Elena Flerova (Mosca, 1943) - Blessing the New Moon
L’ebreo e la luna, la benedizione della luna nuova (2)
di Vincenzo Rampolla
Con gioia e a suon di musica l’inizio-mese viene annunciato oggi in sinagoga. Tutti insieme e all’aperto si recita la benedizione alla luna, Birkàt Halevanà. Secondo i saggi la testimonianza del novilunio costituiva un forte richiamo per la divina provvidenza nel mondo. E nella stessa preghiera il ciclo della luna richiama più di una volta il rinnovamento del popolo ebraico: Alla luna disse di rinnovarsi, corona di splendore per gli ebrei, che anche essi in futuro si rinnoveranno come lei.
La Birkàt Halevanà permette di elevarsi dal mondo terreno a quello celeste, mettendosi in comunicazione con il divino. Non a caso la luna nuova è paragonata al sopraggiungere della Shekhinà, la manifestazione della presenza di Dio. È allora evidente che la benedizione della luna assuma una forte valenza di identità per l’ebreo, ma anche di riscatto e redenzione. La redenzione trova riscontro in Isaia: E sarà il chiarore della luna come la luce del sole, e la luce del sole sarà sette volte più forte, come la luce dei sette giorni della creazione, nel giorno in cui fascerà il Signore la frattura del Suo popolo e la piaga della sua ferità guarirà. Il riscatto terreno è nella stessa storia di Israele, nella tenacia con cui ha difeso le proprie tradizioni; dopo la distruzione del Tempio del 70 d.C., i versi del Kiddùsh Levanà: David, re di Israele, continua a vivere, erano la parola d’ordine che indicava che la preghiera era stata recitata.
Gli Esseni, partito ebraico di importanza storico-religiosa, ogni mattina inviavano al sole nascente delle preghiere ereditate dai Padri, come se volessero invitarlo ad apparire. Con un shalom rivolto anche alla luna manifestavano i continui tentativi di certi strati della popolazione ebraica di eludere le ferree leggi del monoteismo assoluto, per accostarsi alle credenze e ai costumi dei popoli vicini. Sorprende? Se Iddio nella letteratura antico-testamentaria viene spesso detto Signore Zebhaoth, dio degli eserciti celesti, è dovuto al fatto che i corpi celesti rappresentavano anticamente un insieme di esseri animati, al comando del Signore designato a mettere ordine nel caos del cosmo. I corpi celesti obbediscono anche a personalità bibliche. Non è Giosuè che ordina: Sole! Fermati a Gabaon! Luna, fermati sulla valle di ‘Ajalòn! E viene obbedito. La luna nell’epoca talmudica è considerata come un essere dotato di vita come un angelo. Alcuni santi arabi del Marocco hanno il potere di arrestare il sole e non mancano esempi di fattucchiere e arabe o donne del popolo della Slesia che si inchinano o salutano le stelle. Il concetto che la luna sia animata spiega un altro tratto della religiosità dell’ebreo: la luna crescente o decrescente sulla vita terrestre influenza la sorte dell’uomo. Con la luna nuova, l’uno augura all’altro: Iddio faccia sì che anche tu ti sviluppi e migliori. I rabbini cercano di limitare la diffusione di tali credenze, altri cercano di evitare il confronto tra Israele e la luna, tuttavia il credo del popolo prende piede e anche i dottori medioevali raccomandano di celebrare le nozze con luna crescente. Nasce la benedizione alla luna, la preghiera Birkat Halevanà, inserita tra due versetti dell’Esodo: Davide, re d’Israele vive e esiste, ripetuto 3 volte. Alla fine del II sec. d.C. i dottori della Chiesa se ne sono serviti come parola d’ordine per l’annuncio della consacrazione di ogni nuovo mese. È il simbolo del Regno di Davide, e il regno di Dio in tutta la sua maestà si rivelerà solo con la ricostruzione del Regno di Davide. Più che a un astro o un simbolo si pensa a un Re. Gli ebrei marocchini vedono tuttora nella luna le sembianze di Davide, sempre vivo. Gli arabi vedevano nella luna l’immagine dell’anziano della tribù, per i semiti è il savio, il santo, il consacrato oppure il dio della tribù, i Pitagorici portarono la credenza di vedere nella luna gli eroi o i re cari al popolo, nella somiglianza del disco lunare al volto umano e della credenza di mettere in relazione gli spiriti dei morti con gli astri. Con loro appare l’immortalità lunare, solare e stellare, l’uso di porre la falce lunare sulla tomba con la credenza che nella luna avessero sedi i beati unita all’idea che la luna raccogliesse l’ombra del defunto, la dissolvesse e aprisse la strada allo spirito per salire al sole.
Benedire la luna nuova è come accogliere la Presenza Divina e in quell’atto si ricorda la sua somiglianza con il popolo d’Israele. Ogni mese la luna sembra sparire progressivamente fino a rendersi quasi invisibile, essa però non scompare mai totalmente, ne rimane sempre una infinitesima parte dalla quale poi rigenera e inizia nuovamente a risplendere. Nello stesso modo, durante i periodi più bui della sua storia, Israele sembra destinato a scomparire per sempre ma poi, nei momenti cruciali, arriva la salvezza e il popolo riprende a prosperare. Chiunque vede la luna durante il suo rinnovamento, dice la benedizione, deve recitarla con molta gioia perché è come ricevere la presenza divina. La benedizione va recitata in piedi e prima di iniziare si esce all’aperto e si deve guardarla. Non la si può dire prima di sette giorni dall’inizio-mese. L’inizio è d’obbligo, purché non passi il 15 del mese solo quando sono uscite le tre stelle; in genere non va detta di venerdì sera.
Nella parte finale si chiede al Signore di accrescere la luce della luna, perché il suo splendore eguagli quello del sole, e si parli, secondo la Genesi, di due grandi fari di uguale potenza. L’ebreo vede la diminuzione della luce lunare come una disarmonia del cosmo, fatto doloroso, senso di colpa per la riduzione di ogni mese. La luna soffre della piccolezza rispetto al sole. Nell’Apocalisse di Barukh si parla di una luna in forma di donna, colpevole del peccato originario; nell’Apocalisse di Mosè si dice che al momento del castigo inflitto ai primi uomini, la Natura partecipò piangendo, la luna si escluse. Rise. Per questo degradata ad astro più piccolo e meno splendente del sole. Molte aggiunte posteriori hanno arricchito il contenuto della Birkàt Halevanà, non da ultimo lo scuotimento delle vesti, il tallit in particolare, tipico scialle dell’ebreo in preghiera: Ed egli scuota le frange ai quattro orli per sbarazzarsi delle ultime briciole di forze del male che lo assalgono ancora. E ciò è un grande mistero. Atti propiziatori di esorcizzazione. Nulla di più.
(consultazione: attualità; pagine ebraiche; giuseppe flavio opere; siyach yitzchàh libro di preghiere )