Friedrich August von Kaulbach (Hannover, 1850 – Monaco, 1920) - "Deutschland August 1914"
Da Sarajevo alla Brexit - La notte d'Europa
(3) Il primo attore: la Germania
di Mauro Lanzi
(Seguito)
“Occorre comprendere che la guerra è norma, la giustizia è lotta,
e tutto avviene per necessità e costrizione”
Eraclito
Il Trattato di Versailles, che conclude il conflitto, contempla, all’art 231, un paragrafo duramente contestato, sia durante il negoziato, che negli anni successivi alla ratifica del trattato di pace.
"la Germania riconosce che lei ed i suoi alleati sono responsabili, per averli causati, di tutti i danni subìti dai Governi Alleati ed associati e dai loro cittadini a seguito della guerra, che a loro è stata imposta dall'aggressione della Germania e dei suoi alleati".
Non è questa la sede per analizzare a fondo e dirimere la questione delle responsabilità del primo conflitto mondiale e di come esse vadano ripartite tra tutti i belligeranti; visto però quanto esposto in precedenza, non possiamo esimerci dal rilevare che il paese, che il testo di Versailles proietta al centro della scena, la Germania, è stata, ed è ancora ai nostri giorni, il fulcro, la protagonista delle vicende europee degli ultimi 150 anni, e anche solo per questo motivo l’argomento merita attenzione.
Il discorso riguardante questa nazione, il suo ruolo e le sue responsabilità per le sorti europee, anche volendo considerarli in un contesto più ampio, è sempre stato e resta difficile e spinoso, ma, se è fondamentale comprendere i motivi di quella guerra, dei fatti che seguirono, e, anche, di alcuni aspetti della realtà contemporanea, è necessario ed inevitabile affrontare questo punto, prima e più di altri, proprio per il peso preponderante che l’oggetto ha sempre avuto rispetto al resto d’Europa; cercheremo quindi di ricostruire gli eventi pregressi per delineare, “sine ira et studio”, scevri da passioni e preconcetti, pregi e difetti, struttura e carenze, in generale i lineamenti di un paese, la Germania, quale esso si presentò, da protagonista, all’appuntamento di quel fatidico 1914 e per capire, forse, cosa ne rimane.
La nascita della Germania moderna si può far risalire al 1525, quando Alberto di Hohenzollern, ultimo Grande Maestro dell’ordine dei Cavalieri Teutoni aderisce alla religione riformata e, su consiglio dello stesso Martin Lutero, trasforma i possedimenti dell’ordine nel Granducato di Prussia.
Non è superfluo sottolineare come il nocciolo della futura Germania abbia origine da una struttura militare, rigidamente organizzata in forma gerarchica, quale erano i Cavalieri.
Inizialmente soggetti alla Polonia, allora potenza dominante, i granduchi seppero affrancarsi da questo stato di minorità, giungendo presto alla dignità di Principi Elettori, Kurfursten, cioè coloro che designavano l’imperatore romano.
Il secondo momento da evidenziare nelle vicende di questo paese si colloca nella prima metà del ‘700, quando la Prussia, divenuta regno, viene governata con pugno di ferro dai due Re soldato, Federico Guglielmo I e Federico II, il Grande. Questi, convinti che un piccolo regno potesse sopravvivere solo con il sostegno di un esercito forte, trasformano la Prussia in una grande caserma, con l'arruolamento forzoso di tutti gli uomini validi; riescono anche a dare al paese un’ossatura di grande spessore, cooptando d’imperio, nell’amministrazione e nell’esercito la classe dei grandi proprietari terrieri, gli Junker, cui concedevano rango, privilegi ed onori. Vale la pena osservare che la giurisdizione, i poteri, la presenza ubiquitaria di questa nobiltà facevano della Prussia del XVIII secolo un sistema feudale perfetto, che qui si afferma, mentre in tutto il resto d’Europa è agli sgoccioli (siamo alla vigilia della Rivoluzione Francese); merito forse anche delle qualità morali di quei personaggi.
Mentre in Francia o in Italia la nobiltà vedeva nel proprio rango anche un motivo per soddisfare passioni e ambizioni, procurarsi ricchezze o piaceri, la nobiltà prussiana, educata ai rigidi principi del luteranesimo, interpreta il proprio ruolo come una missione, un dovere da compiere con austerità, patriottismo e dedizione assoluti. E’ un fatto che questa struttura di potere, rigida interprete di leggi e ordini, legata al monarca da un vincolo di fedeltà indiscussa, SOPRAVVIVE A TUTTO, alle guerre napoleoniche, alla rivoluzione industriale, al sorgere del socialismo, al regime parlamentare, financo alla prima guerra mondiale.
Il terzo momento che attrae la nostra attenzione è la trasformazione della monarchia prussiana in Reich, avvenuta sotto la regia di un politico geniale, Otto von Bismarck. Egli stesso uno Junker, Bismarck giunge al potere nel 1862, dopo un significativo tirocinio diplomatico, come ambasciatore a Parigi e San Pietroburgo: ispirato probabilmente dall’esempio del Piemonte, si pone come obiettivo, da subito, la riunificazione della Germania sotto l'egida della Prussia, realizzandola in tre tappe: guerra con la Danimarca per lo Schleswig Holstein (1864), guerra con l’Austria (1866), guerra con la Francia (1870). Bismarck disponeva, per i suoi fini, di uno strumento straordinario, l’esercito prussiano, rinnovato e profondamente modificato dalle esperienze e dalle idee prodotte dalla Accademia di Guerra (Kriegsakademie), sorta nel 1810 a Berlino a seguito delle sconfitte nelle guerre napoleoniche. Proprio prendendo spunto da quei disastri, i generali prussiani (tra cui i nomi di Von Clausewitz, Gneisenau, Von Moltke il vecchio) si erano adattati a studiare sistematicamente il loro grande avversario, acquisendo così i concetti, le tattiche, le strategie, il valore del controllo del morale degli uomini, il livello d’addestramento che faranno dell’esercito tedesco, per più di un secolo, una forza ineguagliata in Europa.
La genesi di questa superiorità ci porta ad asserire che fu l’esercito tedesco, non quello francese, il vero interprete ed erede del genio napoleonico!!
Per Bismarck la guerra è (come per Clausewitz) la prosecuzione della politica con altri mezzi, ma, proprio per questo, poiché il fine ultimo del suo progetto è politico, sa usare lo strumento militare con sagacia e senso della misura: coinvolge l’Austria nella guerra contro la Danimarca, poi, traendo spunto dai contrasti tra i vincitori, attacca l’Austria in quella che per noi è la III Guerra d’Indipendenza. Sconfitto l’esercito austriaco a Koenigsgratz (Sadowa nei nostri testi), non affonda il colpo, giungendo sino a Vienna, come voleva il suo re, ma si limita ad estromettere l'Austria dalla politica tedesca, di cui la Prussia diviene leader indiscusso. Infine, con l’occasione di una mediocre contesa diplomatica, induce la Francia dell’ormai declinante II Impero all’errore fatale, la dichiarazione di guerra alla Prussia, guerra in cui Bismarck sa coinvolgere tutti gli stati tedeschi, fino alla proclamazione, dopo la vittoria, del II REICH tedesco, il 18 Gennaio 1871, nel salone degli specchi di Versailles.
Sotto lo sguardo attonito dell’Europa era nata una nuova, grande, minacciosa potenza; una nazione compatta (malgrado le superstiti autonomie), per lingua, cultura, senso di appartenenza, che si estendeva dalle Alpi Bavaresi, all’Alsazia, al mare del Nord, al mar Baltico incorporando gran parte della attuale Polonia, parti della Francia ed anche della Russia; alla vigilia della guerra, la Germania contava con una popolazione di 65 milioni di abitanti, contro i 35 della Francia, i 40 dell’Inghilterra e i 25 dell’Italia, numeri che parlano da soli, soprattutto se accompagnati da un impetuoso sviluppo economico, da una assoluta supremazia tecnica e industriale, da una forza militare ineguagliata in Europa e nel mondo.
La struttura politica interna del paese, purtroppo, non si sviluppa di pari passo alla sua potenza economica e militare, ma rimane ancorata al modello politico ereditato dal secolo precedente, un modello, come si è detto, feudale. Bismarck non si preoccupa certo di cambiarlo, essendo, come era, convinto assertore del ruolo di monarchia ed aristocrazia nel futuro del paese.
Il militarismo del periodo guglielmino nasce dalla storia della Germania, passata e recente, ma anche, dalle lacune e carenze del suo sistema politico e della sua dirigenza.
Purtroppo la sconfitta nella prima guerra mondiale non modifica i lineamenti fondamentali del paese, la guerra si conclude senza una grande vittoria campale, gli eserciti alleati non entrano in territorio tedesco, le strutture portanti del paese, industria, giustizia, classi dirigenti sopravvivono all’immane disastro e costituiranno, in seguito, la base per l’assurda vicenda hitleriana.
Ben diverse sono state le conseguenze della seconda guerra mondiale, dalla quale la nazione uscì distrutta, passata per un tritacarne; niente più esercito, niente più aristocrazia al vertice della politica, persa inizialmente anche l’unità nazionale, scomparsi ruolo e dignità internazionali.
Eppure, trascorsi non molti anni, il primo attore è tornato, con lineamenti diversi, ma con lo stesso peso, al centro dell’Europa. Ma cosa è rimasto di un passato così determinante per le sorti del continente, in che modo ed in che misura il profondo immutabile del paese influirà sul futuro d’Europa?
Vexata quaestio….