Albert Richards (Liverpool, 1919 - Paesi Bassi, 1945) - The Siegfried Line between Heerlen and Aachen
Germania ultimo atto - (3)
di Mauro Lanzi
3. Alle frontiere della Germania
Le mura di Metz
Tra agosto ed i primi di settembre la III Armata di Patton aveva percorso in 26 giorni una distanza di 750 km: poi, da settembre all’inizio della primavera gran parte dei combattimenti su tutta la linea del fronte si svolgeranno entro una fascia di 30 km di larghezza al massimo, l’avanzata degli alleati aveva perso ogni slancio. Sarebbe troppo facile e forse anche ingiusto attribuire tutte queste difficoltà al fallimento dell’attacco su Arnhem; le responsabilità di Montgomery sono state acclarate da tutti gli storici, ma bisogna anche riconoscere che gli Alleati furono sorpresi dalla portata stessa del loro successo, non avevano piani operativi per la prosecuzione del conflitto alle frontiere tedesche, soprattutto non avevano comandi militari capaci di intuire e sfruttare in modo adeguato le opportunità che in quel fatidico settembre si presentavano loro, per la disparità delle forze in campo. Una volta, mentre presidiava l’allestimento del Vallo Atlantico, Rommel, in un momento di sconforto, si era lasciato andare a dichiarare; ”Ci fossi io dall’altra parte, arriverei a Parigi in due settimane”. Così, in quel fatidico settembre, un Rommel sarebbe giunto a Berlino in quanto? Due mesi?
Da parte alleata non c’erano capi militari di quella levatura: di Eisenhower si è già detto, non aveva competenze operative, né esperienza diretta sul campo; Montgomery si era bruciato, non solo con il fallimento ad Arnhem, ma per la sua presunzione ed arroganza; lo stesso Omar Bradley che Eisenhower aveva voluto a capo delle armate americane, assomigliava al suo superiore, un gestore più che uno stratega.
Anche la disposizione della I e III Armata americane (sotto a destra) non appariva ottimale; Montgomery aveva chiesto ed ottenuto che la I Armata di Hodges spostasse il baricentro della sua avanzata a nord delle Ardenne, verso Aquisgrana, per coprire il fianco alla sua avanzata; Hodges non riuscì a superare rapidamente la tenace resistenza degli avamposti tedeschi, l’offensiva inglese si esaurì molto prima che gli americani riuscissero a portare un significativo aiuto. In compenso, le due ali dello schieramento americano si erano allontanate in modo da non potere darsi un sostegno a vicenda, in mezzo c’erano le Ardenne, che gli americani consideravano inadatte per manovre di mezzi corazzati.
Patton, rimasto a secco già a fine agosto, aveva riacceso i motori il 4 settembre giungendo l’8 settembre di fronte alla città di Metz, ma qui lo attendeva un’amara sorpresa; in pochi giorni i tedeschi erano riusciti a riorganizzarsi e sfruttare al meglio le possenti fortificazioni create dal grande architetto militare Vauban nel XVII secolo; inoltre, il comandante tedesco Von Rundstedt, che temeva Patton più di ogni altro generale nemico, stava dislocando in quella zona il meglio delle forze corazzate che aveva a disposizione. La III Armata si trovò quindi a dover affrontare una gigantesca battaglia di carri per poi investire Metz in un lungo, logorante assedio che si concluderà solo a fine novembre. Isolato in una posizione periferica, Patton non poté esprimere in quella occasione le sue capacità, il sogno di giungere al Reno era svanito.
Restava aperta la partita al centro dello schieramento alleato; Hodges non era arrivato ad appoggiare efficacemente Montgomery, ma proseguiva la sua avanzata verso le fortificazioni tedesche, il Vallo Occidentale; in più di una occasione i suoi reparti di punta erano riusciti ad aprire dei varchi nello schieramento germanico, gli americani disponevano di un potenziale di uomini e carri infinitamente superiore al nemico; eppure, ogni volta che si presentava una opportunità, ufficiali timorosi o inesperti esitavano, si fermavano in attesa di rinforzi, così piccoli gruppi di soldati tedeschi, che combattevano con disperato coraggio, riuscivano ad arrestare contingenti americani molto superiori in numero ed armamento.
La guerra è anche fatta di episodi, i grandi comandanti sono quelli che combattono ogni scontro come fosse la battaglia decisiva; una mancanza di audacia e determinazione fece perdere alla I Armata la possibilità di uno sfondamento che sembrava ed era a portata di mano. Bradley ed Hodges non si resero conto di quanto irripetibili fossero le occasioni che si presentavano, lasciarono ogni volta ai tedeschi il tempo di riorganizzarsi, così il terreno che a settembre poteva essere agevolmente guadagnato, dovette essere conquistato metro per metro, a costo di sacrifici, lacrime e sangue, nei mesi a venire.
Aquisgrana fu la prima città tedesca a cadere in mano agli americani; ai primi di ottobre le truppe di Hodges investirono le difese esterne della città, iniziando una metodica manovra di accerchiamento. Malgrado le incursioni aeree ed il sistematico martellamento dell’artiglieria, le fanterie americane dovettero aprirsi la strada con fatica e sacrifici immani, solo il 21 ottobre cadde l’ultima resistenza nella città devastata. Il Reno distava solo 60 km, ma la I Armata era esausta, aveva bisogno di riposo e di rincalzi; poi ci fu la foresta di Hurtgen che dovette essere espugnata metro per metro ad un costo elevatissimo per le truppe americane. A fine novembre l’obiettivo di uno sfondamento sul Reno fu abbandonato, si apprestarono i quartieri d’inverno.
Una degli aspetti più sorprendenti di questo periodo del conflitto fu l’ostinata capacità di resistenza della Germania e la presa che Hitler continuava ad avere sul paese. Tre furono i motivi di questa portentosa resilienza: in primo luogo lo straordinario talento organizzativo di Albert Speer (nella foto sopra), l’architetto “personale” di Hitler, che preposto alla produzione militare dal ‘42, grazie al lavoro coatto di decine di migliaia di prigionieri o civili rastrellati nei paesi occupati, fu in grado di alimentare la Wehrmacht con un flusso di armi (carri e aerei compresi), munizioni e rifornimenti incredibile viste le circostanze.
In secondo luogo l’efficienza del sistema repressivo messo in piedi da Himmler.
Una delle più fosche lezioni impartite dalla storia moderna è che, mentre democrazie o, anche, blande dittature sono propense a crollare a seguito di grosse debacles, le dittature più feroci, disposte a trucidare migliaia o decine di migliaia di oppositori, veri o presunti, resistono fino alla fine, fino alla morte del capo.
Il terzo fattore, forse il principale, che consentì ad Hitler di portare avanti per mesi ancora i suoi folli piani fu il sostegno, l’inflessibile fedeltà dell’esercito; l’attentato del 20 luglio ’44 era fallito non tanto, o non soltanto, per un contrattempo tecnico, quanto perché non aveva trovato seguito tra gli alti gradi dell’esercito. I vari Von Rundstedt, Von Manstein, Model, Guderian si erano resi conto, fin da Stalingrado, che la guerra era persa, avevano anche criticato duramente, in varie occasioni, i piani di Hitler, avevano toccato con mano le sue responsabilità nella disfatta in Francia, pure gli rimasero fedeli fino in fondo, impegnando tutta la loro professionalità nell’eseguire i suoi ordini, anche i più assurdi, i più forieri di amare conseguenze.
Concetti come “dovere” ed “onore” schermavano, nella loro mente, ogni considerazione in merito al futuro della loro stessa terra, della loro stessa gente; a differenza del soldato semplice, imbevuto di propaganda, loro almeno erano ben coscienti che qualunque linea d’azione, qualunque sacrificio non poteva che ritardare l’inevitabile; eppure continuarono a svolgere il loro ruolo in modo impeccabile (o irresponsabile) fino alla fine. La Germania pagò un prezzo altissimo all’ostinata resistenza sul fronte occidentale; gli orrori dell’invasione e dell’occupazione sovietica si sarebbero potuti, almeno in parte, evitare, lasciando il passo ad una rapida avanzata degli Anglo americani.
Molti milioni di tedeschi uccisi, torturati, di donne stuprate, devono il loro calvario, la loro morte al senso di “dovere” ed “onore” dei generali di Hitler, corresponsabili, con i gerarchi nazisti, del martirio della loro stessa patria.