Battaglia di Valmy
La Rivoluzione Francese (7) - La fine della legislativa. La guerra. La Convenzione.
di Mauro Lanzi
Nuovi protagonisti avevano fatto la loro comparsa sul proscenio della Rivoluzione, innanzitutto i cittadini passivi, fino allora esclusi od emarginati, poi il Comune di Parigi; è stato detto in più circostanze che Parigi non è la Francia; questo si proverà negli anni a venire, quando una minoranza nella nazione, il popolo di Parigi, assumerà un ruolo determinante nelle vicende del Paese.
Non era mai accaduto in precedenza che il popolo entrasse in aperto contrasto con i rappresentanti legali del Paese; accadde in questa circostanza. Appena cessato il rombo dei cannoni, una delegazione popolare si presentò all’Assemblea:
“Il popolo che ci manda a voi ci ha incaricato di dichiararvi che esso vi restituisce la sua fiducia; ma ci ha anche incaricato di dichiararvi che non può riconoscervi come giudici delle misure straordinarie alle quali è stato spinto dalla necessità e dalla resistenza all’oppressione.”
In buona sostanza, il Comune non se la sente di esautorare l’Assemblea, quindi di guidare la nazione, ma si pone su un piano superiore, reintegra l’Assemblea, che perciò deve al Comune, non più agli elettori, le sue attribuzioni, ma non accetta che il suo operato venga giudicato dalla stessa.
Nelle ore convulse di quella mattinata del 10 Agosto, l’Assemblea aveva decretato la “sospensione “ del Re, non la sua destituzione, i Girondini speravano ancora di salvare la monarchia; al tempo stesso, la sospensione aveva privato la nazione di un esecutivo; si pensò di surrogarlo con un Consiglio Esecutivo o un Ministero, costituito da sei ministri, scelti al di fuori dell’Assemblea in omaggio al principio della divisione dei poteri; salirono così alla ribalta nomi nuovi, Roland, Claviere, Servan ma sopra tutti, al ministero della giustizia un politico corrotto e geniale, Jacques Danton, rivoluzionario della prima ora, passato al servizio dell’Orleans, poi della monarchia, da cui era stato stipendiato; nelle settimane che seguiranno lo spregiudicato tribuno giocherà un ruolo di primaria importanza.
Il potere restava quindi diviso tra tre Autorità, l’Assemblea, il Comune ed il Ministero, le loro iniziative si sovrapponevano, spesso si contraddicevano in uno dei periodi più convulsi e drammatici della storia della Rivoluzione, quelle sei settimane che separavano il 10 Agosto dal 21 Settembre, prima seduta della Convenzione. La frattura politica si riproduceva anche nell’Assemblea dove cominciavano a prendere forma i due partiti che saranno protagonisti poi nella Convenzione, la Montagna, detta così perché occupava gli scranni alti del consesso, che riecheggiava le tesi del Comune rivoluzionario e la Gironda, che nella Legislativa aveva rappresentato la sinistra e che ora si trova sospinta su posizioni di destra. Le differenze tra i due schieramenti erano sostanziali, i Girondini erano il partito della legalità, ripugnano alle misure eccezionali che i Montagnardi mutuavano dal Comune, cioè in campo economico regolamentazioni, calmiere, requisizioni; in campo politico legittima suspicione sugli avversari, limitazione delle libertà individuali, tribunali speciali, concentrazione del potere, in breve quel programma di salute pubblica, che sarà poi attuato nel periodo detto del Terrore. Il contrasto rifletteva anche una spaccatura sociale, i Girondini rappresentavano la media borghesia, i Montagnardi il popolo minuto, gli artigiani, gli operai, i salariati.
Su di un punto però Comune, Assemblea e Ministero si trovarono subito d’accordo, sulla necessità di mettere il clero refrattario nell’impossibilità di nuocere alla difesa nazionale ed alla Rivoluzione; si decise di attuare il decreto del 27 maggio, su cui il Re aveva posto il veto, che riguardava l’internamento dei preti refrattari perturbatori; ma non bastava, il decreto colpiva i preti oggetto di una denuncia, ora bisognava mettere a tacere tutti gli altri, evitare che potessero influenzare le prossime elezioni; così il 26 Agosto fu emesso un nuovo decreto con cui a tutti i preti refrattari veniva fatto obbligo di lasciare la Francia entro 15 giorni, dopo tale data sarebbero stati deportati in Guyana. Quasi 25000 prelati furono costretti all’esilio in condizioni spesso disastrose. Ciò che restava della religione, la Chiesa costituzionale viene trattata come un organo dello stato; la sua influenza, i suoi sermoni, le sue benedizioni dovevano essere al servizio dello stato. I palazzi episcopali, i giardini e gli edifici annessi furono posti in vendita; i vescovi dovevano provvedere ad un alloggio a proprie spese, perché, si argomentava, ”la sontuosità dei palazzi episcopali mal si conviene alla semplicità dello stato ecclesiastico”; insomma, oltre che spogliarli, si faceva loro anche un sermone.
Il Comune, da parte sua, anche se aveva rinunciato a guidare la Francia, non rinuncia affatto a controllare la capitale; Parigi è in mano ai faubourg, ai delegati di sezione. Le “Carmagnoles”, come veniva detti i rivoluzionari, pattugliano la città, perquisiscono abitazioni, eseguono requisizioni, arrestano sospetti e refrattari (più di tremila finiscono in carcere), intimidiscono o terrorizzano gli avversari. Per inciso, il nome “Carmagnoles” deriva da un canto, composto da un anonimo proprio in questo periodo, dopo l’arresto del Re, sulla base di una forma musicale o di una danza che provenivano dal Piemonte. La Carmagnola, che irrideva alla coppia reale chiamati Madame e Messier veto, divenne l’inno ufficiale dei sanculotti, un’icona del periodo rivoluzionario, compare anche nell’opera “Andrea Chenier”; ora, in genere, quando pensiamo alla Rivoluzione Francese, pensiamo alla Marsigliese, ma, con tutto il rispetto per l’inno nazionale francese, i canti che risuonavano a Parigi ed in altre città erano diversi, ben più duri e truculenti, la Carmagnola ed il “ ça ira “; i testi che si allegano in calce illustrano più che tanti commenti l’atmosfera che si respirava allora a Parigi ed in altre città, cosa credeva la gente e quindi il motivo dei tragici eventi che seguiranno.
Intanto la guerra andava avanti; il 19 Agosto Lafayette aveva compiuto un tentativo di far sollevare le sue truppe contro i rivoluzionari; fallita questa mossa, non gli rimase che rifugiarsi oltre confine, consegnandosi agli austriaci. Il 23 i Prussiani conquistavano Longwy e cominciavano ad avanzare su Verdun; il Governo, preso dal panico, Roland in testa, pensa a trasferirsi a sud, a Blois o a Tours; ma i ministri girondini vengono bloccati da Danton con una delle sue tonanti allocuzioni:
“Io ho fatto venire qui mia madre ed i miei figli. Prima che i Prussiani entrino a Parigi, voglio che la mia famiglia perisca con me, voglio che 20000 fiaccole in un istante facciano di Parigi un cumulo di ceneri. Roland, stai attento a non parlare di fuga, bada bene che il popolo non ti senta!!”
Danton aveva anche le sue ragioni politiche, a Parigi la sua oratoria lo aveva reso molto popolare presso tante sezioni, era capace soggiogare anche l’Assemblea con le sue tirate; inoltre manteneva i contatti con gli agenti realisti, faceva ciò di cui era più capace, il doppio gioco. Il suo ascendente però era enorme; il 28 agosto balza alla tribuna; con la sua voce tonante annuncia che parlerà da ministro rivoluzionario, da ministro del popolo:
“Bisogna che l’Assemblea si mostri degna della nazione. Fino ad ora noi abbiamo fatto la guerra simulata di Lafayette, bisogna fare una guerra terribile; è tempo di dire al popolo che deve precipitarsi in massa contro il nemico. Quando una nave è in difficoltà, l’equipaggio getta in mare tutto ciò che rappresenta un pericolo; così adesso tutto ciò che può nuocere alla nazione deve essere rigettato, tutto ciò che può esserle utile deve essere messo a disposizione delle municipalità”
Detto fatto; vengono spediti nei dipartimenti commissari per accelerare le requisizioni e la leva in massa, si intensificano le perquisizioni domiciliari, le statue e gli arredi in bronzo delle chiese vengono fusi per fare cannoni.
Il 2 Settembre giunge la notizia che è caduta Verdun; il Comune fa suonare le campane a martello, tutti gli uomini validi vengono riuniti al Campo di Marte, armati per partire per il fronte o impiegati a scavare trincee. Ancora una volta Danton la fa da protagonista; si presenta alla tribuna accompagnato da tutti i ministri:
“Tutto si commuove, tutto si solleva, tutto arde di combattimento. Una parte del popolo si porterà alle frontiere, un’altra scaverà trincee, una terza con le sue picche difenderà le città”
Danton chiede all’Assemblea altre misure eccezionali; poi conclude la sua breve e bruciante arringa con le parole che lo consegnano alla storia:
“La campana a martello che suoneremo non è un segnale d’allarme, è il segnale della carica contro i nemici della patria. Per vincerli, signori, ci vuole audacia; de l’elàn, de l’elàn,, e puis encore de l’elàn et la France serat sauvèe”
La parola “elàn” entra da quel momento nella tradizione e nel mito dell’esercito francese.
La chiamata alle armi, le notizie del nemico che avanza, le campane a martello, eccitano gli animi, infiammano la folla; parte il delirio: nel pomeriggio, un gruppo di preti refrattari, che venivano condotti in prigione sono massacrati dalla folla inferocita, che poi dà l’assalto alle carceri; a l’Abbaye, alla Congiergerie, a Saint Firmin, alla Salpetriere le folle ubriache di sangue danno l’avvio ad un orrendo massacro che dura tre giorni, vengono uccisi indiscriminatamente prigionieri politici e prigionieri comuni, incluse donne e bambini, alcuni cadaveri, come quello della principessa di Lamballe (nell’immagine), vengono orrendamente mutilati; la testa della Lamballe, issata su di una picca, viene portata fin sotto le finestre del Tempio, per mostrarla alla Regina, sua amica di antica data; muoiono più di 1400 persone, un macello.
La custodia delle carceri spettava al ministro di Giustizia, Danton, che non mosse un dito per proteggerle; più tardi addirittura rivendicherà gli eventi di quei giorni:
“Le prigioni riboccavano di traditori e miserabili che attendevano solo l’arrivo del nemico per massacrarci; io non ho fatto che prevenirli, ho voluto che tutta la gioventù parigina arrivasse allo Champagne coperta di sangue. Ho voluto mettere tra loro e gli emigrati un fiume di sangue.”
Un fiume di sangue.
Poi, dopo aver lasciato massacrare tanti personaggi minori, tanti innocenti, il corresponsabile di quel macello farà liberare politici come Brissot e Condorcet, farà evadere Talleyrand ed altri ancora, per sua convenienza, per puro calcolo politico. Danton è stato indubitabilmente una dei grandi protagonisti della Rivoluzione, personaggio geniale ed immondo, difficile dare un giudizio; pagherà con la vita i suoi eccessi.
Intanto la guerra andava avanti; dopo la presa di Verdun anche il Re di Prussia, Federico Guglielmo aveva raggiunto il suo esercito, ma Brunswick non aveva fretta; avrebbe potuto marciare su Chalons, ma non credeva di dover forzare i tempi, disprezzava troppo il nemico: l’inesperienza delle reclute, l’emigrazione di quasi tutti gli ufficiali, che erano dei nobili, la rivalità tra culs blanc, i soldati di linea, e culs bleu, i volontari, tutto sembrava giustificare le opinioni del comandante prussiano; era comunque opinione generale che Brunswick sarebbe arrivato a Parigi per i primi di ottobre. I francesi, per arrestarne la marcia, avevano organizzato tre armate; Kellermann aveva ricevuto il comando dell’armata del centro, Biron dell’armata del Reno, Dumouriez dell’armata del Nord. In primo tempo Dumouriez aveva sognato di invadere il Belgio; dopo la presa di Verdun si convinse a ripiegare, abbandonando Sedan e dirigendosi verso sud; se Brunswick si fosse mosso tempestivamente, lo avrebbe tagliato fuori senza difficoltà, ma Brunswick si decise ad attaccare solo il 12, così Dumouriez ebbe modo di ritirarsi e poi, il 19, di ricongiungersi con Kellermann; a questo punto i francesi potevano contare su 50000 uomini contro i 34000 prussiani. Brunswick avrebbe voluto muoversi con calma, impostare una manovra di aggiramento, ma Federico Guglielmo aveva perso la pazienza e gli ordinò di attaccare frontalmente i francesi senza ulteriori ritardi. Il 20 settembre 1792 i prussiani si schierarono davanti a Valmy, iniziò lo scontro; con sorpresa di tutti, i sanculotti non si sbandarono ai primi colpi, fecero fronte. Ad un certo momento, l’esplosione di un carro di munizioni centrato da un proiettile d’artiglieria, causò commozione tra le seconde linee francesi, Kellermann, alzato il cappello sulla punta della spada, gridò “Viva la Nazione”; il grido ripetuto tra tutte le file ricompattò i ranghi francesi, i prussiani non osarono attaccare, lo scontro si ridusse ad un duello di artiglierie. L’esercito più forte ed addestrato di Europa era stato fermato da un’armata di reclute.
Valmy fu una modesta scaramuccia non certo una grande vittoria, l’esercito prussiano non era stato battuto, né costretto a ritirarsi, aveva subito perdite per 200 uomini, contro i 300 francesi; ciononostante la giornata di Valmy ebbe un valore morale immenso. Wolfgang Goethe, che si trovava nel campo prussiano, con la sua consueta lucidità, commentava: “Da questo luogo e da questo giorno comincia un’era nuova nella storia del mondo”.
Il grande poeta pensatore aveva intravisto la verità; l’ordine antico che riposava sul dogma e sul principio di autorità cedeva il passo ad un ordine nuovo, basato sulla libertà., i Diritti dell’Uomo battevano il diritto divino delle monarchie. Un esercito di mestiere, allenato alla disciplina, che si era impegnato, forse alla leggera, in quell’impresa aveva dovuto piegare la fronte davanti ad un’armata, che difendeva, insieme, nazione, libertà e dignità umana.
Il giorno successivo, il 21 Settembre, si riuniva a Parigi la Convenzione: la storia della Rivoluzione voltava pagina.
La Convenzione
Le elezioni per la Convenzione che si erano tenute il mese precedente alla sua convocazione ribadirono una volta di più il principio che Parigi era qualcosa di ben diverso dal resto della Francia; mentre a Parigi dominavano il Comune e la Montagna, nel resto del Paese, soprattutto nelle campagne, prevalevano i Girondini; malgrado l’apertura ai cittadini passivi, l’affluenza alle urne fu scarsa, contadini e salariati non se la sentivano di perdere una giornata di lavoro, oppure non erano sufficientemente informati o motivati. Il grosso dell’elettorato fu costituito ancora una volta dalla piccola e media borghesia; i Girondini ebbero buon gioco nello sventolare davanti agli occhi degli elettori gli orrori dei massacri di settembre, l’arbitrarietà delle requisizioni, lo spauracchio di una legge agraria, tutte cose che imputavano alla Montagna. Il risultato elettorale perciò segnò una larga vittoria del partito girondino, una secca sconfitta della Montagna, con una fascia neutrale detta la Pianura o la Palude; ora però bisogna stare attenti al significato della parola partito, niente a che vedere con i partiti di oggi, non c’erano né affiliazione, né gerarchie, né senso di appartenenza, né disciplina di voto: un partito era semplicemente un raggruppamento di persone che condividevano alcune idee o alcuni programmi, ma il loro orientamento poteva anche cambiare e, come vedremo, cambierà.
L’assemblea si riuniva sulle ali dell’entusiasmo per la vittoria in un’atmosfera di ritrovata concordia e di unità nazionale; la Convenzione ormai riuniva tutti i poteri, anche il Comune si inchinava, anche sentendo il suo discredito per i fatti di settembre.
Alla Convenzione comparivano tutti i grandi nomi; Brissot, Condorcet, Roland tra i Girondini, Robespierre e Marat alla Montagna, Danton non si sa dove; alla Convenzione era stato eletto anche l’Orleans, cugino del Re, che aveva rinunciato a rango e titoli; fu eletto col nome di Philippe Egalitè.
La prima delibera della Convenzione riguardò l’abolizione della monarchia; dopo lo sciagurato proclama di Brunswick e dopo Valmy, la monarchia era indifendibile, il decreto di abolizione fu approvato all’unanimità tra l’entusiasmo generale. Lo stesso giorno, il 21 Settembre fu proclamata la Repubblica; contestualmente la Convenzione si dette l’obiettivo di varare una nuova Costituzione.
La maggioranza di cui godevano avrebbe dato ai Girondini la possibilità di guidare la Francia senza ostacoli, in un’atmosfera di concordia e di fiducia; purtroppo prevalsero i risentimenti personali, i Girondini si logorarono nel tentativo di sminuire o distruggere i loro avversari. Cominciarono con il Comune di Parigi; non contenti della cancellazione del Comitato Centrale e della implicita ammissione di responsabilità, vollero istituire un Tribunale speciale per giudicare i colpevoli; il tribunale fu costituito ma non funzionò mai.
Il successivo bersaglio furono i cosiddetti “Triumviri”, Robespierre, Marat e Danton, che in realtà triumviri non erano, né di forma né di sostanza, non collaboravano in nessun organismo istituzionale, agivano indipendentemente seguendo logiche diverse: Robespierre fu accusato di aspirare o aver propugnato la dittatura; si difese con freddezza e disdegno, mancavano prove e tutto finì. Poi fu la volta di Marat che seguì una strategia diversa. Cominciò con lo scagionare i colleghi Robespierre e Danton dall’accusa di aver proposto dittatura o tribunato. Poi proseguì: “Se c’è qualcuno colpevole di aver lanciato in pubblico queste idee, sono io. Io credo di essere il primo scrittore politico e, forse, l’unico ad aver proposto un tribuno militare, un dittatore od un triumvirato come l’unico sistema per scacciare cospiratori e traditori.” Marat rivendica orgogliosamente e senza ritrattazioni le sue idee, appellandosi anche alla libertà di stampa; conclude il suo intervento con un coup de theatre; tolta una pistola di tasca se la punta alla tempia: “Devo dichiararvi che se fosse passato il decreto di accusa contro di me, mi sarei bruciato le cervella ai piedi della tribuna. Ecco il frutto di tre anni di prigione, delle mie veglie, delle mie fatiche, della mia miseria delle mie sofferenze per salvare la patria.” Nessuno osò toccarlo.
Restava Danton , che dei tre era il più attaccabile sotto il profilo morale; viveva nel lusso, disponeva di tre appartamenti a Parigi, oltre a diverse proprietà in provincia, di cui non avrebbe saputo spiegare le origini: Gli fu richiesto un rendiconto economico del suo periodo al ministero di giustizia, che non riuscì a produrre in forma convincente; mancavano i giustificativi di troppe spese, Danton invocava la discrezionalità del suo operato in situazioni di emergenza, non gli fu riconosciuta; scampò una condanna, ma rimase un’ombra sulla sua immagine.
I Girondini avevano perso la partita, una fetta del partito si era distaccata, si affermavano nell’Assemblea equilibri diversi.
Tutto questo mentre si annunciava la tempesta perfetta, il processo al Re.
Massacro della principessa di Lamballe