John Yato (Japan then San Diego CA, USA) - Memories of London Bridge
La cuoca italiana - Quarta puntata
Le Feste della Signora Persi
di Marialuisa Bordoli Tittarelli
(seguito)
Il sole entrava allegro e luminoso dalla finestra spalancata.
Era il primo gennaio e la bella giornata aveva indotto la signora Persi ad aprire la finestra anche se non entrava aria di montagna, ma quella londinese. La casa era silenziosa, non c’era nessun altro oltre a lei e alla dolcissima gatta che le stava facendo i “riccioli” e cioè si strusciava alle sue caviglie inarcando un po’ la schiena e miagolando dolcemente.
- Vieni andiamo subito a fare colazione – disse la signora Persi.
Richiuse la finestra e uscì per andare in cucina, seguita dalla gatta. Mentre si muoveva sicura tra sportelli e fornelli la sua testa pensava e ripensava alle feste appena trascorse.
Era la prima volta in vita sua che si trovava da sola, in un paese straniero, senza nessun tipo di festeggiamento o di altro ammennicolo che riguardasse le festività e quant’altro.
La famiglia presso la quale lavorava come cuoca era partita al completo da una settimana, grazie a Dio portando via anche il cane, lasciando Sotie, la dolce gattina con la quale andava molto d’accordo. Le ricordava i suoi gatti italiani, ormai tutti al paradiso dei gatti, con i quali aveva trascorso anni felici di coccole e affetto intensi.
Non aveva nessuna antipatia per Puggy, il bavoso bulldog sonnolento e corpulento, tuttavia il pensiero di portarlo a spasso la terrorizzava. Non aveva una grande esperienza in fatto di cani ed era certa di non sapere come comportarsi durante una passeggiata con incontri canini. Si vedeva già con il guinzaglio attorcigliato alle caviglie mentre cercava di tenere a bada Puggy magari attaccato da un pit bull o da un rottweiler. Comunque era un evento scongiurato: i padroni di casa avevano capito le sue ansie e non le avevano mai affidato, né mai lo avrebbero fatto, la preziosa vita dell’adorato Puggy per il quale trepidavano e si agitavano più che per ogni altro componente della famiglia.
Che regalo godersi la casa tutta per sé, senza impegni, pranzi da cucinare, regali da comperare, feste da allestire…. Che strano un Natale così poco Natale.
Era contenta di questa nuova esperienza, di questo distacco dalle intense, emozionanti, ma spesso dolorosamente imbarazzanti festività. Il Natale per lei era stato quasi sempre un problema.
Lo aveva affrontato da ogni punto di vista, ogni anno diverso, ma i risultati erano stati sempre gli stessi: scarsamente soddisfacenti e culminanti con una specifica sensazione agrodolce, impossibile da eliminare. Forse perché era partita con il piede sbagliato. Ricordava infatti, con nitida, sgradevole chiarezza, un antico Natale, il primo del quale aveva ricordo.
Come tutti i bambini di quel tempo e di quell’ambiente, era stata diligentemente istruita circa la notte Santa durante la quale Gesù Bambino scendeva sulla terra con il suo asinello e portava regali ai bambini buoni.
Non stava più nella pelle al pensiero di incontrare questo Bambino Divino al quale aveva assolutamente bisogno di parlare. Non le interessavano affatto i regali, erano marginali, anzi inutili. Doveva però parlare con il Bambino.
La sera prima, sua sorella grande, di fatto sua madre, le aveva fatto preparare un piattino con dei biscotti e una piccola ciotola con del latte. Per Gesù e il suo asinello. Era andata a letto a fatica, sperando di addormentarsi subito. Prima però aveva fatto promettere solennemente alla sorella che l’avrebbe svegliata appena il Bambino fosse arrivato.
La sorella sorrideva e ripeteva – Mah sì mah sì, ora dormi però, se no non viene -.
La bambina aveva una certezza assoluta: sarebbe andata via con Gesù Bambino.
Voleva andare a giocare in quei giardini stupendi fatti di nuvole e angioletti pieni di giocattoli e fiori e stelline e allegria. Se il Bambino amava così tanto i bambini sicuramente l’avrebbe portata con lui.
Lei avrebbe tenuto l’asinello per la corda e forse sarebbe anche stata capace di non averne paura. Insomma voleva andare via. Non le piaceva affatto stare dove stava. Sua madre era morta l’anno prima e di poco lontano dal Natale.
L’aria di casa non era ancora tornata allegra e sua sorella era molto severa e lei molto imbranata. Insomma il Bambino avrebbe capito, ne era certa.
Comunque l’incontro non avvenne.
Quando si svegliò e vide filtrare da sotto la porta la luce pensò che fosse arrivato e scese dal letto a piedi scalzi contravvenendo ogni regola.
Urlò - Dov’è dov’è ? - entrando in soggiorno dove immediatamente capì che aveva mancato l’appuntamento.
Era pieno giorno. Sua sorella stava lucidando il pavimento e l’aria era profumata di miele e cera. La radio suonava una musica gradevolissima che poi scoprì era il suono del Big Ben di Londra. Il Bambino era venuto e se ne era andato. Aveva aspettato giusto il tempo affinché l’asinello bevesse il latte e le aveva lasciato un dono.
- Ma non può essere, perché non mi hai svegliato?! - gridò la bambina mentre il primo immenso dolore della sua vita le scendeva giù dentro di lei senza possibilità di essere mai più cancellato.
Sua sorella cercò di arginare quelle urla di dolore e di tradimento.
Andò svogliatamente a guardare nel salotto i “regali”. Le aveva portato una bambola bruttissima fatta di una strana sostanza tipo spugna. Non muoveva neppure le braccia e le gambe che erano attaccate al corpo rigide e il vestito era dipinto. Una vera schifezza. Sì fu proprio un bruttissimo Natale.
Tutti quelli che vennero dopo furono decisamente migliori, ma nessuno era riuscito a cancellare quella partenza sbagliata.
Ora dopo tanti anni, in una situazione ideale per curiosare seriamente dentro i ricordi del Natale, i suoi pensieri erano considerazioni semiserie sull’aria pre e post natalizia.
Questo periodo dell’anno chiamato sbrigativamente “delle feste” era interessante. Coinvolgeva tutto il mondo a dispetto delle credenze religiose.
Per quanto scettici, benpensanti, agnostici, atei, materialisti e così via…. sbuffassero con sufficienza e alzate di spalle, anche nelle loro case sicuramente arrivava il Natale con il pranzo di famiglia, i regali, gli auguri e tutto il resto, magari ridimensionato, ma se in quelle case circolavano bambini, l’aria del Natale arrivava puntualmente. E se bambini non c’erano, c’era sempre l’ombra di quelli che erano stati.
Poi le feste andavano avanti imperterrite con la preparazione della Feste delle Feste, l’addio al vecchio anno e il saluto al nuovo portandosi dietro una valanga di tradizioni, superstizioni, credenze da rispettare a scopo scaramantico. Le lenticchie, l’uva, i soldini di rame, il maialino, il vischio, la prima telefonata dell’anno fatta rigorosamente da un uomo perché porta fortuna e mille altre ancora. Lei stessa era stata maniaca.
Per anni si era ripetuta che il primo giorno dell’anno era come l’indice di tutto l’anno e allora meglio farlo all’estero perché così significava viaggi tutto l’anno, guai a litigare, un abito nuovo era di rigore per essere eleganti tutto l’anno, e poi in piena salute e in allegria….
E ci aveva proprio creduto. Ora riconsiderava il passato e le sue credenze sorridendo di gusto felice di esser più vecchia, ma anche più saggia, libera, serena.
La solitudine non faceva paura, stava bene in compagnia di se stessa. Certo le mancava un poco sua figlia, ma la sapeva felice e in buona salute e quindi tutto bene. Sua figlia che era nata proprio il primo gennaio.
A questo pensiero ricordò che non aveva risposto al cellulare quando aveva chiamato per farle gli auguri, ma anche questo non era un problema. Forse era andata a letto molto tardi per i festeggiamenti.
Il suono del campanello d’ingresso la fece sobbalzare.
- Oh Dio chi sarà?! – non aveva nessuna apprensione se non quella di trovarsi di fronte un inglese qualsiasi che cominciasse a sciorinare un lungo discorso aspirato e del quale avrebbe capito molto poco preoccupata di non fare figuracce e soprattutto danni ai padroni di casa.
Il campanello suonò di nuovo, questa volta in modo più imperioso, quasi seccato.
Brandendo fieramente il suo vocabolario tascabile si diresse alla porta d’ingresso preparando sulla bocca il sorriso migliore che riuscì a trovare e, con la frase “I’m sorry” già quasi stampata nei suoi occhi, aprì la porta.
- Mamma! Quanto ci metti ad aprire!
Oddio sua figlia!
Alla faccia delle considerazioni sulla bellezza della solitudine, sulla saggezza del riflettere da soli, sul nonsenso della feste tutti in famiglia, la povera signora Persi si trovò in lacrime senza rendersene conto mentre abbracciava la figlia indipendente, libera e intraprendente, che come regalo di compleanno si era regalata un viaggio a Londra e una visita alla mamma.
(continua)