Aggiornato al 25/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Arnold Boecklin (1827-1901) - L’isola dei morti  - 1883

 

Quei morti mai davvero morti

di Anna Maria Pacilli

 

Quando ero piccola, la notte a cavallo tra il 1 e il 2 Novembre era festa. Come in una specie di processione i miei defunti, quelli che nonna aveva magistralmente posizionato in bella vista, circondati d’argento, di affettuosi ricordi, e con dei lumini davanti perché si potessero vedere anche al buio, sul suo comò, venivano a farmi visita.

Per me, così piccina, quei personaggi dovevano essere deceduti già molto anziani, dovevano certamente aver trascorso una bella vita, nonna e zia ne parlavano come guerrieri avventurosi.

Sì, anche le donne erano state personaggi forti, anche loro “combattenti”.
 Magicamente quella notte potevano scendere dal comò ed avevano il potere di raggiungermi nel sonno. Facevano piano però, i loro passi erano felpati: non una volta mi avevano svegliato, in tanti anni.

E, non sapevo come, ma venivano a trovarmi a casa mia, dove abitavo con i miei genitori. Nonno Salvatore, il papà di mamma, certamente conosceva la strada, ma nonno Riccardo, il papà di mio papà non poteva conoscerla, era morto molto prima che i miei genitori si sposassero. Ed era morto a Milano.

Ma forse, fantasticavo, si davano appuntamento da qualche parte e venivano assieme. E così al mattino, al risveglio, ritrovavo le loro tracce: mi lasciavano una letterina un po’ bruciacchiata (venivano dall’Inferno, mi chiedevo a volte, o avevano le mani molto calde per colpa di quella fiamma dei lumini), che poi scoprii mi preparava il mio papà, con i loro saluti e tanti regali e dolciumi. Era una bella festa e, così, anche quando scoprii che l’artefice di quella specie di magia era papà, finsi di continuare a crederci per poter festeggiare con loro.

Nel mio meridione i morti non muoiono mai davvero, restano tra noi, a scrutarci, a guidarci e, se necessario, perfino ad aiutarci. Eduardo De Filippo, in una delle sue più celebri commedie, sosteneva che i morti sono sotto i tappeti, sotto le sedie, sotto i mobili, un po’ ovunque, insomma.


Ecco perché al Sud quello dei morti, è un giorno che non solo va celebrato ma festeggiato.
 In Puglia esiste tutt’oggi l’usanza di imbandire la tavola per cena, per permettere ai morti che faranno visita alla casa di rifocillarsi. Più grande ed invitante sarà il banchetto, maggiore sarà la possibilità che i defunti restino in casa fino a Natale ed in alcuni casi fino al giorno dell’Epifania.


Ma, tornando a me, il tempo passava ed io continuavo a crescere. E non solo in altezza, che mio papà misurava segnandola con una asticella rossa sullo stipite della porta della cucina. Le mie responsabilità di scolara aumentavano ed i miei cari invecchiavano. Ero già adulta quando mancarono le mie nonne, quando mancò la tata Graziella e loro non vennero mai a trovarmi quella famosa notte di festa.

Era passato il tempo dell’infanzia. Era passato il tempo dei giochi. Ed ora che della mia famiglia non è rimasto più nessuno se non qualche cugino, mi capita, come a tutti credo, a volte, di desiderare anche solo per un istante di tornare bambina.

Così, ora che vivo in una terra che non è quella natia, a volte mi capita di sentirmi disorientata e quando mi è possibile, purtroppo sempre meno, far ritorno in Puglia, fra le mie cose, respiro a pieni polmoni l’aria colma di polvere e dei miei ricordi.

 

Inserito il:01/11/2016 09:43:25
Ultimo aggiornamento:01/11/2016 09:58:44
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