Kathi Robinson Frank (New York's Hudson Valley) - Reflections Black, White, Grey
Pubblichiamo il “controcanto” di Cesare alle riflessioni di Gianni Di Quattro, (qui trovate il suo articolo) certi che questa nuova formula di combinata possa incontrare il gradimento dei lettori di Nel Futuro. Commenti agli articoli e a redazione@nelfuturo.com saranno graditi.
Controcanto a “Le riflessioni non hanno colore”
di Cesare Verlucca
Come sempre, Gianni,
il tuo esporre argomenti, al prossimo tuo come a te stesso, scorre come la goccia d’acqua su una roccia liscia, bella da leggere, ma lasciando i lettori sull’orlo di una serie di ragionamenti che non sempre riescono a interpretare nella loro giusta valenza.
Tu parli di come la mente disponga di una personalità che non sempre riesce a captare nel giusto modo le informazioni che le pervengono; io, in coerenza con il tuo discorso, provo a ragionare per un attimo sul mio modo di pensare quello che tu vai esponendo, ma mi fermo praticamente a riflettere sulla sua differenza rispetto al settore della carta stampata.
Non è il mio cervello a modificare la differenza, perché nella mia posizione di editore sono io a decidere se il libro che nascerà sarà in bianco e nero o a colori, e il cervello dovrà adattarsi a una decisione presa a monte, che ha tuttavia esigenza indifferibile.
E qui, caro amico, debbo fare riferimento al lavoro che ho fatto in mezzo secolo di editoria impegnata. Ho molto più di mille volumi alle spalle, usciti nell’una e nell’altra versione coloristica e posso esprimere un mio parere sull’argomento, riferendomi ai tantissimi fotografi che hanno intrecciato la loro attività con la mia. Potrei citarne a iosa, e con molti ho scambiato punti di vista che, tra l’altro, coinvolgono i costi di produzione dell’opera rispetto alla stampa nell’una o nell’altra coloritudine.
Ricordo il discorso con un fotografo di superba eccellenza, Gianni Berengo Gardin; era il tempo in cui, per conto di Priuli&Verlucca, editori, lui realizzava il volume su Una città, una fabbrica. Ivrea e la Olivetti dal 1967 al 1985, su testo di Renzo Zorzi.
Ricordo che con l’amico Gianni B.G. avevo discusso se le foto a colori o in bianco e nero dessero una diversa valenza visiva delle immagini presentate e quale fosse preferibile; e insieme avevamo concordemente convenuto che il colore trasformasse spesso il messaggio visivo in una cartolina, mentre il bianco e nero fosse più realistico sulla realtà dell’oggetto, e soddisfacesse maggiormente l’anima della persona che aveva operato lo scatto. Sono tuttora dello stesso parere.
Nella mia lunga vicenda esistenziale ho assai spesso accompagnato in giro per il mondo questi artisti della macchina fotografica, che non scattavano come gli attuali, ai quali basta schiacciare un bottone per ottenere decine di immagini, e poi scegliere lo scatto preferito buttando tutto il resto. All’epoca, le immagini fatte dovevano essere stampate per poi decidere quali scegliere, per cui il fotografo attendeva che il colore, o la luce, o la nuvola, o quant’altro fossero di suo gradimento prima di scattare una foto: lasciami offrirti l’esempio di un episodio vero (ma ne avrei a gogò).
Ero in Calabria con un grande fotografo, alla fine del secolo scorso. Avevamo deciso di andare a Pentedattilo, una frazione di Meleto Ponte Salvo in provincia di Reggio Calabria. Un borgo fascinoso arrampicato sul monte Calvario, abbandonato da pochi anni dalla popolazione. Il nome deriva dal greco (cinque dita) grazie alla forma della rocca su cui giace, simile a una gigantesca mano di pietra.
Il fotografo aspettava che si spostasse una nuvola per avere il quadro che lui aveva in mente di realizzare, ma la nuvola continuava a impedirgli di ottener il capolavoro che lui si attendeva. Siamo rimasti un’ora sperando che il quadro assumesse l’aspetto che il fotografo aveva in mente, poi siamo rientrati a Reggio, e tornati il giorno appresso.
Altri tempi, altri eroi, altre fantasie.