Ted Zuber (Montreal, Quebec, 1932 - ) - A Long Day at Doha
Morte del mito
di Vincenzo Rampolla
Fin dalla guerra del Golfo e poi
guerra dopo guerra, in
Albania
Serbia
Kossovo
Croazia
Bosnia
Afghanistan
Indonesia
Etiopia
Sudan
Nigeria
Costa d’Avorio
e così via
fino alla guerra in
Iraq
Siria
Libano
Palestina
e via di questo passo.
Alla radio, alla televisione, nei quotidiani, nei programmi speciali,
i resoconti dei giornalisti sono identici, tutti, click, click.
Sostituisci il nome di un Paese con un altro, chi se ne accorge?
La sequenza delle immagini, la chirurgia dei bombardamenti, le colate di sangue sui marciapiedi, gli autobus sventrati, i rapimenti, le teste mozzate e i campi di accoglienza, le carrette del mare che rigurgitano profughi, le dichiarazioni dei politici, la faccia dei commentatori, la velocità isterica dei loro racconti, click, click, tutto è identico, stereotipo, ricalcato dal servizio precedente. Ogni nuovo racconto è la fotocopia vivente del precedente. Basta un solo servizio per creare l’infinità dei successivi programmi clonati. Non c’è angoscia, non c’è ansia, non c’è pietà.
C’è informazione. Informazione pura. Essenza purissima. Distillata.
Chi parla emette ondate di lampi sonori, articolazioni vocali, click
nate e disperse nell’etere della comunicazione. Nessun evento ha una storia.
La parola d’ordine è colpire l’immaginazione, click,
suscitare sdegno e orrore, click, colpire ancora e ricominciare, click.
Non lasciare traccia, Agire con l’onda successiva di messaggi come spugna che lava la precedente. Tutti i messaggi entrano e escono simultaneamente.
Non c’e storia.
Non c’è mito.
Non c’è umanità.
I neuroni sono ibernati, saponificati,
le notizie sono vomitate, non digerite,
fluttuano nel vuoto di una memoria inerte
memoria impotente
non-memoria, non-uomo, non-io,
click.