Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Antoon van Dick (Anversa,1599-Londra, 1641) - Charles I and Henrietta Maria with children

 

La Rivoluzione Inglese II - Gli Stuart - Carlo I (1625 - 1649)

di Mauro Lanzi

   

Carlo I Stuart, salito al trono nel 1625, dopo la morte del padre, è tra i personaggi più tragici di tutta la storia inglese; le vicende della sua vita furono convulse e drammatiche; i problemi con le religioni riformate, il contrasto infinito con il Parlamento, la guerra civile, la prigione ed infine il patibolo. Carlo fu il primo sovrano regnante condannato a morte dai suoi sudditi, a seguito di un processo, più o meno regolare; poi, per un paradosso, è anche stato elevato all’onore degli altari dalla Chiesa Anglicana, che lo ricorda come Santo il 30 gennaio.

Come si poté giungere a tanto?

 Nel regno di Carlo I si possono distinguere quattro fasi:

  • Una prima fase (1625-29) dominata dal favorito, Buckingham. Questa fase si conclude con l’assassinio di Buckingham e lo scioglimento del Parlamento.
  • La fase successiva è stata denominata “Personal Rule” o Tirannia degli Undici Anni. Carlo cerca di governare il Paese in assenza del Parlamento (1630-42).
  • Parlamento “Corto” e Parlamento “Lungo”.
  • Guerra civile ed esecuzione di Carlo (1649).

1.Buckingham

L’inizio del regno di Carlo venne accolto con entusiasmo da tutto il Paese; anche il matrimonio con Enrichetta Maria di Francia (ultima figlia di Enrico IV), celebrato un mese dopo l’incoronazione, non destò eccessiva ostilità, anche se la sposa giunse accompagnata da un codazzo di preti, gesuiti e nobili cattolici. Il Parlamento, presto convocato, si dimostrò subito in linea con il pensiero delle precedenti assemblee, dominava lo spirito puritano, incline a mescolare questioni religiose a questioni politiche, nel malcelato disegno di un grande assalto alla Chiesa episcopale; i puritani, infatti, devono il loro nome all’intenzione di “purificare” la Chiesa inglese da ogni contaminazione con il cattolicesimo, in primis la struttura gerarchica: inizialmente il loro intendimento era di purificare la Chiesa Anglicana dall’interno, poi le repressioni subite ed il prevalere del movimento “congregazionista” li portarono su posizioni di aperto dissenso, fino alla guerra civile.

Ma se questa era l’atmosfera in sottofondo, lo scontro aperto esplose ancora una volta sulla questione fiscale; a fronte di una richiesta di nuovi sussidi, giustificati dall’andamento del conflitto in Europa, i Comuni chiesero ragione dello sperpero del denaro stanziato in precedenza, sperpero di cui incolpavano apertamente Buckingham, già favorito del padre, coinvolto anche in una presunta tresca con la regina di Francia (ricordata, tra l’altro, ne “I tre Moschettieri”). Per difendere il duca, Carlo scioglie il Parlamento (Agosto 1525) senza aver ottenuto i sussidi richiesti ed è costretto a trovare altre strade per raccogliere fondi. L’urgenza è procurarsi i mezzi necessari per soccorrere il Palatinato: la soluzione escogitata dal Re e dai suoi consiglieri, quanto mai precaria, è di riesumare la guerra da corsa, rapinando i convogli spagnoli che trasportavano l’oro delle Americhe: ma i Drake ed i Raleigh non c’erano più, la marineria inglese era ridotta a poca cosa; Buckingham, incaricato dell’operazione, fallisce l’attacco a Cadice ed il Re è costretto alla misura che meno prediligeva, di nuovo il ricorso al parlamento.

 Si susseguono due nuove convocazione del Parlamento, gennaio 1626 e marzo 1628; in entrambi i casi il Re si scontra con l’ostinata resistenza dell’assemblea che reclama un controllo politico sull’uso dei fondi stanziati: il Re, che giustamente lamenta che certe tasse, decretate a vita ai suoi predecessori (tonnellage e poundage, specie di dazi su lane e pelli), erano state limitate ad un solo anno, scioglie il parlamento ed inizia a riscuotere quelle stesse tasse, anche se non approvate, oppure impone prestiti forzosi (benevolenze); ogni renitenza veniva punita col carcere o acquartieramenti forzosi di truppe od altre angherie.

Come se questo non bastasse, Carlo e Buckingham capovolgono ancora le direttrici di politica internazionale, promettendo aiuto ai protestanti francesi (ugonotti) arroccati nella fortezza della Rochelle; una prima spedizione fallisce miseramente, le Camere, di nuovo convocate, attaccano pesantemente Buckingham, ritenuto responsabile di tutti gli insuccessi e di tutte le malversazioni di quel periodo. Non riuscendo ad avere soddisfazione, le camere si risolvono ad un gesto inusuale che avrà conseguenze imprevedibili in futuro, la sottoscrizione della “Petition of Rights”; si chiedeva al Re:

  • Che nessuno venisse più costretto a pagare donativi, prestiti o tasse senza delibera del Parlamento.
  • Che nessun uomo libero potesse essere imprigionato se non per violazione della legge comune.
  • Che non si potessero eseguire acquartieramenti forzosi.
  • Che non si potesse proclamare la legge marziale.

Difficile interpretare questo documento come una proclamazione di libertà, non era certo neppure che validità avesse anche dopo la firma del Sovrano. Carlo fu costretto a controfirmarla, perché pressato dalla politica internazionale, la caduta della Rochelle sarebbe stato un colpo durissimo al prestigio inglese: ottenuti i fondi, si poté preparare una nuova grande spedizione navale; Buckingham in qualità di Lord dell’Ammiragliato sorvegliava i preparativi, quando fu pugnalato a morte  da un giovane gentiluomo John Felton. Buckingham pagò così di prima persona l’impopolarità che lo circondava per la sua arroganza ed i suoi ripetuti insuccessi (23 Agosto 1628): la spedizione partì ugualmente, ma La Rochelle, ultimo baluardo del protestantesimo francese dovette arrendersi nel settembre dello stesso anno: l’anno successivo Carlo accetterà di far pace con la Francia.

La morte di Buckingham non migliorò i rapporti col Parlamento, che continuava a contestare l’esazione forzosa di imposte non deliberate; infine, a fronte di una richiesta reale di aggiornamento della sessione, i parlamentari si ammutinarono e chiuse le porte del Parlamento votarono un testo che dichiarava nemico della nazione chiunque cercasse di esigere tasse non deliberate oppure cercasse di reintrodurre riti cattolici o “arminiani”. Il Re reagì facendo arrestare i capi della rivolta e sciogliendo il Parlamento; non lo riconvocherà per altri 11 anni.

La prima fase del regno di Carlo I contiene, in nuce, tutti gli elementi che lo porteranno al disastro; il Re, mal consigliato da Buckingham, aveva commesso tutti gli errori possibili, da una politica estera confusa e fallimentare, ad un mancato controllo delle spese, agli scontri ripetuti col Parlamento, soprattutto Carlo non riusciva a capire che una politica estera attiva sotto il profilo militare aveva bisogno del consenso del Parlamento e della nazione: sarà questo malinteso che lo porterà, infine, al patibolo.

  

  1. Il “Personal Rule”

La morte di Buckingham ed il congedo del Parlamento furono una liberazione per il Re: Carlo, svincolato da condizionamenti esterni, si dedica alla risoluzione di quelli che considera i problemi principali del Regno, cioè la questione religiosa e la questione finanziaria, con il solo appoggio del Privy Council (Consiglio Privato), senza convocare il Parlamento: occorre peraltro specificare che non esisteva nessuna legge, nessuna tradizione che imponesse la convocazione del Parlamento ad intervalli regolari.

 Carlo in questa fase di governo si appoggiò principalmente a due personaggi, Thomas Wentworth, poi conte di Strafford, e William Laud, arcivescovo di Canterbury.

Laud seguiva, per conto del Re, la questione religiosa; può apparire singolare l’attenzione del Re a questioni di liturgia o di fede, ma Carlo, almeno in questo, aveva ben chiaro l’insegnamento del padre, Giacomo I, di cui si ricorda il motto: “No Bishop, no King”; il potere reale, privato dell’appoggio di una Chiesa Episcopale, non avrebbe retto alla spinta dal basso. La Chiesa inglese era una chiesa di compromesso, sempre stretta tra cattolicesimo e puritanesimo, non aveva una sua base dottrinaria certa, era quindi esposta al rischio di una deriva o di una progressiva frantumazione. Ma l’unità della Chiesa era l’unità della nazione ed andava preservata ad ogni costo; non potendosi fare appello alla fede intima dei credenti, perché mancavano i contenuti dottrinari, si dovevano imporre aspetti esteriori quali le liturgie, i fedeli dovevano recitare le stesse preghiere, codificate nel Prayers Book, riunirsi nei luoghi consacrati, prendere eucarestia e sacramenti dalle mani di preti fedeli alla Chiesa Episcopale e, quindi, al Re.

Laud si impegnò in modo ossessivo nel reprimere ogni deviazione, ogni deriva calvinista, impuntandosi anche su dettagli secondari; per assicurare l’obbedienza ai suoi precetti e l’applicazione delle sue liturgie; Laud si serviva anche di strumenti di repressione estremi, quali la “Star Chamber”, tribunale politico istituito da Enrico VII, che operava al di fuori delle legge comune, impiegava di prassi la tortura per ottenere le ammissioni di colpa e comminava pene severissime, fino alla condanna capitale: molti oppositori religiosi finirono in carcere o sul patibolo; è di questo periodo la vicenda dei “Pilgrim fathers”(1628) e di chi poi li seguì sulla via dell’America.

Laud pagherà con la vita la sua ostinata difesa della chiesa Anglicana e la sua fedeltà al Re.                             

L’altro consigliere di fiducia del Re era un ex parlamentare, Thomas Wentworth, che era stato per un lungo periodo uno dei capi dell’opposizione a Carlo e Buckingham: morto il favorito, Wentworth, stanco delle inutili diatribe parlamentari, aveva cambiato fazione e si era allineato sulle posizioni della monarchia; Carlo lo aveva incluso nel Privy Council, lo aveva fatto conte di Strafford, lo aveva impiegato in delicati incarichi di governo nel Nord ed in Irlanda. Strafford aveva assolto ai suoi compiti brillantemente, divenendo il più ascoltato consigliere del Re in materia di amministrazione dello stato.   

Il problema più critico era, inutile dirlo, la finanza; il sistema fiscale inglese, occorre dirlo, era assai peculiare: le entrate ordinarie della corona erano poca cosa, solo le rendite demaniali, i dazi e gli scarsi redditi feudali. Tutte le altre imposte generali erano imposte straordinarie, richiedevano una delibera del Parlamento, senza la quale le resistenze alle esazioni diventavano insuperabili: a differenza della Francia, infatti, dove la taglia era un’imposta individuale, in Inghilterra il Parlamento concedeva, su richiesta del sovrano, un importo complessivo, la cui distribuzione era affidata alle autorità locali; senza il concorso degli organi periferici non si otteneva nulla, perché nessuno sapeva, anche per le imposte demaniali, chi possedesse che cosa; era questa la base del potere dell’autogoverno locale, il potere centrale poteva sopraffarlo, ma non poteva farne a meno.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                           

Stante questa situazione, il governo di Carlo era costretto a ricorrere a mezzucci, vendita di cariche, prestiti forzosi, esazione illegale di qualche imposta indiretta, tonnellaggio e peso. Ovviamente non erano queste le risorse che potevano finanziare una grande politica internazionale; in Europa la guerra dei trent’anni era entrata nella fase più critica con la discesa in campo di Svezia prima e Francia poi; si stavano decidendo le sorti d’Europa, tutto in assenza di una qualsiasi iniziativa inglese. Carlo soffriva questa inazione, ma sapeva di dover mordere il freno: non potendo fare alcuna mossa sulla continente, cercò di rivalersi sul mare, investendo in nuova flotta. La nuova tassa introdotta per finanziare l’operazione, lo “ship money”, veniva giustificata con la necessità di proteggere il traffico marittimo inglese contro la pirateria; venne applicata prima alle città costiere e poi estesa a tutto il regno, divenendo così un’imposta di carattere generale. Le classi abbienti protestarono ma la scusa della difesa del Paese contro la pirateria apparve giustificare il prelievo.

In complesso, comunque, il regime assolutistico di Carlo si sosteneva senza scosse o rischi eccessivi; l’amministrazione dello Stato era condotta in modo corretto ed efficiente, con una rinnovata attenzione ai meno abbienti, il Re stesso era moralmente inattaccabile, non gli si attribuiscono né vizi né amanti; Carlo fu anche un grande mecenate, grande ammiratore di Tiziano e dell’arte del Rinascimento italiano; cercò di far venire a Londra Gian Lorenzo Bernini, senza riuscivi. Ebbe miglior fortuna con Orazio ed Artemisia Gentileschi (vedetela nell’allegoria della pittura) e, soprattutto, con Anthony Van Dyck che divenne, nell’ultima parte della sua vita, il pittore di corte; di Carlo I occorre anche ricordare l’acquisto della favolosa pinacoteca dei Gonzaga, sciaguratamente posta in vendita da Vincenzo II Gonzaga, indegno discendente di tanta schiatta.

Una sola cosa poteva mettere in difficoltà il governo, la guerra e proprio in guerra si precipitò inconsultamente il Re, per un conflitto religioso aperto con la Scozia; Carlo non sapeva nulla della patria di origine dei suoi antenati, non l’aveva neppure visitata; vi si recò per la prima volta nel 1633 per essere incoronato ad Edimburgo. Lo accompagnava William Laud, che nel corso di questa visita ebbe modo di rilevare lo stato pietoso della Chiesa Scozzese; preti ignoranti o corrotti, riti officiati in modo sconveniente, occorreva, secondo Laud, una profonda riforma, imponendo come in Inghilterra l’autorità dei vescovi su tutto il clero. Il problema era già stato affrontato dal Giacomo I, che saggiamente aveva evitato lo scontro con la Kirk presbiteriana; i vescovi esistevano, ma non intervenivano nella gestione della religione, in un compromesso precario accettato da tutti.

L’intenzione di Laud di omologare la Chiesa scozzese a quella inglese provocò un’insurrezione generalizzata, i riti officiati secondo le nuove regole venivano interrotti, gli officianti costretti alla fuga. Infine, per la spinta anche della grande nobiltà, che temeva di dover restituire i beni rapinati alla chiesa, si giunse nel 1638 alla firma di un “Covenant”, una Convenzione, i cui sottoscrittori si impegnavano a difendere con il sangue la “vera religione” contro ogni tentativo di ritorno al papismo; il documento, distribuito in innumerevoli copie raccolse un vastissimo consenso. Carlo cercò di negoziare, ma un sinodo convocato a questo scopo cassò il libro dei canoni e le liturgie voluti da Laud, depose i vescovi, anzi abolì l’episcopato, ristabilì la chiesa presbiteriana nella forma più rigida. Non restava che l’opzione militare in quella che sarà detta la “Guerra dei Vescovi”.  Carlo cercò di organizzare un esercito, ma le scarse risorse ed il reclutamento forzoso produssero risultati deplorevoli; di contro gli Scozzesi, molti dei quali avevano fatto esperienza come mercenari sui campi di battaglia europei, riuscirono a mettere in campo una compagine molto motivata e combattiva, che inflisse agli avversari una serie di disfatte costringendo Carlo alla “Pacificazione di Berwick” (1639).     

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  1. Parlamento “Corto” e Parlamento “Lungo”

La pace non era per il Re che una scusa per prendere tempo: su consiglio del conte di Strafford, che pensava forse di poter far leva sul patriottismo inglese, visto che gli scozzesi avevano chiesto aiuto alla Francia, Carlo si decise di convocare il Parlamento (13 Aprile 1640): purtroppo si trovò di fronte gli stessi oppositori di undici anni prima, capeggiati da John Pym, un ardente puritano; sotto la sua spinta, prima di votare qualsiasi sussidio, si pretendeva soddisfazione di tutti i soprusi del governo negli anni passati, dallo ship money, alla riscossione indebita di tonnellage e poundage, alle prepotenze dei vescovi etc; al Re non restò che sciogliere il Parlamento dopo tre sole settimane (“Parlamento Corto”).

Gli Scozzesi avevano ripreso le ostilità, Carlo, dopo aver chiesto invano prestiti a destra e a manca, cercò di contenerli con truppe raccogliticce subito messe in fuga; varie contee del Nord furono occupate, infine gli Scozzesi acconsentirono ad un armistizio, contro la promessa del pagamento di un robusto riscatto per liberare le contee occupate: occorreva denaro per liberare del territorio inglese, e con questa giustificazione il 6 Novembre 1640 fu convocato il cosiddetto “Lungo Parlamento”. Si apriva una nuova epoca nella storia d’Inghilterra, furono “moderne”, le elezioni perché accompagnate da una sia pur rudimentale campagna elettorale, condotta da Pym in tutta la nazione, fu moderno il formarsi di embrioni di partiti, furono moderni i metodi di dibattito, preceduti dal lavoro di commissioni fisse o commissioni speciali, che proponevano all’assemblea le loro conclusioni.

Un ruolo particolare lo assunse Pym, che utilizzava la propria abitazione per vere e proprie riunioni di partito, dove si organizzava il lavoro delle commissioni, ma anche la persecuzione sistematica degli avversari politici; chiunque avesse collaborato con il passato governo andava esautorato o punito. Pym non si faceva scrupolo di utilizzare il popolo minuto di Londra contro chiunque osasse resistere, aveva il potere prima ancora dell’inizio dei lavori del Parlamento, il Re ed il governo apparivano completamente esautorati per la sconfitta e l’invasione subite.   

Il primo bersaglio degli estremisti fu il consigliere che appariva più vicino al Re, il conte di Strafford; messo sotto accusa già 7 giorni dopo l’apertura del Parlamento, il processo contro di lui, un processo sicuramente politico, si trascinò per quasi sei mesi in un alternarsi di accuse ingiustificate o insufficientemente provate, finché qualcuno non pensò di riesumare un antico istituto medievale, “l’attainder”, cioè l’attentato contro il Parlamento, contro le leggi fondamentali o contro la figura del Re: formulata l’accusa, tutti i membri contrari, sia ai Comuni che trai Lord, vennero intimiditi o terrorizzati dal popolaccio che assediava Whitehall o persino le loro dimore; votato così l’attainder, mancava l’approvazione del Re, che aveva personalmente promesso l’incolumità a Strafford; Carlo era rimasto isolato, tutti i suoi consiglieri erano fuggiti, anche i vescovi ed i Lord lo avevano abbandonato, così, in un momento di sconforto, il 10 Maggio 1641 Carlo firmava l’attainder; il 12 Strafford veniva decapitato; fu il primo passo del Re verso la rovina.

Insieme all’attainder, Carlo fu costretto, fatto ancora più grave, a firmare un bill che stabiliva che il Re non potesse sciogliere il Parlamento, senza il consenso del Parlamento stesso; nasce da qui il “Lungo Parlamento”, un’assemblea che si perpetua a suo piacimento, non essendo più soggetta neppure a verifiche elettorali: è il primo esempio, che poi farà scuola, dei risultati di una lotta politica appoggiata da moti di piazza, lotta che porta necessariamente alla sovversione, alla guerra civile ed alla dittatura. La sequenza che vedremo realizzata in Inghilterra si ripeterà inevitabilmente in tutti gli eventi analoghi (inclusa la Rivoluzione Francese); dominio della piazza, quindi sovversione, dispotismo, guerra civile, dittatura militare, infine restaurazione. Carlo, che aveva commesso l’imperdonabile errore di cedere al Parlamento ed a Pym in merito alla condanna di Strattford, non riesce a riprendere in mano la situazione; tenta di far arrestare Pym ed i suoi principali collaboratori, ma questi riescono a sottrarsi all’arresto, protetti da vaste complicità (4-10 gennaio 1642). Non solo; rientrato Pym, i comuni approvano un bill che definisce sedizione opporsi alle delibere del Parlamento. Allora, dopo aver inviato moglie e figlie in Olanda, il Re si trasferisce a York, per riunire intorno a sé le contee del Nord, tradizionalmente monarchiche; è l’inizio della guerra civile

  1. La guerra civile

Molti Lords seguono il Re che stabilisce il suo quartier generale ad Oxford, riconquistata dopo le prime vittorie sul campo; i monarchici possono contare su di una migliore organizzazione militare, grazie alle esperienze acquisita da molti nobili, che avevano servito negli eserciti in guerra sul Continente; in particolare i monarchici godevano di una acclarata superiorità nella cavalleria, arma decisiva a quei tempi, abilmente guidata da un nipote del Re, il principe Ruperto, venivano denominati i “Cavalieri”; i parlamentari, però, che controllavano Londra ed i porti sulla Manica, quindi la parte ricca del Paese, disponevano di più vaste disponibilità finanziarie e potevano mettere in campo più uomini. Il confronto era quindi incerto, i primi successi dei monarchici non furono decisivi, il Parlamento, posto di fronte al pericolo di un insuccesso e di un ritorno del Re, fu spinto verso posizioni estreme; i vescovi furono aboliti, la libertà di stampa cancellata da una severa censura, nuove tasse furono imposte al paese per reperire risorse, infine, nel 1645, fu condannato e giustiziato il vescovo Laud, malgrado l’assenza di qualsiasi prova concreta di un suo tradimento, quasi a sancire la rottura irreversibile con il passato.

Soprattutto, come spesso accade nei momenti più difficili di una guerra civile, il potere effettivo passò poco alla volta in mano ai militari, tra cui iniziava ad emergere la figura di un oscuro capitano di cavalleria, Oliver Cromwell. La sua rapida ascesa ai vertici del potere sorprese tutti i suoi contemporanei, sorprese anche lo stesso protagonista: “Nessuno arriva mai così lontano, come colui che non sa dove vada”, è una sua frase che esprime bene la casualità degli eventi che lo portarono alla testa del Paese.

Cromwell aveva compreso fin dai primi scontri che la cavalleria era l’arma decisiva di quella guerra ed aveva dedicato fino allo stremo le sue indiscutibili capacità di organizzatore e di comandante militare, per creare una cavalleria pari o addirittura superiore a quella monarchica, gli ”Ironsides”, le “Costole di ferro”, fanaticamente devoti al loro capo ed alla causa parlamentare: sono loro il punto di forza del “New Model Army”, l’esercito rinnovato, disegnato da Cromwell. Cromwell aveva capito che per opporsi allo spirito d’onore dei Cavalieri, occorreva una nuova fede individuale, indipendente dalle sette e dalle correnti religiose che proliferavano a Londra e nel Parlamento (puritani, presbiteriani, scozzesi ed altro), occorreva che ogni uomo si sentisse personalmente scelto da Dio per i suoi disegni, una specie di religiosità laica, che Cromwell riuscì ad inculcare nei suoi uomini. Era abile il Capo nel battere la grancassa della propaganda religiosa, attribuendo ipocritamente a Dio il merito di ogni vittoria, quel Dio di cui egli stesso si presentava come strumento ed interprete: non fa meraviglia, quindi, che alla fine siano proprio Cromwell ed i suoi Ironsides ad emergere come i dominatori della scena.

Da non sottovalutare, nell’esito dello scontro, fu anche l’apporto degli Scozzesi, scesi di nuovo in campo per l’antica diffidenza nei confronti dello Stuart e per il miraggio di sostanziosi compensi promessi dal Parlamento; due gli scontri decisivi, Marston Moor,

 2 luglio 1644, dove vennero annientate le forze monarchiche del Nord, grazie proprio ad un’audace manovra di aggiramento del comandante scozzese, e Naseby, 14giugno 1645, dove il grosso dell’esercito lealista subì la sconfitta decisiva. La guerra di fatto era conclusa: il Re tentò in extremis di raggiungere un’intesa con gli Scozzesi, ma questi soddisfatti dal pagamento degli arretrati disposta dal Parlamento, consegnarono il Re ai parlamentari.    

 La conclusione delle operazioni avrebbe dovuto comportare la smobilitazione dell’esercito, ma l’ordine del Parlamento di sciogliere le formazioni militari non fu accettato né dai capi , né dalla truppa, che si sentivano ormai i veri rappresentanti della nazione, a fronte di una Camera dei Comuni ormai palesemente travolta dalla corruzione: il 4 giugno 1647 gli Ironsides si fanno consegnare la persona del Re dalle guardie che lo avevano in custodia, il 6 agosto 18 mila soldati sfilano per Londra, disponendo presidi davanti al Parlamento ed alla Torre: è il prologo al colpo di stato.

Il Re nel frattempo non era rimasto inerte: a parte numerosi tentativi di fuga, aveva intavolato trattative con tutte le parti in causa, Comuni, esercito, presbiteriani ed altri; in particolare Carlo aveva raggiunto un’intesa segreta con gli scozzesi, a cui prometteva di concedere tutto quanto negato in passato; questo inatteso voltafaccia, unito al malcontento diffuso nel paese per l’iniquità e la corruzione che appestavano le nuove classi dirigenti, portò alla ripresa delle operazioni militari. L’inedita alleanza tra monarchici e scozzesi sembrava avere buone possibilità di successo, ma ritardi ed errori tattici da parte degli alleati consentirono ancora una volta a Cromwell di prevalere.

L’esito del conflitto rafforzò la posizione dei militari: ormai era scontro aperto tra Parlamento ed esercito che si proclamava sempre più chiaramente unico interprete del volere della nazione; in un estremo sussulto di indipendenza i Comuni avevano dichiarato illegale l’ennesimo trasferimento del Re, voluto dai militari, e si erano dichiarati disposti a negoziare con Carlo sulla base delle sue ultime proposte. Per tutta risposta l’esercito occupa Londra per la seconda volta: il 6 dicembre 1648 reparti armati si presentano a Westminster, molti membri dei Comuni vengono arrestati, 140 parlamentari sono allontanati.

Nasce così il “Rump Parliament”, il Parlamento Mozzicone, costituito di soli 56 membri, un consesso privo di ogni legalità e rappresentatività, “longa manus” dell’esercito (o di una parte di esso), che tuttavia serviva ai suoi mandanti per dare un simulacro di legalità al loro esercizio del potere. Eppure questa assemblea, contraria ad ogni principio giuridico, prese decisioni di importanza straordinaria; venne creato, con ordinanza parlamentare, un tribunale senza precedenti costituzionali per giudicare il Re, dopo aver approvato un bill che sanciva essere alto tradimento da parte del Re far guerra al Parlamento. Poiché i pochi Lord rimasti si opponevano ad entrambi i provvedimenti, il Rump rompe gli indugi, facendo propria la tesi delle frange oltranziste dei militari, i “Levellers” e decreta:

“Il popolo è, dopo Dio, l’origine di ogni potere legittimo; i Comuni d’Inghilterra, radunati a Parlamento, scelti dal popolo e rappresentanti di esso, detengono il potere supremo; ciò che è dichiarato legge dai Comuni ha forza di legge, anche se non vi concorrono il Re e la Camera dei Pari.”

Così un gruppo di individui, né scelti dal popolo, né rappresentanti dello stesso, non solo altera l’antico equilibrio tra Monarchia, Comuni e Lords, ma di fatto apre le porte al primo stato democratico moderno; l’Inghilterra di oggi, in fondo, è proprio questa!!

Il Rump non avrà né la forza, né la capacità di trasformare in Costituzione per la nascente repubblica questa dichiarazione di principi, ma il diverso equilibrio tra i poteri rimase anche dopo la Restaurazione; Camera dei Lords e Monarchia non saranno mai più le stesse. 

In queste condizioni la sorte del Re era segnata e Carlo se ne era reso conto da tempo; negli ultimi mesi della sua vita, questo monarca, che durante tutto il suo regno si era mostrato titubante, indeciso o, a volte, avventato, in genere insufficiente alla bisogna, che aveva dato prove di doppiezza, aveva tradito i servitori più fedeli, come lo Strafford, riacquistò, in questa fase estrema, tutta la sua statura morale; troncò ogni trattativa, rigettando ulteriori compromessi, si rifiutò di consegnare i suoi seguaci alla vendetta dei loro nemici, riaffermò il suo diritto dinastico a regnare sull’Inghilterra, senza cedimenti alle tesi contrattualiste, ribadì la propria adesione all’anglicanesimo, adesione che in altri tempi era apparsa un espediente politico, ma che ora diviene convinzione interiore; pochi giorni dopo la sua morte fu pubblicato, ad opera di un cortigiano che lo aveva assistito, la Eikon Basiliké, un testo a cui Carlo aveva affidato le sue meditazioni personali circa il suo regno e i fatti che lo avevano segnato, accompagnate da preghiere e professioni di fede:  la fama di Re martire è nata anche da questa pubblicazione.

L’Alta Corte chiamata a giudicarlo era la negazione di ogni principio giuridico e costituzionale; nessun giudice, nessun Lord accettò di farne parte, si dovettero reclutare ufficiali, funzionari pubblici, qualche possidente di provata fede.  La sentenza di condanna fu emessa il 26 gennaio 1649, ma poi, a fronte dell’ordinanza di esecuzione, molti giudici si dileguarono; non si riuscì a far firmare l’ordine di esecuzione se non dopo aver materialmente rintracciato e costretto molti dei latitanti. Il 30 gennaio 1649 Carlo I venne decapitato su di un palco eretto di fronte a Whitehall, la sua reggia; la sua ultima parola: “Remember”.

 

Inserito il:22/03/2023 09:34:29
Ultimo aggiornamento:22/03/2023 09:48:05
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