Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Immagine realizzata con strumenti di Intelligenza Artificiale

Clicca qui per ascoltare

 

La Rivoluzione Americana (4) - I rapporti con i nativi e democrazia americana

di Mauro Lanzi

 

I rapporti con i nativi

Abbiamo ripercorso il processo di formazione di tutte le prime colonie americane, dal tentativo utopistico dei Padri Pellegrini, alle “Compagnie” private che si venivano creando per lo sfruttamento delle risorse, vere o presunte del Nuovo Mondo, alla “Grande Migrazione” di coloni sospinti dalle persecuzioni religiose, alle “Concessioni”, meglio chiamarle donazioni, del Sovrano ad uno o più dei suoi cortigiani (“lord Proprietari”).

Quali fossero le origini, tutte le prime colonie avevano la loro ragione di essere in un documento stilato in terra inglese, fosse la costituzione di una Compagnia o una concessione o una donazione reale; ma con quale autorità enti britannici potevano disporre di terreni al di fuori dei confini del regno? Quali motivazioni potevano giustificare l’invasione e l’esproprio di terre abitate da popolazioni pacifiche, in assenza di atti ostili da parte delle stesse, in palese violazione di ogni principio di moralità ed ogni norma internazionale?

Come già detto, tutta la colonizzazione delle Americhe rappresentò un gigantesco abuso, una totale prevaricazione del diritto delle nazioni; nel caso delle colonie spagnole e portoghesi, però, questo abuso fu giustificato, almeno nella loro visuale, dall’obiettivo della cristianizzazione di popolazioni pagane e come già esposto, sia gli spagnoli che gli altri popoli cattolici (anche i francesi in Canada, quindi), presero sempre questo impegno molto sul serio; il risultato fu che, malgrado il tremendo genocidio perpetrato in quelle regioni, a causa soprattutto delle malattie infettive, gli Spagnoli seppero convivere con le popolazioni indigene, si sforzarono di assimilarle nella loro cultura, si mescolarono con esse, creando anche un vasto meticciato; se si eccettuano i Caraibi, non ci fu nell’America spagnola un significativo fenomeno di importazione di schiavi neri dall’Africa, quindi si evitò anche questa causa di frattura sociale.

Niente di tutto ciò in Nord America; non si ha traccia in tutte le diverse spedizioni verso il Nuovo Mondo di un qualsiasi serio tentativo di cristianizzazione e tanto meno di una assimilazione delle popolazioni locali; l’elitismo protestante, la superiorità morale insita nella religiosità puritana impedirono ogni contaminazione, condussero all’emarginazione degli indiani, con cui si intrattenevano, al meglio, relazioni commerciali, nel caso peggiore vere e proprie campagne di sterminio.

Evidentemente sarebbe stato troppo pretendere che i coloni, impegnati in una dura lotta per la sopravvivenza, si ponessero domande circa la legittimità delle loro occupazioni, ma ci fu anche chi, nell’opinione pubblica inglese, si interrogò in merito alla liceità di quelle iniziative; le giustificazioni addotte dai fautori delle colonizzazioni furono sostanzialmente di due tipi.

John Winthrop, primo governatore del Massachussets, giustificò, a fronte delle critiche sorte in patria, la confisca delle proprietà indiane, in base al principio del “vacuum domicilium”, cioè, non essendo quelle terre sistematicamente coltivate, non potevano essere reclamate da nessuno, in base al diritto naturale.

L’altra giustificazione fa appello al principio della “wilderness”, ovvero l’occupazione di luoghi selvaggi oppure popolati da selvaggi.    

 Nessuno dei due argomenti regge ad un’analisi critica; il Nord America non era affatto un territorio deserto, si è stimata una popolazione complessiva di almeno 10 milioni di persone alla data delle scoperte di Colombo; a fine ‘800 gli indiani erano scesi a 250.000, uno sterminio certo non programmato, ma comunque devastante.

Gli indiani vivevano, all’epoca delle prime migrazioni inglesi, in piccole comunità autonome che mantenevano tra di loro vaghi legami religiosi, niente di simile ad una struttura politica; anche le singole tribù non erano organizzate in forma gerarchica, il capotribù era un punto di riferimento, un portavoce della comunità: di certo nella società indiana nessuno poteva vivere alle spalle degli altri, come completamente estranei alla cultura degli indiani erano i concetti di gerarchia, proprietà privata della terra ed accumulo di ricchezze, era veramente una società di uguali. Gli indiani vivevano di caccia e di agricoltura, anche se non conoscevano l’aratro, si spostavano di frequente per cercare zone più fertili o più ricche di selvaggina, ma avevano un concetto preciso di territorialità, non accettavano invasioni del loro habitat.

Esistono prove che i primi coloni riuscirono a sopravvivere anche grazie all’aiuto degli indiani che li sfamarono nei primi momenti e poi insegnarono loro come comportarsi in quegli ambienti oppure commerciarono con loro, vendendo selvaggina, pellicce ed altro; ricordiamo l’episodio più che famoso di Pocahontas. Questi rapporti, tutto sommato civili e ragionevoli, si guastarono quando la fame di terre portò i coloni ad occupare zone che gli indiani consideravano parte della loro nazione. La prima guerra indiana scoppiò per questi motivi in Virginia nel 1622, ma ad essa ne fecero seguito molte altre, ogni volta concluse da effimeri trattati che tendevano a respingere gli indiani verso l’interno, stabilendo frontiere che venivano regolarmente violate dai nuovi arrivi. Le guerre ed i massacri che ne conseguivano ponevano degli interrogativi, soprattutto presso l’opinione pubblica inglese, interrogativi che però venivano messi a tacere dagli argomenti sopra esposti, in particolare: i nativi erano selvaggi, privi di principi morali, di domicilio, di status giuridico, quindi inabili a reclamare la proprietà di territori od ancor meno di una nazione.

La pressoché completa assenza di una organizzazione politica, visto che la madrepatria si interessava alle colonie solo per riscuotere dazi sul commercio, lasciò i rapporti con i nativi in mano ai coloni; non ci fu almeno per il primo secolo di colonizzazione neppure un tentativo di dare al Nuovo Mondo una struttura amministrativa, come avevano fatto gli spagnoli in latino-America fin dal principio, non esisteva in seno al governo inglese un qualcosa di equivalente al “Consiglio delle Indie” che in Spagna combinava la raccolta di informazioni con un’autorità esecutiva capace di coordinare tutte le funzioni coinvolte, ogni ministero od ente procedeva per suo conto, mancava un disegno globale; d’altro canto la frammentazione del mondo indiano non suggeriva neppure la possibilità o la convenienza  di assoggettare i pellerossa, come era accaduto per Aztechi ed Inca, e di creare strutture permanenti che li amministrassero e li proteggessero.

I rapporti con i nativi furono quindi lasciati all’iniziativa dei coloni, la cui fame di terre non poteva condurre che ad usurpazioni da una parte e reazioni ostili dall’altra, in una continua alternanza di tregue e di scontri; ogniqualvolta gli indiani reagivano a degli espropri uccidendo singoli individui o devastando fattorie isolate, era istintivo per i coloni dipingerli come l’incarnazione del male, figure demoniache che andavano combattute con ogni mezzo. Questo concetto sopravvisse a lungo nell’immaginario collettivo della nazione americana, anche dopo l’indipendenza, quando addirittura fu impiegato l’esercito degli Stati Uniti nelle guerre indiane; d’altro canto, il manicheismo della morale protestante porta quasi istintivamente il fedele alla ricerca del principio satanico, dell’Anticristo; l’autoconvincimento, la certezza di essere nel giusto per la propria condotta morale, porta quasi naturalmente ad indentificare il nemico con il male. Abbiamo avuto noi stessi modo di constatare quanto questo atteggiamento, questo modo di considerare le comunità di nativi si siano estesi nel tempo fino ai giorni nostri, anche dai film western che vedevamo nella nostra gioventù; di fatto le due comunità non si compresero né si assimilarono mai, gli indiani vennero regolarmente respinti verso ovest, confinati in riserve, massacrati quando cercarono di ribellarsi.

 

Nascita ed origini della democrazia americana

Nelle origini degli Stati Uniti due macchie restano indelebili, la prima è lo schiavismo, cioè l’importazione di schiavi neri dall’Africa ed il mantenerli in condizioni di cattività, pratica durata quasi tre secoli, ma l’altra macchia indelebile è il sostanziale genocidio delle etnie autoctone, fatto su cui solo di recente la cultura e la politica americana hanno deciso di aprire gli occhi. Detto questo non possiamo però limitarci a deprecare questi fatti ma dobbiamo anche guardare ad altri versanti nella nascita di questa nazione, segnata da connotati assolutamente originali ed innovativi, di grande significato ed importanza per tutto il mondo occidentale; la democrazia americana è stata l’unica democrazia funzionante prima ancora che esistesse una Costituzione, è stata e rimane l’unico esempio di democrazia nata dal basso. Tutte le altre democrazie occidentali, ovvero i regimi parlamentari che le hanno precedute, hanno avuto origine da un difficile, complesso procedimento di contestazione, a volte di distruzione, dell’ordine preesistente, condotto in genere da una borghesia acculturata in contrasto con nobiltà e clero; nascono quindi da eventi traumatici al termine dei quali si perveniva a definire un documento, in genere frutto di mediazioni e compromessi, una Costituzione; sulla base di questa si sarebbe articolata la vita politica della nazione.

Niente di simile è quanto accadde negli Stati Uniti, dove la democrazia nacque e si affermò spontaneamente ancora prima che esistesse una carta costituzionale; la Rivoluzione Americana non dovette abbattere un regime preesistente, dovette salvare e istituzionalizzare quello che c’era già e che era nato esclusivamente dall’iniziativa dei primi coloni americani; la Costituzione nacque dalla necessità di salvare le forme associative, le istituzioni già funzionanti contro le prevaricazioni tentate dalla Corona e dal governo inglese. Vediamo come si arrivò a questo risultato.

Ai tempi in cui si venivano formando le colonie prevaleva nella madrepatria, in Inghilterra, la teoria mercantilistica, secondo cui un governo diretto delle colonie non era né utile né necessario, era importante solo controllare e regolamentare il commercio, che, dopo i celebri Navigation Act del 1660, doveva essere esercitato solo da sudditi e naviglio britannici e transitare necessariamente per l’Inghilterra. La presenza della Corona in loco era costituita solo dai Governatori, personaggi spesso mediocri o avidi e corrotti, che poco si curavano delle vicende locali, al governo interessavano solo i proventi delle dogane. Abbandonati a se stessi, poiché la madrepatria  non riteneva utile investire risorse nel Nuovo Mondo per amministrarlo, i coloni furono naturalmente portati a creare da soli le strutture della loro società; in principio i coloni pensarono di ispirarsi al modello politico della madre patria, che in realtà non era replicabile, perché si reggeva, nella prassi quotidiana, su di una serie di compromessi tra la Corona ed il Parlamento; questo veniva manipolato dai ministri grazie a nomine, appannaggi e donativi distribuiti per assicurarsi il consenso di eletti, che comunque erano  soggetti a condizionamenti “a priori”, grazie ad un sistema elettorale, retaggio delle tradizioni medievali, che non prevedeva suffragio universale e neppure distribuito in forma omogenea; il paradosso dei cosiddetti “borghi putridi” ne era la manifestazione più eclatante.

 In America i Governatori non disponevano di strumenti clientelari per comperare il consenso, potevano solo ricorrere a sistemi coercitivi per sciogliere assemblee, cassare editti o nomine, ma negligenza o disinteresse non li inducevano a farlo, se non in casi estremi: non c’era poi il sistema dei borghi putridi, che consentiva di restringere il diritto al voto o di condizionare gli eletti; nelle colonie, ogni “freeholder”, proprietario di un fondo, era un elettore, per cui la platea elettorale era incomparabilmente più vasta e meno controllabile che in Inghilterra, era, per intenderci,  molto più vicina al concetto di democrazia, come la intendiamo oggi. I coloni, nel decidere le loro strutture politiche, erano guidati anche dalla loro forma mentis religiosa; come, secondo la comune matrice congregazionalista, la Chiesa altro non è se non una libera associazione di fedeli, che scelgono da sé pastori, luoghi di culto, riti e liturgie, così anche la politica doveva essere espressione di una libera scelta di cittadini (freeman),  che si costituiscono in assemblee, nominano i propri delegati, votano attraverso di essi le proprie leggi, eleggono giudici e membri dell’esecutivo.

Anche il sistema educativo nacque dalle convinzioni religiose dei puritani, che ritenevano dovere primo del cristiano non solo leggere la Bibbia, ma conoscerne anche le interpretazioni ed i commentari; occorreva quindi impostare un sistema educativo articolato ed innovativo: l’istruzione dei figli restava un obbligo primario dei genitori, ma questo impegno doveva essere affiancato ed aiutato da scuole pubbliche; con una legge del 1647 l’assemblea del Massachusetts stabilì che ogni gruppo di 50 famiglie dovesse finanziare una scuola primaria ed ogni gruppo di 100 una scuola secondaria: non era obbligatoria la frequenza, ma la disponibilità degli istituti. Il principio dell’istruzione primaria e secondaria gratuita, aperta a tutti, è uno dei grandi traguardi della società americana, nessun altro paese ci era arrivato, si dovrà attendere la Rivoluzione Francese.

Subito dopo, sempre per motivazioni religiose, si pensò all’istruzione superiore, perché, come si disse, non si doveva lasciare le chiese in mano a ministri analfabeti. Così già nel 1636 nacque la più antica università americana, che porta ancora il nome del benefattore che ne finanziò la creazione, John Harvard, quindi l’Harvard College nel Massachusetts, di ispirazione puritana; ad esso seguì nel 1693 il College of William and Mary, in Virginia, destinato agli anglicani; poi Yale, Connecticut, 1701, Princeton, New Jersey, 1746, College of Philadelphia, Pennsylvania, 1754, Columbia University, New York 1754 e via dicendo. 

Credo sia superfluo sottolineare quanto l’istituzione di queste università, tutte autofinanziate dalle colonie, sia stata determinante per la formazione della classe dirigente che guiderà il Paese all’indipendenza ed ai successivi sviluppi della sua storia.

Così, da un incredibile miscela di coraggio, determinazione, esaltazione religiosa, spirito mercantile ed assenza di controllo politico (atteggiamento che andrà sotto il nome di ”benign neglect”, benevola indifferenza), istruzione diffusa ed abitudine all’autodeterminazione è nata la nazione destinata a guidare il mondo.

 

 

Inserito il:22/03/2024 15:43:48
Ultimo aggiornamento:22/03/2024 16:16:16
Condividi su
ARCHIVIO ARTICOLI
nel futuro, archivio
Torna alla home
nel futuro, web magazine di informazione e cultura
Ho letto e accetto le condizioni sulla privacy *
(*obbligatorio)


Questo sito non ti chiede di esprimere il consenso dei cookie perché usiamo solo cookie tecnici e servizi di Google a scopo statistico

Cookie policy | Privacy policy

Associazione Culturale Nel Futuro – Corso Brianza 10/B – 22066 Mariano Comense CO – C.F. 90037120137

yost.technology | 04451716445