Christian Krohg (Vestre Aker, Oslo, 1852 - Oslo, 1925) - Lettura
Isolamento da Coronavirus: Savonarola astenersi!
di Marialuisa Bordoli Tittarelli
La signora Persi e Gregory erano in Italia. Una breve visita alla figlia e un piccolo, piacevole viaggio di quasi primavera.
Ma avevano fatto i conti senza l’oste incappando nel Coronavirus che li aveva costretti a rimanere.
Si erano rifugiati nella casetta che la zia Pippa le aveva lasciato e diligentemente seguivano tutte le regole che la clausura forzata imponeva. Dopo i primi giorni di smarrimento e sconcerto avevano entrambi reagito con buon senso e serenità.
Secondo un’abitudine che veniva dall’infanzia, la signora incominciò il gioco del bicchiere mezzo pieno ripassando mentalmente tutto il positivo della situazione in cui si trovava. Aveva la fortuna di essere in un paese ameno, in mezzo al verde, ma non troppo lontano da una città dove approvvigionarsi e dotata di un eccellente ospedale; non era sola, ma condivideva la clausura coatta con il dolce Gregory, si trovava in una casa confortevole, dotata di una ricca libreria e perfino di un pianoforte.
Intorno alla casa c’era un giardino in cui si poteva camminare senza incorrere in ammende. Come partenza era eccellente. Rispetto alla grande maggioranza delle persone si sentiva vergognosamente privilegiata. Non soffriva di solitudine. Con tutti quei libri ad attorniarla era impossibile: da ogni scaffale sembravano sbracciarsi e spenzolarsi per richiamare la sua attenzione.
C’era musica a riempirle le orecchie e verso sera o la mattina presto iniziava già il canto degli uccelli. Dalle finestre vedeva il prato riempirsi di primule e violette e i due vecchi pruni carichi di teneri fiori bianchi. La primavera era al cancello.
Tuttavia la tragedia impregnava l’aria e tutto quel colore delicato, quel canto gentile, quel silenzio profumato contenevano anche qualcosa di sospeso, insolito, inconoscibile, nascosto e nemico.
Le strade erano perlopiù deserte e silenziose, ma quando si scorgeva una sagoma camminare solitaria carica di borse della spesa, la mascherina sul volto, gli occhiali, i guanti di plastica o gomma il pericolo aveva nome e cognome: Covid 19.
Era passato più di un mese dall’inizio dell’orribile epidemia e ancora non solo non se ne vedeva la fine, ma nemmeno sembrava avvicinarsi il famoso “picco” che si invocava speranzosi che poi sarebbe iniziata la discesa.
Mano a mano che i giorni passavano ci si rendeva conto che non era solo una tragedia, ma che tutto non sarebbe più stato “come prima”. Si sarebbe parlato di un tempo prima del Coronavirus e uno dopo il Coronavirus.
Per quanto in quei giorni tutto sembrasse vacillare o finire, la vita sarebbe continuata. Ne sapevano qualcosa tutti quegli anziani rintanati in casa a combattere il nuovo flagello, loro che di flagelli ne avevano visti già altri. Loro che erano le vittime designate o almeno preferite dalla scarna signora con la falce che li cercava scrupolosamente ormai in ogni angolo del mondo.
Quindi silenzio e segregazione. Niente amici, niente ristoranti, niente visite. Eppure la signora aveva la sensazione che tutti avessero qualcosa da dire, anzi da gridare.
I telegiornali, i servizi televisivi, gli speciali, mandavano le notizie, le raccomandazioni e i riassunti degli inviati speciali sempre con voce carica di ansia e di tragedia. Sarebbe stato necessario un tono più calmo e pacato che portasse in ogni casa la composta serietà, ma non l’affanno da tragedia greca. Rendeva il tutto sopra tono immettendo nervosismo e scoraggiamento.
Non era più abituata al tono da spettacolo usato in Italia per comunicare notizie gravi. Qui tutto era eccitazione e agitazione.
I cellulari non avevano mai registrato tanti messaggi, arrivavano a tutte le ore del giorno e della sera anche da persone che normalmente non si facevano sentire. Sembrava che quel confino imposto avesse sviluppato in tutti il bisogno di parlare ed esprimere opinioni e punti di vista in maniera irrefrenabile. Un gran numero di persone riversava “nell’aria” teorie, visioni, avvertimenti, provvedimenti.
Il suo cellulare era intasato da video, audio, foto, vignette, canzoncine, preghiere, numerose catene da non fermare assolutamente, informazioni perentorie, smentite, suggerimenti di medicine miracolose, denunce di complotti …. Una confusione eccitata, un eccesso di comunicazione che generava uno smarrimento e infine la necessità di staccare “il filo” davvero, se non altro per disintossicarsi dall’incertezza e tentare di capirci qualcosa.
La signora Persi, inizialmente, si era divertita, e, a volte, aveva sorriso per vignette e creative gag; aveva preso sul serio alcuni avvertimenti, si era stupita per alcune notizie, poi rivelatesi false, si era commossa su video con musiche intense, ma si era infine indignata all’apparire dei soliti Savonarola minacciosi e colpevolisti.
Qualcuno aveva fatto circolare un video in cui il Coronavirus si presentava come un monito per far riflettere sulla vita vergognosa che l’essere umano conduceva, così di corsa, senza riflettere, senza profondità, senza pace.
Beh, lei pensava che il “Corona Virus” che parlava in quel video fosse veramente un cretino.
Proprio non ne voleva sapere di stracciarsi le vesti per il pianeta moribondo che si ribellava alla perfidia degli uomini che l’avevano distrutto e puntava il dito accusatore contro ognuno; dito che lei scostava di malagrazia rifiutandosi di sentirsi colpevole. Per che cosa?
Ripassava diligentemente la sua vita, in maniera semiseria, ovviamente, cercando di capire come aveva potuto offendere Madre Terra. Perché si era riscaldata dal freddo? Ricordava con orrore quanto fossero sgradevoli i geloni della sua infanzia. Aveva contribuito a distruggere le foreste? Non le risultava. Anzi le sembrava che mai come di questi tempi gli alberi e la vegetazione la facessero da padroni. Aveva sprecato l’acqua? Troppe docce? Ma se la pulizia e l’igiene erano un argomento martellante per la salute degli esseri umani. Troppo spreco di cibo? Certo rispetto al passato…. doveva stare più attenta ai dolci. Ritornare a consumarne solo alle feste comandate. Questo si poteva tentare, prendendo due piccioni con una fava, contenere la linea ed evitare sprechi. Evitare l’automobile per non inquinare? Non guidava più da un pezzo e adorava andare a piedi, quindi non si sentiva colpevole.
Ma perché poi il pianeta doveva punirla con il Coronavirus? La maggior parte delle persone era costretta ad una vita faticosa, spesso di corsa nella speranza di rubare qualche spicciolo di tempo per divertirsi un po’ e riposarsi, dato che le bollette da pagare, l’affitto, il mutuo, l’assicurazione, le tasse, le ritenute varie, reclamavano e premevano per essere pagate con il duro lavoro.
Il Corona diceva che “Devi fermarti”.
Lei si domandava quale fosse il periodo aureo degli umani, quello in cui essi potevano fermarsi a meditare su se stessi, sulla bellezza e sul senso della vita. Per quello che lei ricordava, in tutti i tempi la maggior parte degli uomini faticava, passava le giornate della sua vita lavorando duro o studiando durissimamente, occupandosi di mettere insieme il pranzo con la cena, di sfamare i figli, di pagare l’affitto e via dicendo. Tempo per meditare sul senso e la bellezza della vita ce n’era stato sempre poco.
C’erano poi i Savonarola peggiori, quelli che la irritavano davvero, convinti che la pandemia fosse una punizione divina.
In tutti i tempi costoro tirano fuori il cilicio ad ogni disgraziato accadimento fosse un terremoto, un maremoto, una qualsiasi catastrofe. Una pandemia li faceva uscire di corsa a gridare ai quattro venti che Dio si era stancato dei peccati degli uomini, della loro cecità, del loro maledetto egoismo e quindi li puniva per farli rinsavire e riflettere.
Queste uscite, questo bisogno di scagliarsi sulle nefandezze degli uomini la sconcertavano.
Alla sua obiezione che un Dio misericordioso e buono non poteva diventare così crudele da far fuori un gran numero di poveri vecchi, ribadivano che era buono, ma giusto e quindi una lezione la doveva dare. Di fatto secondo costoro un Dio seccatissimo di tanto in tanto si affacciava sulla povera palla di incertitudine e di affanno che è la terra, saettando contro quelle povere formiche disperate che costituiscono l’umanità.
Aprendo a caso libri del passato e del passato remoto, messaggi di questo tenore si ripresentano puntualmente con le stesse accorate parole e le stesse inquiete minacce. Povero essere umano.
La signora Persi non aveva dei suoi simili una visione eccelsa e stellare, ma nemmeno demoniaca e ripugnante. Pensava che la vita di ogni essere vivente del pianeta fosse incerta, faticosa e per la maggior parte molto, molto dura. Non se la sentiva di giudicare colpevole nessuno, convinta che la “libertà di scelta” e “libero arbitrio” fossero molto discutibili.
Liberi. Non tanto. Pensava che il DNA già ti spingeva in una certa direzione, i condizionamenti ambientali, familiari, culturali avevano un peso notevole sulle reazioni e le decisioni. Come si poteva parlare di libera scelta, quindi? Di questo passo non era facile dividere i buoni dai cattivi …
Che cosa spinga un certo numero di essere umani a cercare la salvezza nella punizione divina potrebbe essere un interessante argomento per una tavola rotonda di psicologi, ma è evidente che la paura e lo sconcerto generano reazioni e fantasie eccezionali.
Spingono a cercare una spiegazione, una ragione, un capro espiatorio al ribaltamento del destino, alla distruzione di sicurezze costruite con fatica e speranza. Meglio pensare che ogni attacco, ogni distruzione siano spiegabili, riconducibili a un Dio che punisce e poi assolve, piuttosto che sprofondare nell’angoscia della solitudine dell’ignoto.
Realizzare che del nostro vivere non se ne conosca il senso, lo scopo o la ragione può diventare un peso insopportabile. Dostoevskij lo sapeva bene.
Ancora una volta la signora Persi si ritrovò con i Fratelli Karamazov tra le mani, concentrata nella rilettura del capitolo “La Rivolta” sentendo che i pensieri del grande scrittore la facevano sentire meno sola.
La vera libertà è incertezza, solitudine, peso. Ma una volta scoperta non si può più abbandonare.