Leonid Afremov (Vicebsk, Bielorussia, 1955 - Playa del Carmen, Messico, 2019) - Love Letters
Lettere d’amore
di Annalisa Rabagliati
26 Novembre: una data come un’altra per tutti, ma non per noi. Oggi è il nostro anniversario di matrimonio. Chi si sposa in Novembre? Eppure era l’ultima domenica prima dell’Avvento e l’abbiamo scelta perché non ne potevamo più di aspettare. Ricordi ancora quel giorno, con la grande festa sull’aia? E il giorno delle nostre nozze d’argento? E quello delle nozze d’oro? Ma i nostri giorni non sono stati tutti belli come il 26 novembre. Penso a te e alle lettere che ci siamo scritte e a quelle che vorremmo aver potuto scrivere, se una ritrosia pudica non ci avesse resi incapaci di tante parole.
Ti penso, ti sono vicina, ti sogno! Perché non torni? Da tre anni ormai sei in prigionia, ma la guerra è finita, cosa aspettano a mandarti a casa? Mi manchi tanto e mi sento così sola senza il tuo abbraccio a proteggermi! Come avrei voluto che fossi qui con me, in certi brutti momenti, sotto i bombardamenti, con l’angoscia di non sapere come e quando tutto sarebbe finito … ma no, sono egoista! Meglio di no, è stato molto meglio così, saperti lontano e al sicuro. Un tuo amico d’infanzia l’hanno portato via i Tedeschi, un altro è rimasto sotto le macerie della sua casa, distrutta dalle bombe. Tuo cognato è morto, lo ha ucciso un cecchino, a guerra finita. Una vendetta? Uno sbaglio? Una fatalità? Tua sorella e due bimbe ora sono sole, sole per sempre! Come avrei potuto sopportare di vederti uscire di casa senza sapere se saresti tornato? E poi da quando non sei più in Africa va molto meglio, almeno mangi tutti i giorni e non possono più spararti! Ti prego, torna presto, ti aspetto!
Ti penso, ti sono vicino, ti sogno! Che notizie terribili mi hai dato! Penso a mio cognato e poi a mia sorella, alle bimbe e a te, rimaste senza un uomo che vi aiuti! Ma tu sei una donna forte, come un’eroina dei film americani e sarai capace di affrontare tutto questo da sola! Io invece devo confessare che sto bene qui, anche se mi manchi. Lavoro, imparo l’inglese, faccio progetti con i miei compagni. Tu sai che mi piace lavorare e mi piace la campagna. Il fattore mi ha preso in simpatia. Sua figlia porta sempre i pantaloni e mi viene spesso vicino, mastica gomma americana e canticchia un motivetto che finisce con “Pa-ba da-ba da-ba da, paaah!”Non lo dico per farti ingelosire, ma queste piccole cose mi fanno pensare che la vita continua.
Conosco quel motivetto, gli Americani lo hanno portato anche qui da noi e lo balliamo tutte le sere nei cortili. Non lo dico per farti ingelosire, ma dà proprio tanta gioia scatenarsi, ti fa sentire tutta la libertà riconquistata. Ma io penso anche all’allegria delle nostre feste a “Sangun sur mer” , con gli amici: si rideva, si ballava … quanti anni sono passati, sembra un’altra vita! E quanto tempo è stato sprecato!
Dieci anni! Dieci anni passati dalle nostre nozze! Il tempo è volato in un attimo, ma siamo giovani e ne abbiamo ancora di vita davanti! Anzi, non c’è più solo la nostra, c’è un’altra vita che mi stai per regalare. Che cosa ho fatto per meritarlo? Che cosa ho fatto per meritarti?
Sei tu che mi hai fatto un regalo! E adesso dobbiamo solo aspettare che il bambino nasca, ma sono impaziente: non vedo l’ora di sapere che viso avrà! Che sensazione strana e incredibile avere un figlio! Ti senti parte della Creazione, ti rendi conto che esisti per uno scopo più grande, che un mistero ti permetterà di continuare a vivere anche dopo la morte! Qui, in montagna, la sera scoppiano spesso dei temporali, e i tuoni mi ricordano i momenti terribili della guerra. Sono da sola ed ho un po’ paura, ma mi faccio forza per non averne, perché adesso ho una responsabilità più grande di me. Allora ti penso. Penso che mi stringi forte forte e tutto passa.
Non ricordare le cose brutte, ma i momenti lieti, come faccio io, che penso a te, a com’eri tu nei nostri giorni belli. Ti rivedo con quell’abitino con le maniche corte e il gilet, con la camicetta a fiori e il cappello a tesa larga in mano, appoggiata al cancello di Stupinigi, elegante come una signora, tu che avevi solo diciott’anni ed eri una povera ragazza di campagna. Ricordi? Era il nostro primo appuntamento e ti ho voluto fare un ritratto: fotografare era la mia passione e tu sei diventata il mio soggetto preferito. Ancora mi chiedo come hai potuto scegliere me invece del mio amico, affascinante, incantatore … lui sì che ci sapeva fare con le donne e ci ha provato pure con te. Ma tu hai preso me, che non ero neanche bello come lui! A volte ho paura che un giorno ti stancherai di aspettarmi. Dimmi: mi vuoi sempre bene?
Ti ho scelto perché te ne ho voluto subito, che bisogno c’è di ripeterlo? Io sono un po’ restia ai grandi slanci e alle manifestazioni troppo esplicite. Non direi mai “ti amo”, mi sentirei ridicola, sarei in imbarazzo.
Non si dice ti amo nella nostra lingua e non si dà un bacio, ma solo un bacino pudico: non bisogna esagerare. La vita non è un film melenso, ci vuole ritegno. Ma non c’è niente di eccessivo a dirsi “ti voglio bene”. Io te lo direi sempre, perché ti vedo ogni giorno più bella, anche quando ti arrabbi .
Lo so che ci vogliamo bene, però a nostro modo. Non siamo tipi da tante smancerie, ma piuttosto da battibecchi, da litigi per stupidaggini, da controversie inutili:“Te lo avevo detto!” “Non è vero!” “Vorrei avere un registratore per farti sentire le tue parole!” “Vuoi solo aver ragione!” Come abbiamo fatto a tirare avanti per tutti questi anni? Quanti bisticci! Forse è colpa mia, avrei dovuto essere più sottomessa, più docile: saremmo andati più d’accordo. È vero che tu hai un carattere infiammabile, ma non mi hai mai mancato di rispetto e, dopo un attimo, la tempesta è passata e torni dolce come prima. Io, invece, non riesco a non rimuginare e con me le precisazioni non finiscono mai. Credo proprio che avresti fatto bene a sposarti con un’altra.
Per forza tutte quelle discussioni, con due caratteri come i nostri! Ma pensa, come avrei potuto stare con una donna che taceva o diceva sempre di sì? Non ti ho sposato solo perché sei bella, ma perché sei intelligente! Molto più intelligente tu, con la tua licenza elementare, di tante sciocche bambocce istruite. Molto più desiderosa di imparare tu, che portavi le caprette al pascolo e poi andasti a far la serva dai signori, di chi ha passato la vita a lamentarsi senza averne motivo. Ho solo il rimpianto di non averti potuto dare altro che una vita di lavoro, di non aver saputo diventare ricco per te.
Tu sei ricco. Sei ricco del sorriso sincero che regali a tutti e della voglia di lavorare che ci ha fatto superare tante disgrazie. La nostra ricchezza sono i nostri figli e ne sei giustamente orgoglioso: il bambino è medico e la piccola insegna. E, se io ho lavorato tanto, ne sono contenta, mi ha riempito la vita e l’abbiamo passata insieme così, condividendo le stesse fatiche. Ricordi quando io stavo a casa e tu tornavi dopo una notte di lavoro, ubriaco di stanchezza? Come potevo lasciarti sfinire così? Ti ho aiutato: ho vissuto al tuo fianco, come volevo, e non mi importa più dei problemi.
Lavoro duro, lavoro senza sosta, ma quando sono stanco penso a te, ai bambini. Penso a quanto sarebbe bello stare tutti insieme e che bello sarebbe avere un po’ di soldi in più per potervi far vivere nel benessere, quello che non ho mai avuto io, fin da quando ero piccolo. Ma non mi interessa il denaro, vorrei solo che non foste così lontani! Se potessi vedervi almeno una volta alla settimana! Quando sento parlare la gente di qui, in quel modo così diverso dal nostro, mi prende una malinconia ... penso alla tua dolce voce, penso ai vagiti della bimba! Ma devo essere forte, come sei tu. È un periodo passeggero. Un giorno ritornerò e, se tutto va bene, potrò avviare un’azienda mia e, soprattutto, vedervi tutti i giorni!
Non voglio aspettare tanto, non ne posso più di saperti laggiù da solo. Hai il diritto di veder crescere i tuoi figli. Ho deciso che prenderemo il treno e verremo a stare con te. Io lavorerò con te e non mi importa se non avremo una bella sistemazione. L’importante è che la tua piccola, quando inizierà a parlare, possa dire tra le prime parole: “papà”!
“Papà - mi ha detto la bimba prima di sposarsi - spero tanto che il mio matrimonio sia bello come il vostro, anche se so che è impossibile!” Io le ho risposto che noi per lei ci saremmo stati sempre, che mai nessuno l’avrebbe amata come sua madre e suo padre.
Ma io sono sicura che tutto andrà per il meglio: rivedo te in quel ragazzo ed ho fiducia che le vorrà più bene di quanto lei immagina. Adesso sono partiti per il viaggio di nozze, felici. Noi non lo abbiamo potuto fare appena sposati, ma siamo stati in viaggio di nozze ogni volta che andavamo al paese dai miei, in bici, o in corriera in montagna con la compagnia, o quando visitavamo qualche posto con i bambini.
È stata bella la nostra gita ad Oropa, tu in macchina con tuo fratello e sua moglie, io con mia sorella e i ragazzi. Tornando a casa cantavamo spensierati, ma ad un certo punto ci siamo accorti che la vostra cinquecento non si vedeva dietro di noi. Ho accostato la millecento per aspettarvi, ma, a mano a mano che passava il tempo, sentivo l’ansia salire dentro di me, allora ho fatto inversione per tornare sulla strada percorsa. Dietro quella brutta curva a ferro di cavallo ho visto della gente ferma a parlare ed ho avuto un presentimento. Sono sceso dalla macchina ed ho visto la cinquecento schiacciata contro un camion. Sono tornato dai ragazzi che non sapevano, ma le gambe mi hanno ceduto e mi sono accasciato sul cofano dell’auto. Anche loro hanno capito che non avrei saputo cosa fare della mia vita senza di te.
È vero, ho guardato la morte in faccia, quando ho visto quel camion arrivare sempre più vicino. Ma sono viva! Siamo vivi, tutti rotti, ma vivi, per chissà quale miracolo. Forse non era la mia ora, forse Qualcuno ha pensato che avevate ancora bisogno di me, forse è stata la mia voglia di non perdervi a salvarmi. Grazie al cielo avremo ancora anni per vivere insieme e per sopportarci l’un l’altra!
Come avrei fatto senza di te? Devo imparare tutto di nuovo: a mangiare, a camminare, a parlare, e tu mi sei accanto, mamma affettuosa, moglie premurosa, compagna paziente. Mi spieghi che cosa mi è successo, che cosa hanno detto i medici, che cosa facevo prima dell’emorragia cerebrale … e non ti stanchi mai di farmi ricordare la nostra storia insieme e di rassicurarmi sul futuro.
E un futuro lo abbiamo ancora. Sei guarito e passiamo insieme il tempo che ci è dato facendo le cose di tutti i giorni, riordinando i ricordi della nostra giovinezza e raccontando al nipotino qualche storia che credevamo dimenticata.
Ti ringrazio per l’ultimo abbraccio che mi hai regalato: tornavi dalla clinica, dopo che ti avevano cambiato una valvola cardiaca. Ho voluto alzarmi (da quanto tempo non lo facevo più?) e mi sono fatto aiutare, per accoglierti stando in piedi, da uomo. Sei arrivata con il tuo tailleur a quadretti bianchi e neri e la maglia nera che dava ancora più risalto ai tuoi capelli bianchi e luminosi. Le tue gambe sembravano quelle di una ventenne e il tuo corpo morbido mi ha stretto a sé. Come eri bella, come sei bella! Non scorderò mai questo momento di felicità e ringrazio Dio di avermelo fatto godere in consapevolezza. Ti penso, ti sono vicino, ti amo!
Sono diciassette anni che non ho più quel mio corpo stanco e malato e ventisei che non ci possiamo più abbracciare, ma adesso siamo qui, insieme, nello spazio senza tempo, ancora e sempre, in quell’universo che noi chiamiamo Paradiso. Ti penso, ti sono vicina, ti amo!