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Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Erberto Carboni (Parma, 1899 – Milano, 1984) - Manifesto per Barilla (1954)

 

Media e mentalità alimentari: la pubblicità

di Mara Antonaccio

 

L’intervento di Mara Antonaccio alla giornata di studio sul cibo di Torino, 6 aprile 2019

 

Siamo all’alba del Nuovo Millennio, l’era dei Media, ormai presenti in ogni aspetto e comparto della nostra esistenza, quindi anche nell’ambito nutrizionale, anzi la loro egemonia lo ha profondamente mutato; veicolo di questo cambiamento è sicuramente stata la Pubblicità, che ha dato voce e visibilità alla produzione di cibi e alimenti, prima di realtà nazionali, oggi alle grandi Multinazionali del food.

L’Industria Alimentare ha da sempre utilizzato i mezzi di comunicazione per promuovere i propri prodotti e far risaltare tutta l'eccellenza dei Marchi che hanno conquistato il Mondo.

Bellissimi i manifesti della Belle Époque, che mostravano illustrazioni di artisti famosi per pubblicizzare bevande e cibi; nel Dopoguerra e per conseguenza dell’arrivo degli aiuti alimentari americani, nacque la moda delle figurine da collezionare e la raccolta punti e poi la pubblicità cartacea e televisiva moderna.

Oggi la situazione è ulteriormente arricchita dalla nascita dei nuovi Media: web, social network, etc., che permettono di raggiungere in tempo reale, nelle proprie case e a qualunque ora, ogni possibile acquirente.

La nascita della pubblicità del food come la conosciamo oggi, risale agli anni ’50, periodo in cui si iniziò ad usare la parola marketing, termine inglese che riassume le tecniche che consentono di creare il prodotto giusto, da proporre al pubblico desiderato, in confezioni accattivanti, ad un prezzo in linea con il potere di acquisto del target, nel periodo mirato dell’anno, diventando una disciplina socio-economica tout court.

Con il Dopoguerra, durante il cosiddetto “boom economico”, l’aumento del peso sociale del Ceto Medio e dei suoi relativi consumi, porta alla nascita di nuovi mercati e all’uscita dei cibi dalle loro zone di produzione: inizia la Globalizzazione.

La Televisione, la Stampa e la Pubblicità diventano i mezzi ideali per favorire gli acquisti e creare simboli di benessere sociale.

In Italia il più famoso mezzo comunicativo del periodo fu il Carosello televisivo, che dal 1957 divenne il simbolo dei consumi. Ricordo con tenerezza quelle pubblicità, veri e propri mini-racconti, che parlavano delle Caramelle al miele Ambrosoli, del gigante buono della Ferrero e dei pirati maldestri dell’Amarena Fabbri; a noi piccoli era concesso di guardare Carosello e poi tutti a nanna!

Tramite la pubblicità l’Industria indirizza gli acquisti, costruendo modelli di consumo a proprio uso e costruisce le mentalità alimentari delle Popolazioni; il modus operandi è quello di creare nuovi bisogni, stimolando l’acquirente attraverso il continuo cambiamento, mantenendo vivo il rapporto con la tradizione, la genuinità e la qualità di quel marchio specifico, con un linguaggio facile e diretto.

Viene creata una memoria nello spettatore che riporti a quella marca specifica e che trasmetta valori: in questo modo la pubblicità impone desideri e modelli di vita. Nella Società attuale, che vive la fine delle grandi Utopie Politiche, la pubblicità rappresenta il nuovo sogno, la nuova religione, quel che dice è sacro: ‹‹compro questo perché l’ho visto in pubblicità››, quindi deve per forza essere buono!

La Pubblicità rende familiari i prodotti e infonde fiducia, dà “personalità” al cibo; in realtà i consumatori acquistano i marchi inconsapevoli di comprare un mito costruito a loro uso e consumo. La Natura è il riferimento simbolico usato per comunicare genuinità, qualità, bontà, e consente al consumatore disorientato dalla perdita dei valori, di rifugiarsi nel passato.

Così il prodotto diviene protagonista e crea la credibilità dell’Azienda; il pubblicitario J. Séguéla sottolinea come «la merce viene personificata su misura per la vendita e a volte addirittura trasformata in “star”».

La pubblicità dal Dopoguerra in poi usa spesso la donna per veicolare questi messaggi; l’angelo del focolare è sia testimonial che bersaglio del prodotto.

Negli anni ’50 la casalinga è ancora la memoria della tradizione culinaria ma è già attenta ai consumi; gli anni ’60 vivono grandi sconvolgimenti sociali, che investono la donna e la famiglia, negli anni ’70 l’emancipazione femminile porta anche la pubblicità a fornire una immagine di donna indipendente, che lavora fuori casa e si afferma socialmente.

Le ristrettezze alimentari post belliche sono lontane e il mondo rurale, in cui il procacciamento del cibo e la sua preparazione occupavano gran parte del tempo, è lontanissimo dalle abitudini cittadine. La casalinga moderna ha poco tempo per cucinare ed è ingranata in ritmi lavorativi che richiedono velocità e semplicità di preparazione, tutte necessità che l’Industria fa sue.

Nuovi metodi di conservazione vengono messi a punto per prolungare la durata degli alimenti, nascono le porzioni confezionate e pronte all’uso e le pietanze surgelate, questa è l’epoca che vede arricchire il “parco elettrodomestici” delle case con il microonde e con esso si afferma una nuova filosofia di vita, che favorisce chi lavora, single e piccoli nuclei familiari.

Le réclame esaltano i vantaggi dei cibi semilavorati e la massaia “very cool” deve usarli per emanciparsi dalla sua condizione antica, per entrare a far parte della Società dei Consumi; la donna rappresentata è giovane ma legata alle tradizioni, ha il senso della famiglia e dei figli, lavora e non ha tempo per cucinare, eppure trasmette un’immagine rassicurante e felice, a chi non viene in mente la famiglia perfetta delle pubblicità del Mulino Bianco?

Purtroppo la maggioranza delle famiglie moderne non è cosi: la mamma lavora e i figli mangiano cibi pronti, conservati, ipercalorici. Allarmanti sono i dati mondiali sull’obesità infantile e adolescenziale, ma se pensiamo che di solito i piccoli non comprano e non preparano cibo da soli, si comprende la responsabilità dei genitori.

«Mangiare bene è un lavoro» diceva il mio professore di Nutrizione all’Università ed aveva ragione. Fare la spesa scegliendo cibi sani, pulire, lavare e cucinare le verdure, preparare pasti semplici e leggeri richiede tempo e voglia, molto più facile prendere piatti pronti o mangiare fuori.

L’Industria ci vuole tutti magri, scattanti, performanti e sorridenti, positività h/24 insomma e guai a non essere rispondenti al modello.

Se ciò accade, nessun problema, ci pensano le Case Farmaceutiche a fornirci prodotti snellenti, drenanti, ricostituenti e soprattutto antidepressivi.

Nuove bevande, nuove diete da sperimentare soddisfano questa esigenza: salute e bellezza diventano fondamentali per essere “giusti”; l’alimentazione si trasforma, cibo e stili di vita diventano aspetti culturali, in questa ottica i Mass-Media sono latori di Socializzazione, perché creano linguaggi e mode.

 

Inserito il:12/04/2019 19:20:00
Ultimo aggiornamento:12/04/2019 19:34:52
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