Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Wojciech Kossak (Parigi, 1856 - Cracovia, Polonia, 1942) - Cavalleria Polacca contro Panzer tedesco

 

Seconda guerra mondiale.

Le grandi giornate - Dunkerque (2)

di Mauro Lanzi

(seguito)

2. Guerra - Il fronte orientale

 

1939, Polonia.

 

 

Il 1939 si aprì per i leader occidentali in un’atmosfera di diffuso ottimismo: si stimava che, a questo punto, Hitler si sarebbe dovuto preoccupare della crisi economica interna, per la quale preziosi ed insostituibili erano gli aiuti dell’occidente; anche per questo, si era convinti che il Führer avrebbe mantenuto i suoi impegni, una nuova età dell’oro si prospettava per tutto il continente.

Il sacrificio dei Sudeti si rivelò presto un frutto avvelenato; Polonia e Ungheria si gettarono subito, con l’appetito di avvoltoi, sui resti della Cecoslovacchia, ottenendo la loro libbra di carne. Di più, la regione dei Sudeti non poteva essere separata concretamente dal resto del paese, avendo le due parti in comune reti elettriche e ferroviarie, interessi economici e strutture amministrative; nell’atmosfera di confusione e disordine che seguì fu uno scherzo per i tedeschi favorire la crescita di movimenti filonazisti a Praga e promuovere la secessione della Slovacchia, per accelerare la disgregazione del Paese: il 15 marzo truppe tedesche entravano a Praga, l’intera regione si trasformò in un protettorato tedesco.

Chamberlain, che nell’ottobre precedente aveva prestato la garanzia inglese sull’indipendenza della Cecoslovacchia, fu colto di sorpresa: ai Comuni dichiarò che la secessione della Slovacchia esimeva l’Inghilterra da ogni obbligo militare, ma lo smacco politico subìto apparve da subito evidente a tutti.

 

 

Era cambiato anche l’equilibrio militare; malgrado la conclamata politica di “appeasement”, per tutto il 1939 era continuato il processo di riarmo su entrambi i fronti: gli inglesi, preoccupati dalla superiorità aerea dei tedeschi, avevano intrapreso il processo di revisione della loro flotta aerea, che si rivelerà determinante nei primi anni di guerra, avviando la produzione di Hurricane e Spitfire, quest’ultimi decisivi nella battaglia di Inghilterra. Ancora più marcati, però, erano stati i progressi tedeschi; nel ‘38 la Germania era ancora vulnerabile sul fronte francese, nel ’39 il completamento della Linea Sigfrido rendeva molto più problematico un intervento francese; inoltre il riarmo tedesco, non più limitato dai dettati di Versailles, procedeva a gran ritmo, in particolate per quanto riguarda le divisioni corazzate e l’arma aerea che si riveleranno gli elementi determinanti nella guerra a venire: così, a seguito del “Diktat” di Monaco, il fronte occidentale, non solo aveva perso un alleato di peso, le 25 divisioni cecoslovacche e le potenti fortificazioni capaci di fermare l’attacco tedesco, ma aveva anche perso la superiorità tattica e strategica.

In questo frangente, di per sé precario ed instabile, si inserisce la questione polacca: la Polonia era una delle nazioni nate o rinate dopo la fine della prima guerra mondiale, ma a differenza di altre, come Yugoslavia e Cecoslovacchia, non era una invenzione diplomatica; la Polonia era una nazione di antica civiltà e cultura, per molti anni la potenza dominante nel nord Europa. I disordini interni, nati dalle contese tra i Grandi del regno, l’avevano resa facile preda degli appetiti dei suoi vicini; Prussia, Austria e Russia si erano accordati, verso la fine del XVIII secolo, sulla spartizione del suo territorio e la Polonia era scomparsa dalle carte geografiche. A Versailles, nel ’19, tutti si erano trovati d’accordo sulla sua rinascita, ma la questione delle frontiere si era dimostrata un groviglio inestricabile, per la mescola di etnie e nazionalità che si era creata nei secoli (il territorio della Polonia non è delimitato da fiumi o catene montuose), ma anche per le ambizioni territoriali dei leader polacchi, che, tra l’altro, avevano preteso un accesso al mar Baltico per la nuova nazione. Alla fine si era deciso per la creazione di una striscia di territorio polacco, il famoso “Corridoio di Danzica”, che creava una separazione fisica tra la Germania e la Prussia dell’est, attestandosi attorno alla città di Danzica, che sarebbe dovuta rimanere indipendente, sotto il controllo della società delle Nazioni.

Hitler aveva da sempre obiettato a questa situazione, chiedeva con insistenza ai polacchi un collegamento fisico con la Prussia orientale, in pratica un asse stradale e ferroviario esente da dogane. Tra le tante pretese hitleriane forse questa avrebbe potuto essere la più ragionevole: sembra asseverato che Hitler non volesse invadere la Polonia, al massimo la voleva nella sfera d’influenza tedesca.

Inaspettatamente Chamberlain fece la sua mossa: il 29 marzo, due settimane dopo l’umiliante smacco di Praga, il governo di Sua Maestà inviò al governo polacco una nota con cui l’Inghilterra si offriva di impedire qualsiasi azione minacciasse l’indipendenza polacca; i governanti polacchi, d’impulso, decisero di accettare l’offerta inglese, chiudendo la porta ad ogni possibile concessione alle richieste di Hitler.

Il voltafaccia improvviso di Chamberlain appare ancor oggi difficile da spiegare; forse fu dovuto alle pressioni dell’opinione pubblica, forse ad uno scatto caratteriale di un politico prudente che si accorgeva di essere stato giocato, o di aver sottovalutato l’avversario: non si riesce neppure ora a comprendere come una nazione, che aveva cinicamente sacrificato un alleato forte e leale, come la Cecoslovacchia, in una situazione strategicamente favorevole, si esponesse fino a rischiare una guerra per aiutare un Paese, che si era comportato in modo spregevole, e, soprattutto, indifendibile, perché isolato e militarmente debole.

Se la speranza era di inviare un monito al Führer, ancora una volta si era equivocato il personaggio; Hitler infatti, lungi dall’essere impressionato dalla mossa inglese, la prese come una sfida, interpretandola come un cambiamento dell’atteggiamento degli inglesi nei confronti dei piani tedeschi di espansione ad est, cioè una specie di tradimento di tacite intese: decise quindi di accelerare i progetti per la conquista di un Lebensraum.

Evidentemente, in questa situazione, malgrado che i francesi si fossero prontamente allineati alle posizioni inglesi, un ruolo critico lo giocava la Russia, anche solo per ragioni geografiche; le democrazie occidentali se ne rendevano conto e tentarono di recuperare il rapporto con Stalin, incrinato dalla vicenda cecoslovacca. Le trattative furono condotte in forma esitante, maldestra: gli Alleati volevano l’appoggio di Stalin, ma alle loro condizioni; pensavano ancora si potesse cenare col diavolo usando il mestolo lungo.

Ben diverso pragmatismo dimostrò Hitler; accantonato il suo antibolscevismo viscerale, il suo disprezzo per le popolazioni slave, dedicò ogni energia al tentativo di assicurarsi almeno la neutralità russa.

Il 3 maggio giunse da Mosca un segnale allarmante: al ministero degli esteri si ebbe un cambio significativo, Livtinov, da sempre favorevole al negoziato con gli occidentali, fu sostituito da Molotov, personaggio cinico e privo di scrupoli, che immediatamente aprì un secondo tavolo di trattativa con i tedeschi.

File source: http://commons.wikimedia.org/wiki/File:MolotovRibbentropStalin.jpgI discorsi non erano facili, la diffidenza reciproca era forte; la svolta si ebbe a metà agosto, quando Stalin, stanco delle lungaggini e delle esitazioni inglesi, prese la sua decisione: il 23 agosto il ministro degli esteri tedesco, Ribbentrop, volò a Mosca per firmare col suo omologo Molotov il patto conosciuto il loro nome (ufficialmente “Patto di non aggressione Germania Russia”). Con questo patto, Stalin assicurava la sua neutralità alla Germania, che, a sua volta, lasciava mano libera alla Russia sui paesi baltici: un protocollo segreto sanciva inoltre la spartizione della Polonia tra i due complici.

Era la guerra!

Giunti così alle soglie di un disastro epocale, lungo è elenco dei passi falsi e delle errate valutazioni che portarono ad un conflitto globale, che nessuno voleva, partendo da limitate rivendicazioni territoriali; date per scontate le responsabilità del nazismo, imperdonabili furono gli errori delle democrazie occidentali che, nel vano tentativo di salvare la pace, si mostrarono deboli quando erano forti e cercarono la prova di forza quando erano più deboli.

Il conto degli errori, però, coinvolge anche gli altri protagonisti, a partire da Hitler, il quale, come già detto, l’ultima cosa che desiderava era un’altra grande guerra; giunto al termine di una partita giocata con indubbia abilità e cinismo, commise l’errore di credere che gli inglesi non si sarebbero battuti senza la Russia, sottovalutando l’ostinazione ed il coraggio di quella nazione.

Più grave ancora, alla luce di quanto seguirà, appare l’errore di valutazione di Stalin, che, a fronte di mediocri acquisizioni territoriali, aprì di fatto la strada all’ascesa della potenza nazista. Stalin, a differenza di Hitler, aveva messo in conto la guerra; era però convinto di poter assistere al logoramento di tutti i suoi avversari, avvinti in una lotta all’ultimo sangue, come accaduto nel precedente conflitto.

Non fu così, non fu proprio così.

 

1939, 1° settembre. Campagna di Polonia.

Venerdì 1° settembre 1939 le armate tedesche, prendendo a spunto un incidente di frontiera organizzato ad arte da militari tedeschi travestiti da doganieri polacchi, invadevano la Polonia. Domenica 3 settembre entrava in guerra la Gran Bretagna, sei ore più tardi, la Francia.

 

Il computo delle forze in campo non era, sulla carta, sfavorevole agli alleati; l’esercito polacco poteva contare su 30 divisioni più 10 di riserva, oltre a 12 grosse brigate di cavalleria. L’esercito francese poteva mettere in campo 110 divisioni, gli inglesi solo 4, ma era stato avviato un reclutamento che avrebbe dovuto portare gli effettivi a 55 divisioni entro 1940; in totale quindi gli alleati potevano mettere in campo, da subito, quasi 150 divisioni contro le 90/95 tedesche; la differenza, però, la fecero la disposizione strategica e la qualità delle forze in campo.

La Germania godeva, come sempre del vantaggio della posizione centrale, che le consentiva di attaccare separatamente i suoi avversari concentrando le sue forze, prima contro l’uno e poi contro l’altro. Questa possibilità era poi esaltata dalla riacquisita disponibilità della linea “Sigfrido”, un sistema di fortificazioni che andava dal confine svizzero al mare del Nord, costruito nel corso della prima guerra mondiale e riattivato almeno in parte nel’39, che si dimostrò capace di arrestare i primi deboli tentativi francesi.

 

Ancor più significativo è il confronto della qualità delle forze in campo e del loro modo d’impiego: i tedeschi avevano sviluppato, sotto l’impulso di giovani ufficiali, primo fra tutti Heinz Guderian, concetti di strategia e tattica militare assolutamente nuovi, basati sull’impiego di potenti unità di forze corazzate, da lanciare in profondità, con l’appoggio dell’aviazione per spianare eventuali ostacoli. Il carro armato era stato, lo ricordiamo, inventato dagli inglesi durante la prima guerra mondiale, i primi esemplari erano stati sbarcati in Francia dentro casse che portavano la scritta “TANK” (serbatoio); il nome, ideato per sviare l’attenzione dello spionaggio nemico, poi è rimasto, i carri armati in inglese si chiamano ”tanks”. I carri erano stati poi prodotti in molte migliaia di esemplari, sia in Inghilterra che in Francia ed avevano contribuito, in misura considerevole, alla vittoria finale degli Alleati. I tedeschi non avevano creduto in quest’arma, ne avevano prodotto in tutto venti esemplari durante la Grande Guerra; poi l’atteggiamento degli alti gradi dell’esercito tedesco era cambiato e proprio i generali tedeschi erano divenuti i migliori esperti nell’impiego di quest’arma, le divisioni corazzate saranno la punta di diamante delle armate tedesche in tutta la guerra.

 

I loro avversari si crogiolavano nell’autocompiacimento: i polacchi, che nel 1920 erano stati capaci di respingere l’armata rossa si erano fermati lì, nutrivano una fiducia quasi patetica nelle cariche della cavalleria, manovre scomparse da quasi ottant’anni da tutti i campi di battaglia (a destra la cavalleria polacca in guerra). Gli stessi generali francesi, che pure disponevano delle unità più complete, moderne e preparate di tutta Europa, erano rimasti indietro come pensiero strategico, pensavano di combattere la prossima guerra come avevano combattuto la precedente; complessivamente, i francesi disponevano di più carri (ma meno aerei) dei tedeschi, ma li utilizzavano solo in appoggio ai movimenti della fanteria. Nella visione di Guderian, poi adottata dagli alti comandi tedeschi, le unità corazzate dovevano anticipare le fanterie, appoggiate da unità motorizzate (Panzergrenadieren), per disarticolare in profondità lo schieramento avversario: le pianure polacche e francesi forniranno il palcoscenico ideale per queste manovre.

 

Paradossalmente anche in Francia un giovane ufficiale aveva esposto, inascoltato, le stesse idee: si chiamava Charles De Gaulle.

Il 1° settembre 1939 i tedeschi dettero l’avvio al piano d’invasione denominato in codice “Fall Weiss”; la Polonia fu invasa da due gruppi di armate, il gruppo sud, agli ordini di Von Rundsted, ed il gruppo nord, comandato da Von Bock; il 2 settembre, prima ancora che gli alleati presentassero la dichiarazione di guerra, le armate tedesche avevano già tagliato il corridoio polacco, il 9 settembre le unità corazzate tedesche, che viaggiavano con un passo di 70 km al giorno, avevano già raggiunto Varsavia, il 17 l’Armata Rossa attaccava alle spalle l’esercito polacco, determinando di fatto la fine della guerra. Il 6 ottobre Hitler annunciava al Reichstag la fine delle operazioni, il Blitzkrieg era concluso.

Di fronte ad un simile sfacelo, la domanda è: poteva la Polonia resistere di più?

 

Probabilmente sì: oltre alle carenze già menzionate, i polacchi commisero errori tattici e strategici imperdonabili. Vista la disparità delle forze e l’assenza di ostacoli naturali (fiumi o montagne) in territorio polacco, sarebbe stato più saggio concentrare la difesa intorno a Varsavia: i Polacchi invece avevano disposto tutte le loro forze a ridosso del confine, senza proteggerle con nessuna fortificazione, perché nascondersi sembrava cosa indegna. Le unità corazzate tedesche tagliarono come il burro le linee polacche, che non disponevano neppure di una valida artiglieria anticarro, accerchiando poi le forze nemiche, invano protette da romantiche quanto inutili cariche di cavalleria.

I francesi, nel frattempo, non essendo riusciti a dispiegare l’artiglieria, non avevano neppure scalfito le linee tedesche.

La Polonia, come da accordi, fu spartita tra i due attaccanti: Stalin dette subito prova di che pasta era fatto ordinando il massacro di Katyn, in cui perirono quasi tutti gli ufficiali fatti prigionieri oltre a numerosi soldati e civili polacchi, per oltre 20000 vittime, sepolte in fosse comuni; solo nel 1990 l’Unione Sovietica ne ammise la responsabilità. Iniziava per la Polonia un nuovo, lunghissimo calvario.

 

(Continua)

Inserito il:08/11/2019 00:24:30
Ultimo aggiornamento:23/11/2019 15:59:36
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