Aggiornato al 21/11/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

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Adriano Olivetti: un enigma?

di Tito Giraudo

 

Il prof. Gian Franco Quaglieni, nell’ambito della sua personale galleria dei personaggi del Novecento, non ha mancato di scrivere su Adriano Olivetti (Pannunzio Magazine) l’industriale eporediese morto nel 60 e con lui, forse la più prestigiosa azienda italiana, prestigiosa non solo per i suoi prodotti esportati in tutto il mondo ma soprattutto per la cultura industriale che ha espresso.

Non ho mai conosciuto Adriano, avrei potuto conoscerlo se i rapporti di mio Padre con la famiglia Olivetti non si fossero interrotti alla morte di Camillo il fondatore, oppure se fosse stato ancor vivo quando fui membro della Commissioni Interna della Olivetti, sicuramente avrei avuto rapporti in quanto Adriano aveva una particolare attenzione per i sindacalisti di fabbrica.

Quando in occasione del centenario della fondazione dell’azienda pensai di scrivere degli Olivetti, nelle mie ricerche mi trovai immediatamente in sintonia con il vecchio Camillo, mentre Adriano mi fu subito ostico, quasi il personaggio mi sfuggisse, non volesse farsi raccontare da me.

Mi buttai sulla biografia di Camillo, nacque così “La fabbrica di mattoni rossi” storia di un’azienda e del suo fondatore. Naturalmente mi imbattei sovente in Adriano, uno strano pudore però mi ha impedito di approfondirne la figura, se non per quanto riguarda le vicende del trapasso della direzione aziendale. Il libro finisce con la morte di Camillo e quindi l’Adriano grande industriale e grande umanista, non fece parte del mio racconto. La sua fu “la fabbrica di cristallo”, quella progettata dagli Architetti Figini e Pollini allievi del grande Le Corbusier.

Di una cosa sono certo: ci sono diversi Adriano. Ne scrivo perché nella seconda lettura di Lessico familiare di Natalia Levi Ginsburg, mi si è schiarito il personaggio e tutte le sue contraddizioni.

Natalia nei giorni della liberazione di Roma, incontra Adriano; è male in arnese e il suo fisico da sempre non è propriamente quello di un Apollo, eppure dice Natalia: mi sembrava un Re.

Anche quando lo conosce che è ancora una bambina, nota quanto “gli stava male la divisa militare” che allora indossava in quanto di leva, lo descrive grassoccio e biondiccio, Adriano è evidentemente interessato alla sorella Paola, tuttavia Natalia anche se bambina, è colpita da quel giovanotto che borbotta cose un po’ incomprensibili. Natalia, già particolarmente intelligente e sveglia, nota che non è uno qualsiasi, cosa che non succede alla sorella, anche se poi lo sposerà.

Penso che Natalia un po’ innamorata di Adriano lo fu sempre.

Dopo averne per anni detto male, una certa genia di intellettuali di sinistra, improvvisamente lo ha santificato e in questi ultimi anni l’industriale eporediese viene tirato per la giacchetta pure dai leghisti. Mi pare doveroso cercare di approfondire il personaggio sul piano industriale e ancora di più su quello politico.

 

Origini

Adriano ebbe la fortuna di avere un padre geniale e poliedrico. Geniale, perché la Olivetti creata da Camillo aveva in sé tutte le caratteristiche di quella che diventerà con Adriano.

Estimatore della democrazia americana che conobbe di persona nel suo viaggio del 1890, pur essendo un socialista convinto, crede nella convivenza tra il capitalismo e il progressismo, anche socialista. Adriano assorbì questi concetti ulteriormente sviluppandoli. Cercherò di inquadrare il personaggio prima sul piano industriale e poi su quello politico e umanistico.

 

L’industriale

Francamente non so se Adriano, se non fosse stato il figlio di Camillo, sarebbe diventato il geniale imprenditore universalmente riconosciuto. Fin da ragazzino, nelle vacanze il padre lo fece lavorare in fabbrica come operaio; egli, su sua dichiarazione: odia “quella piccola e tetra fabbrica”.

Terminati gli studi liceali, dovendo scegliere la facoltà universitaria, metterà in atto la prima ribellione al padre che lo vuole ingegnere meccanico. Scelse ingegneria chimica (penso per avere la libertà di non entrare in azienda), ma credo anche perché la ritenne all’epoca, una facoltà più moderna. Sta di fatto che si laureò in chimica.

Nonostante gli inizi non fossero stati troppo promettenti per la futura carriera in azienda, entrò in fabbrica come operaio in quanto Camillo pensa che anche i futuri dirigenti debbano sperimentare il vero lavoro di fabbrica. Con lui entrò anche il suo amico Gino Levi, fratello maggiore di Paola e Natalia che diventerà suo cognato.

Sulle orme di Camillo, insieme al capo officina Domenico Burzio, si recano negli Stati Uniti.

Al ritorno avvenne la seconda ribellione.

Adriano visitò molte fabbriche americane, soprattutto quelle che producevano macchine per scrivere in quantità incredibili rispetto al vecchio continente. Scoprì il Taylorismo: il nuovo metodo produttivo, il lavoro parzializzato e le linee di montaggio.

Quando propose a Camillo di adottare quei metodi in azienda, trovò il padre decisamente contrario, in quanto vedeva nel Taylorismo i rischi della spersonalizzazione del lavoro: è ancora in fondo un socialista e quindi oppone resistenza. Tuttavia Adriano è pervicace e Camillo ragionevole, cederà ma farà promettere al figlio che quando sarà lui a dirigere l’azienda, causa l’innovazione, non dovranno mai esserci operai lasciati a casa.

Naturalmente con i nuovi metodi produttivi l’azienda decolla ulteriormente, ha bisogno di spazi e quindi Adriano fece progettare un nuovo stabilimento, prolungamento della fabbrica di mattoni rossi, prima saranno mattoni e grandi finestre e poi la fabbrica tutta a vetri che sarà all’epoca uno degli edifici industriali architettonicamente più moderni al mondo.

Camillo vide giusto, quel figlio che sembrava estraneo all’industria, aveva tutti i numeri per essere il suo successore.

Vinta la battaglia del Taylorismo, a poco a poco Camillo cedette le redini della fabbrica ad Adriano. Fu incredibile acume, poiché quello che sembrava un sognatore umanista si rivelerà uno dei più grandi manager del nostro Paese.

Gli anni trenta furono quelli del primo grande sviluppo produttivo e dei nuovi modelli: la mitica lettera 22, i nuovi stabilimenti ultramoderni, linee pubblicitarie e designer d’avanguardia, inoltre: i negozi che saranno la summa dello stile Olivetti.

I servizi sociali di fabbrica introdotti fin dalla fondazione da Camillo saranno fortemente potenziati, nascerà il Centro Formazione Meccanici, la scuola aziendale fortemente voluta dal padre, il quale a poco a poco lascerà le redini riservandosi la nuova creatura: la OMO Officine Macchine Utensili.

Quella fabbrica è talmente importante che nel 39 gli Olivetti vengono risparmiati dalle sciagurate leggi razziali. Tuttavia con l’occupazione tedesca, mentre Camillo troverà rifugio nel Biellese, Adriano fuggirà in Svizzera lasciando la direzione dell’Azienda al suo amico Gino Levi che nel frattempo di cognome divenne: Martinoli, prova che in Italia anche il razzismo fu compromissorio. Ci fu a dirigere in effetti un triunvirato, a Gino si aggiunsero: Giuseppe Pero e Giovanni Enriques.

Al rientro nel 45, Camillo era morto di malattia a Pollone. Adriano riprese le redini dell’azienda, il che causò l’uscita di Gino ed Enriques, i quali dopo aver diretto la fabbrica in un periodo tanto drammatico auspicavano una divisione dei poteri.

Adriano, sulle orme di Camillo pensò ci dovesse essere un uomo solo al comando, anche se erano amici non ebbe esitazioni.

Fu l’inizio così della vera Olivetti di Adriano.

Gli anni cinquanta furono quelli del secondo grande sviluppo, soprattutto grazie alle nuove macchine da calcolo progettate da un ex operaio: Natale Capellaro. Saranno un successo mondiale la cui lavorazione di serie consentirà utili stratosferici che Adriano investirà in servizi sociali, nelle reti commerciali e nell’immagine che farà la Olivetti unica a livello mondiale.

Filiali in molte parti del mondo, i negozi Olivetti sparsi per tutto il globo saranno il segno distintivo del design Olivetti, i dipendenti saranno oltre 30.000.

Gli ultimi anni della Olivetti di Adriano furono caratterizzati da due grandi intuizioni. L’elettronica con il primo grande calcolatore: l’Elea, e l’acquisto della Underwood americana, una concorrente più grande della stessa Olivetti anche se non poco obsoleta.

La sua morte nel 60 lasciò la Olivetti senza veri eredi, il figlio Roberto pur essendo un grande tecnico non avrà le redini dell’azienda che per mancanza di liquidità sarà affidata ad un gruppo di salvataggio che in realtà la farà morire.

 

Il politico

Premetto, Adriano Olivetti è stato un grandissimo industriale.

Mio personale giudizio: non è stato un altrettanto grande politico, se per politica si intende la partitocrazia o comunque la democrazia rappresentativa dei partiti. Questo, al di là delle idee che possa aver espresso. Ad ogni buon conto nella storia italiana solo due imprenditori si sono direttamente affacciati alla politica: Silvio Berlusconi ed Adriano Olivetti. Dalla Liberazione in avanti gli imprenditori, a differenza delle altre categorie, sono sempre stati guardati con sospetto e quando lo hanno fatto, tacciati di conflitto di interesse e paternalismo. Per Berlusconi maggiormente, in quanto i suoi risultati elettorali sono stati ben diversi rispetto a quelli di Adriano che tra l’altro non ha avuto incarichi di Governo. Immagino lo scandalo se paragono Berlusconi ad Adriano, ma al di là di quello che ognuno può pensare, mi riferisco alla condizione di essere stati entrambi grandi imprenditori.

Per parlare di Adriano politico ripiombo nel disagio di cui all’inizio dell’articolo, pertanto cercherò soprattutto di inquadrare le idee politiche per affrontare il tema Comunità, il Movimento politico che catapultò Adriano nella Politica praticata.

Anche in politica non posso che riferirmi nel caso di Adriano a Camillo.

Camillo Olivetti fu organico ai socialisti fino al congresso del 1912, dove vinsero i massimalisti e nel contempo furono cacciati Bissolati e Bonomi.

Si iscrisse al Partito nel 1894, poiché alla sua fondazione si trovava negli Stati Uniti. In seguito fu il responsabile per il Canavese e la Valle di Aosta, scrisse sulla “Critica Sociale” di cui il suo amico Turati era direttore. Fu Consigliere comunale di Torino.

Le sue posizioni furono però atipiche, poiché ciò che vide negli Stati Uniti gli fece concepire un Socialismo non classista e soprattutto, un giudizio sul capitalismo industriale a quei tempi non in linea con la stragrande maggioranza del Partito, va detto che, comunque fino alla vittoria del massimalismo quel Socialismo fu di manica larga rispetto al pensiero degli iscritti.

Certamente uno dei motivi dell’allontanamento, oltre di non condividere la linea della maggioranza, fu l’impegno nella fabbrica che fondò nel 1908.

Nel 1914 fu interventista, anche se con posizioni moderate. Durante il periodo bellico fece una dura polemica con i Comitati di mobilitazione industriale da lui giudicati: “dei carrozzoni il più delle volte truffaldini”.

Nel 1919 alle elezioni politiche sostenne l’USI (Unione Socialisti Italiani) di Bissolati e Bonomi i cui risultati elettorali furono assolutamente deludenti.

Fu editore di due settimanali politici nel Canavese, e nella redazione oltre che finanziatore del settimanale torinese “Tempi Nuovi”. Proprio dagli scritti su questo settimanale che possiamo capire l’atteggiamento di Camillo verso il Fascismo che fu all’inizio di una certa benevolenza, pur giudicando Mussolini un estremista.

Dopo la Marcia su Roma di fronte al persistere delle violenze squadriste, quel giornale diventò critico tanto da essere minacciato di chiusura. Sarà salvato dall’intervento di quel fascismo di sinistra che negli anni 20 era ancora presente nel Partito.

Camillo, anteponendo gli interessi aziendali in quanto la Olivetti aveva centinaia di dipendenti, lasciò il settimanale.

La storia politica di Adriano, seguì quella del padre fino al delitto Matteotti, dove i due promossero una manifestazione di protesta al Teatro Giacosa di Ivrea, poi per ragioni pratiche legate sempre all’azienda saranno tra gli antifascisti che non si espongono pubblicamente.

Tuttavia, al bisogno gli Olivetti ci sono.

E’ il 1927, Filippo Turati deve espatriare, si organizza la fuga. Prima viene ospitato a Torino in casa Levi, poi si recherà ad Ivrea ospite del dott. Pero.

Un’auto con al volante Adriano, lo porterà in un porto ligure dove lo aspetta l’avv. Sandro Pertini qui sarà finalmente imbarcato per la Francia. Per questa operazione ci saranno arresti, forse qualche nume tutelare ancora una volta risparmierà la famiglia.

Un altro episodio fu l’arresto di Mario Levi il fratello di Gino, Paola e Natalia. Assunto anch’egli alla Olivetti, fu fermato alla frontiera con la Svizzera con materiale antifascista, riuscirà a fuggire. Saranno però arrestati Gino e il Padre: il prof. Levi, illustre patologo. Sappiamo che Adriano si prodigherà personalmente per la scarcerazione.
Veniamo ad un argomento controverso: l’iscrizione di Adriano al PNF.

Per essere obiettivi occorre inquadrare gli anni 30.

Mussolini, anche per errori delle opposizioni, supera la crisi Matteotti e questo il vero inizio della dittatura fascista.

Nel 1929 ci fu la crisi economica mondiale. Mussolini e i suoi ministri economici adottarono una politica di forti investimenti in opere pubbliche che fecero uscire l’Italia dalla recessione ben prima di altri Paesi. In concomitanza, l’industria Italiana ebbe un forte sviluppo e il Paese non solo eliminò il debito pubblico, aumentò il Pil rivalutando la Lira.

Nei confronti delle aziende italiane si praticò il protezionismo doganale, cosa che aiutò anche la Olivetti che divenne monopolista sul mercato Italiano delle macchine per scrivere.

Padre e figlio sono obiettivi e quindi riconoscono quei successi. Sono gli anni del “consenso” che fu generalizzato nella popolazione.

Per la Olivetti furono gli anni dei nuovi stabilimenti progettati da Studi di Ingegneria ed architettura in qualche modo legati al Regime. Appartengono quegli intellettuali al gruppo di Giuseppe Bottai, fascista della prima ora ma intellettuale di spessore, un Camerata in qualche modo atipico che diede spazio anche ai dissidenti.

Adriano sta elaborando la teoria politica della sua vita, una sorta di federalismo che regola Regioni e soprattutto territori omogenei.

Nacque così il “Piano della Valle d’Aosta” che allora comprendeva il Canavese.

Meglio di me sintetizza Giorgio Ciucci nel suo studio del 2001.

“Il Piano regolatore della Valle d'Aosta, redatto fra il 1936 e il 1937 su richiesta dell'industriale Adriano Olivetti. Autori sono gli architetti milanesi: Antonio Banfi, Ludovico Belgioioso, Piero Bottoni, Luigi Figini, Enrico Peressutti, Gino Pollini ed Ernesto N. Rogers. Il piano si basa su due aspetti ben distinti. Il primo è rappresentato dagli studi preliminari, che coinvolgono medici per le analisi e i dati sulle condizioni sociali della popolazione, economisti per le analisi e le prospettive di sviluppo, aviatori per le fotografie delle zone montane interessate, rocciatori per individuare gli itinerari turistici. Tali studi sono organizzati in una serie di carte tematiche dedicate all¹orografia, al clima, alle condizioni sociali della popolazione, alle risorse naturali ed economiche, alle infrastrutture, agli itinerari turistici.

In tale contesto, il Piano propone il turismo come settore chiave per riscattare le aree montane depresse, volano della trasformazione dell'agricoltura, dei lavori pubblici e dell'industria dell’intera Valle. L'altro aspetto del Piano, distinto dal primo, è offerto dalle tavole dei progetti architettonici per interventi turistici che riguardano il versante italiano del Monte Bianco (con il nuovo centro turistico a Courmayeur), la conca del Breuil (oggi Cervinia), l'Alpe di Pila, e dagli elaborati per il piano regolatore della città di Aosta e il piano per lo sviluppo di Ivrea. L'interesse del Piano è soprattutto nelle rigorose soluzioni architettoniche adottate per gli edifici, ribadendo i principi di un'architettura razionalista che non cede allo “stile” vernacolare locale. Insistendo sul confronto fra architettura e natura, i progettisti affermano che la salvaguardia dei valori ambientali si realizza attraverso un piano di intervento unitario capace di far rivivere un ambiente minacciato dalle conseguenze dello spopolamento montano, la cui causa, scrive Olivetti, è da addebitare a "disordini idraulici, frane, disboscamento, gravezza di tributi, mancanza di strade, pessime condizioni edilizie e igieniche".

Fu un lavoro avanzatissimo per l’epoca ed ancora attuale persino ai giorni nostri. Tutta l’azione politica di Adriano iniziò da lì.

Tramite gli amici architetti e con l’aiuto di Bottai, il Piano venne presentato ufficialmente in una mostra apposita a Roma. Adriano, per l’occasione, sarà ricevuto da Mussolini.

Adriano (ma non il Padre), si iscrisse al Partito. Io credo per motivi strettamente utilitaristici, tuttavia storicamente dobbiamo segnalare che il clima verso il fascismo, non solo nazionale ma anche internazionale, era favorevole. Furono questi i cosiddetti “anni del consenso”.

La luna di miele durò poco. Il Regime, al Razionalismo preferì la cosiddetta architettura fascista e quindi il Piano e i suoi estensori verranno dimenticati ingrossando così le fila dell’antifascismo intellettuale.

Le leggi razziali naturalmente saranno uno spartiacque. Non che gli Olivetti all’inizio le considerarono una cosa seria. Numerose lettere di Camillo nel 38 minimizzano il pericolo per le famiglie ebraiche o semi ebraiche come erano loro, pensa piuttosto che l’applicazione sarà all’italiana e quindi non ci siano reali pericoli. Naturalmente gli Olivetti, almeno fino all’occupazione tedesca non saranno toccati “per meriti”, anche se lo stesso Adriano inizierà ad essere discriminato nelle manifestazioni pubbliche del Regime.

Nel 1943 avvenne un fatto poco chiaro e mai chiarito dall’interessato. Adriano viene arrestato dai Servizi badogliani.

Sicuramente in accordo con i Servizi americani elaborò un piano per un colpo di Stato che avrebbe esautorato Mussolini. Piano che non andò in porto per l’opposizione inglese. Sta di fatto che Adriano fu arrestato; pochissimo tempo dopo il colpo di stato avverrà all’interno del fascismo con la complicità del sovrano. Adriano sarà scarcerato.

Quale antifascista nel 44-45 con l’occupazione tedesca espatriò in Svizzera. Saranno due anni di intensa formazione politica e culturale, si avvicina al pensiero del filosofo francese Jacques Maritaine, entrambi si sono convertiti al cattolicesimo. Dunque il pensiero politico filosofico di Adriano va formandosi parallelamente allo sviluppo di una concezione originale dello Stato tenendo fermi i cardini federalisti e la concezione che a suo tempo era scaturita dall’elaborazione del Piano della Valle di Aosta.

Nel 1945 al rientro in Italia dopo la Liberazione si avvicina al Partito Socialista (Psiup) di Nenni iscrivendosi, non a Ivrea ma a Roma. Lascerà il Partito per le tendenze frontiste, non seguirà la scissione Saragattiana, militando nella formazione dei Cristiano Sociali. Tiene comunque buoni rapporti con tutti gli schieramenti politici compresi i Democristiani e in particolare Amintore Fanfani.

Sono del parere che Adriano in questo caso fosse pratico e cioè aperto ad ogni collaborazione, purché le sue proposte, in particolare sull’urbanistica e sul federalismo, venissero accolte. L’essere ormai un grande industriale non l’aiuta, il clima è quello della Liberazione, le sinistre sono anti industriali al punto che il Sindacato Unitario si spacca. Nasceranno la CISL e i sindacati Aziendali.

Nel 1947 nasce il Movimento Comunità, oltre ad Adriano il principale ideologo è il sociologo Franco Ferrarotti. Le idee politiche si concretizzano così in un Movimento che volente o nolente ha nella fabbrica di Ivrea e nel Canavese il fulcro.

Nel 1955, prima della nascita in FIAT del SIDA, promuove Comunità di fabbrica che poi diventerà Autonomia Aziendale.

Prima di dare giudizi occorre esaminare ciò che era il Sindacato all’epoca. La CGIL, a stragrande maggioranza Comunista e Socialista, aveva cercato di fare quello che non era riuscito alle case madri e cioè portare il Socialismo in fabbrica. Dalla liberazione fino alla metà degli anni 50, c’era una forte politicizzazione del sindacato, più che del rivendicazionismo salariale erano rientrate le teorie Ordinoviste, e cioè che la classe operaia fosse propulsoria e centrale per una non ben chiara rivoluzione, per questo in fabbrica si doveva parlare più di socialismo, di pace e altre amenità dell’epoca, piuttosto che svolgere un ruolo prettamente sindacale. Soprattutto in Fiat si era creata una situazione di radicale contrapposizione con l’azienda, tanto da rendere precario il normale svolgimento del lavoro.

La sconfitta politica del Fronte Popolare aveva avuto come ripercussione la scissione della CISL e della socialdemocratica UIL. Tuttavia la CGIL restava fortemente maggioritaria. Se qualche ragione poteva esserci in FIAT, alla Olivetti dal momento che il clima, le condizioni di lavoro e i salari erano ben diversi, che si scioperasse contro l‘imperialismo americano non tenendo conto di quello russo, probabilmente per Adriano suonava inammissibile. Con la nascita del Movimento Comunità nel 55 nasce Autonomia Aziendale che in breve tempo e senza alcuna discriminazione o licenziamenti diventò il Sindacato maggioritario. Le sinistre diranno che Adriano è un capitalista peggiore degli altri perché corrompeva la classe operaia con il paternalismo.

Contemporaneamente assistiamo ad un grande sforzo organizzativo e finanziario del Movimento che Adriano sostiene con il suo patrimonio personale. I suoi critici interni, capitanati dal cognato Arrigo Olivetti, criticano la corte di architetti, medici, psicologi, sociologi a carico dell’azienda e in qualche modo anche il fatto che Adriano con il Movimento si sia fatti nemici i Partiti di sinistra, di destra e la stessa Confindustria, non rispettandone le politiche nella gestione dei contratti di lavoro.

Se Comunità aveva spopolato nel Canavese non altrettanto successe nel Paese, tanto che alle elezioni del 58, il sogno di conquistare 30 seggi si fermò ad un seggio solo che Adriano occuperà per meno di un anno, per poi lasciarlo all’amico Ferrarotti. Contemporaneamente venne messo in minoranza nel Consiglio di amministrazione della Olivetti. E’ il momento più brutto per l’Adriano politico, che però si riprende entro breve tempo, riconquista le sorelle, mette a tacere il cognato e torna in sella per potenziare, da una parte la divisione elettronica e dall’altra portare in porto la grande operazione Underwood che dovrà consentire l’ingresso negli Stati Uniti.

Morirà nel 60 nel pieno della realizzazione dei due obbiettivi. Non so se tutto sarebbe andato per il meglio, forse sì, forse no. Sta di fatto che la sua uscita di scena pose fine alla Olivetti di Camillo e Adriano, la mia Olivetti.

Quello che verrà dopo, al di là dell’esperienza De Benedetti, sarà in qualche modo la vendetta dei Partiti e della Confindustria verso un grande, visionario, irripetibile imprenditore.

Conclusioni

Il prof. Quaglieni, citando Arrigo Olivetti, denuncia i giudizi ingenerosi per l’opposizione ad Adriano. Ha perfettamente ragione, non vi era nulla di personale semplicemente una visione aziendalista più tradizionale. Probabilmente se Adriano avesse mediato, la Olivetti avrebbe affrontato meglio il dopo Adriano. Con i se e i ma non si fa la storia. Le visioni, sia aziendali come politiche di Adriano, furono un tutt’uno ed aspettarsi qualche cosa di diverso non sarebbe realistico visto il personaggio, che a a mio parere fu un grandissimo industriale, un ideologo visionario di grande spessore ma non certo un altrettanto grande politico per quegli anni e quel contesto.

Questo mio, non è un saggio, semplicemente un lungo articolo dove cerco di interpretare un personaggio non facile da raccontare. Per ragioni di spazio anche le vicende sono per grandi linee e di questo mi scuso. Spero di essere riuscito, in qualche modo, a raccontare Adriano Olivetti al di là delle critiche di quando fu in vita e delle pelose apologie da morto. Naturalmente sono aperto al dibattito.

 

Inserito il:01/10/2020 22:19:00
Ultimo aggiornamento:01/10/2020 22:29:43
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