che se ne fregano delle stagioni, e non smettono di aprirsi, purché il tepore regni nell’aria.
Lo scriveva anche Fabrizio De André:
Dove fiorisce il rosmarino
c'è una fontana scura,
dove cammina il mio destino
c'è un filo di paura.
Qual è la direzione
nessuno me lo imparò,
qual è il mio vero nome
ancora non lo so.
Cosa avremmo potuto, noi, dire di meglio?