Pontormo (Empoli, 1494 - Frenze, 1557) - Cosimo il Vecchio
Le grandi famiglie: I Medici - 7 - Ascesa e splendore di Casa Medici
di Mauro Lanzi
7. Cosimo, “Pater Patriae"
Il terzo strumento, che Cosimo utilizza per imporre e consolidare il suo controllo occulto, ma non troppo, sul governo della città, è la politica estera; Cosimo ha bisogno che i fiorentini vedano in lui, e poi nei suoi successori, la vera forza motrice della Repubblica, il referente dello Stato a fronte dei potentati stranieri, la figura capace di condurre meglio di chiunque altro i rapporti internazionali.
Dei rapporti preferenziali col Vaticano si è già parlato: il nuovo Papa Eugenio IV, costretto lontano da Roma per i disordini che imperversavano nella città, fomentati dai Colonna, risiedette per quasi nove anni a Firenze nel convento di Santa Maria Novella e fu proprio lui a consacrare solennemente la cattedrale il 25 marzo 1436, dopo che il Brunelleschi aveva concluso i lavori della cupola.
Proprio grazie alla permanenza del Pontefice a Firenze a Cosimo riesce un vero colpo da maestro: convince il Papa a far trasferire da Ferrara a Firenze il Concilio che Eugenio IV aveva indetto nel 1438 per favorire una ricomposizione tra le Chiese d’Oriente ed Occidente; il Papa aveva fatto credere all’imperatore Giovanni Paleologo che un ravvicinamento tra le due chiese avrebbe reso più facile un intervento armato degli stati occidentali a sostegno di Costantinopoli, che stava boccheggiando sotto gli attacchi ottomani.
L’ingresso della delegazione orientale a Firenze nel febbraio del 1439 fu uno spettacolo che difficilmente i fiorentini riusciranno a dimenticare e che riecheggia in tante opere pittoriche dell’epoca, una fra tutte la celeberrima “Cavalcata dei Re Magi” di Benozzo Gozzoli, che adorna una sala di Palazzo Medici. Firenze divenne in quegli anni il centro d’Europa: al concilio, che teneva le sue riunioni nella cattedrale, sotto la cupola del Brunelleschi, prendevano parte, oltre all’imperatore Giovanni Paleologo, al Patriarca di Costantinopoli, Giuseppe, al cardinal Bessarione, vescovo di Nicea, tutto uno stuolo di eruditi e studiosi, i quali portarono con sé una ventata di idee e di conoscenze della tradizione classica, destinate ad incidere profondamente sul futuro sviluppo della cultura rinascimentale.
Il Concilio non condusse di per sé a risultati significativi: l’accordo siglato a Firenze, grazie all’abile mediazione del Bessarione sulle spinose questioni dello Spirito Santo e della supremazia della sede romana, fu immediatamente rigettato, quando sottoposto ad approvazione, dal popolo e dal clero greci, che giunsero a gridare che preferivano vedere per strada il turbante di un turco piuttosto che il cappello di un cardinale; furono presto accontentati!
Nonostante ciò, il segno lasciato a Firenze ed in Italia da questo evento fu profondo e duraturo: la presenza di delegati cattolici e ortodossi nella città toscana non fu soltanto fonte di prestigio per la piccola Repubblica e, di conseguenza, per Cosimo, ma anche una spinta importante per la stessa economia: un evento di rilievo mondiale fece rivolgere gli sguardi dei sovrani italiani ed europei su Firenze, oltreché degli stessi mercanti attirati da quell'ambiente cosmopolita. Alcuni eminenti personaggi della delegazione greca, tra cui Gemisto Pletone, l’Argiropulo, lo stesso Bessarione, si fermarono a Firenze, dopo la fine del concilio; di più, dopo la caduta di Costantinopoli (1453) i legami di considerazione ed amicizia che si erano creati in quelle circostanze fecero sì che molti altri sapienti ed eruditi in fuga da quella città scegliessero come rifugio Firenze, facendone il centro della cultura classica in Italia, la “nuova Atene”. Una prodigiosa fioritura di studi sulla filosofia platonica e sulla letteratura greca, una eccezionale raccolta di antichi codici acquistati soprattutto da Cosimo giustificavano appieno questo appellativo.
Cosimo ebbe anche l’accortezza di finanziare di tasca propria le spese del soggiorno della delegazione, in modo che queste non pesassero sulle casse dello stato: gliene derivarono riconoscenza e considerazione universali.
In tutto ciò, una chiosa a parte merita la figura del cardinale Giovanni Bessarione (qui sopra), che oltre ad essere un fine politico ed un grande erudito era anche un “bon vivant” e come tale ha lasciato traccia. Tutti conosciamo l’arista di maiale; sembra che assaggiandola Bessarione abbia esclamato “aristos”, che in greco vuol dire ottimo, ma i fiorentini pensarono al nome del piatto, che così è rimasto. Un altro episodio riguarda il tipico passito toscano, il “vinsanto”, che deve il suo nome all’essere paragonato al vino dell’isola di Xantos, sempre dall’ineffabile Bessarione. L’effimero, a volte, sopravvive ad aspetti ben più gravi di storia e cronaca politica!!
A parte questi eventi, la politica italiana era fonte di continue preoccupazioni per Cosimo, che, in un primo tempo, non poté che proseguire per la strada tracciata dai suoi predecessori, l’alleanza con Venezia contro Milano; nel 1446 i fiorentini infliggono una sconfitta significativa all’eterno nemico milanese con la battaglia d’Anghiari, a molti nota per il famoso cartone di Leonardo, ma non è questo il successo a cui ambisce Cosimo, è la pace il dono più prezioso che vuole consegnare ai suoi concittadini; gli anni, i secoli precedenti avevano visto il succedersi di guerre e guerricciole, in cui ad ogni vittoria seguiva inevitabilmente un rovescio, in un continuo alternarsi che aveva l’unico risultato di dissanguare le casse della Repubblica.
Cosimo vuole spezzare questo circolo vizioso e grazie ad un insieme di abilità e fortuna riesce nel suo intento. L’evento determinante accade nel 1447 con la morte, senza eredi maschi, del signore di Milano, Filippo Maria Visconti. Il popolo di Milano cerca di approfittare di questa circostanza per restaurare l’antica libertà, proclamando la Repubblica Ambrosiana, ma l’esperimento dura poco, causa le insanabili contese tra le grandi famiglie.
Approfittando dei disordini, nel 1450 entra a Milano il condottiero Francesco Sforza, figlio del più grande capitano di ventura del quattrocento, Muzio Attendolo, detto lo Sforza, per la sua prestanza fisica. Alla sua morte, Francesco, che pure era figlio illegittimo, aveva ereditato il bene più prezioso del padre, la compagnia di ventura, mettendosi al servizio dei vari stati italiani, in particolare, prima Venezia e poi Milano; Filippo Maria, l’ultimo dei Visconti, per legarlo a sé nell’eterna
contesa contro i veneziani, gli aveva dato in sposa la figlia Bianca Maria (sopra il ritratto dei coniugi) ed è proprio questo il titolo di legittimità su cui Francesco fa leva per impadronirsi della città, impresa che gli riesce, anche e soprattutto, grazie all’aiuto finanziario di Cosimo: i buoni rapporti di amicizia tra i due personaggi ed i comuni interessi, nati da queste vicende, si trasformano ben presto in formale alleanza, con un vero e proprio rovesciamento dei rapporti politici. Milano, eterna nemica di Firenze, diviene la sua migliore alleata, mentre si raffreddano i rapporti con Venezia: i fiorentini faticano a digerire questa novità, ma la successiva pace di Lodi (1454), nominalmente tra Milano e Venezia, nata grazie alla mediazione di Cosimo, diviene l’asse portante degli equilibri in Italia, assicurando quasi mezzo secolo di serenità e prosperità alla penisola. Quando questa pace non reggerà più e quando i Medici non reggeranno più Firenze, una infinita sequela di sciagure si abbatterà sul nostro paese: tanto fu il merito di quest’uomo eccezionale.
Giunto al crepuscolo della sua esistenza (alla firma della pace aveva già 65 anni), Cosimo può guardare indietro con legittimo orgoglio al risultato della sua vita; dei successi in politica abbiamo parlato, ma l’impegno nella vita pubblica non aveva distratto Cosimo dalla gestione degli affari di famiglia: il patrimonio della compagnia di famiglia, malgrado le generose donazioni che solo in parte sono state descritte (nel “Libro di Ragione” compaiono elargizioni annue in favore di monasteri ed istituzioni benefiche superiori a tutte le entrate dello stato fiorentino), si era raddoppiato: la rete di agenzie della famiglia si era estesa per tutta Europa da Napoli ad Avignone a Cracovia a Milano, dove fungeva quasi da ministero delle finanze, come a Roma. Cosimo pretendeva la più assoluta lealtà dai direttori delle varie filiali, nelle quali erano coinvolti i rappresentanti delle principali famiglie fiorentine, che vi potevano lavorare come semplici dipendenti ovvero investire anche capitali propri nella filiale in cui operavano.
Il patrimonio familiare si era arricchito anche dal punto di vista immobiliare: a quanto già esistente, si erano aggiunte la villa di Careggi
(residenza prediletta da Cosimo, oggi dichiarata dall’Unesco “Patrimonio dell’Umanità”), Cafaggiolo e villa Medici a Fiesole, ma soprattutto palazzo Medici, in
via Larga, la cui costruzione interrotta al momento dell’esilio di Cosimo, era stata successivamente completata nel 1440. Il palazzo esiste ancora in Via Cavour (si chiama oggi Palazzo Medici-Riccardi, dal nome della famiglia a cui i Medici l’avevano venduto, dopo essersi trasferiti a Palazzo Pitti) ed è caratterizzato esternamente dallo stile sobrio ed austero del Michelozzo, grazie all’impiego di materiali poveri, come pietra grigia ed al piano terra di bugnato, sembra concepito come una fortezza (e tale divenne nei momenti più drammatici). Ciò nulla toglie all’imponenza ed allo splendore della dimora: al confronto i re di Francia ed Inghilterra vivevano in tuguri!
Ma il Palazzo riserva altre sorprese: non solo la “limonaia”, oasi inattesa di verde, in centro città, ma, soprattutto il cortile in stile classico, che coglie di sorpresa il visitatore, per il contrasto con la severità degli esterni; bisognerebbe immaginarlo adornato da tesori d’arte inestimabili, quali il Davide e la Giuditta ed Oloferne di Donatello, mentre ai piani superiori si potevano ammirare quadri del Pollaiolo, di Filippino Lippi e tanti altri, tutte opere asportate nel corso del saccheggio del Palazzo, nel 1494. Rimane di tanto splendore solo l’affresco di Benozzo Gozzoli, la Cavalcata dei Re Magi, di recente restaurato. Benché l’opera sia stata commissionata da Piero, merita parlarne in questa sede perché illustra un episodio della vita di Cosimo, l’entrata in Firenze dei delegati del grande concilio: è il capolavoro di un grandissimo artista, Benozzo Gozzoli, che affrescò, per conto di Piero, la cappella del palazzo: il Gozzoli, allievo di Beato Angelico, rappresenta sulle pareti del coro due scene della Natività, ambientate tra giardini all’italiana e paesaggi boscosi, animate da angeli che cantano. Ma l’opera più famosa si vede sulla navata ed è il Viaggio dei Re Magi a Betlemme: qui il pittore si stacca dal motivo religioso ed entra nella storia di Firenze, nella storia dei Medici: Benozzo racconta nel quadro come il grande Concilio del 1439 si fosse tenuto a Firenze per opera dei Medici, come grazie a questa famiglia Firenze fosse diventata il centro della politica, della religione, della cultura del mondo: nelle fattezze del primo Re è rappresentato il Patriarca di Costantinopoli, Giuseppe; è il vecchio sul mulo, la cui figura è stata tagliata a metà dall’apertura di una porta.
Quale secondo Re, Benozzo scelse Giovanni Paleologo, imperatore di Costantinopoli, il vero successore di Costantino il Grande (immagini sopra): come terzo Re compare Lorenzo, il giovane erede della famiglia, rappresentato con l’armatura che indossava in un famoso torneo, di cui parleremo: dietro seguono i due fratelli, Cosimo, con il cavallo che reca sulla gualdrappa la sua arma, sette palle e tre piume, alla sua destra il fratello Lorenzo, a sinistra Piero; accanto a lui il figlio Giuliano montato su un cavallo bianco.
Dietro alla famiglia Medici viene tutta una serie di dotti ed eruditi, sia fiorentini che orientali, l’Argiropulo, il Calcondila, il Bessarione, il Pletone ed altri, tra cui lo stesso Benozzo. Davanti al Patriarca il pittore ha rappresentato un giovinetto magnificamente vestito, montato su un cavallo, sul dorso del quale sta un leopardo; secondo alcuni, questa misteriosa figura sarebbe Giuliano, secondo altri Castruccio Castracani, signore di Lucca, feroce nemico di Firenze: ora che Lucca è stata domata ed annessa ai domini fiorentini, si può rendere omaggio al grande avversario.
L’affresco è un’opera eccezionale, per qualità pittorica e caratterizzazione dei personaggi; si pensi che tutte, ma proprio tutte le figure del dipinto rappresentano uomini realmente esistiti e presenti all’evento. L’affresco è quindi un’eccezionale testimonianza di quanto detto a proposito del ruolo dell’arte nel Rinascimento, dove essa è cronaca, è storia, è vita di una città e di un popolo, è sublimazione della bellezza come essenza di un mondo scomparso.
Cosimo muore nel 1464, all’età di 75 anni, amareggiato per i lutti familiari che lo avevano colpito negli ultimi tempi, sopra tutti, la perdita del figlio prediletto e destinato a succedergli, Giovanni e del nipote Cosimino, cui era molto affezionato (“Troppo gran casa per sì poca famiglia” fu sentito ripetere). Fu sepolto, per suo esplicito volere, senza alcuna pompa, nella chiesa di San Lorenzo; è forse l’unico dei Medici sepolto senza un monumento funebre.
Sulla lapide della sua sepoltura compare il titolo con cui la Signoria aveva voluto onorarlo: