Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Joyce Lapp (Dover, Delaware, USA) - Vintage Bicycle Garden

 

Pensieri di un quasi 80enne

di Vincenzo Rampolla

 

Quando la vecchia Clio è finita tra le carcasse, ho ripreso la moto. Da sempre. E alla guida mi sono accorto della vecchiaia: i suoi 170 kg, il piede a terra al semaforo, le frenate, i dossi, l’asfalto bagnato e l’attenzione, quella soprattutto. Sulla moto non sono ammesse distrazioni, non è concesso spiare nel retrovisore, curiosare qua e là, pensare ad altro che sia la strada e le auto. Quelle ti odiano. La moto è odiata, perché s’infila, schizza via, ti sorpassa, arriva prima, ti prende in giro, parcheggia ovunque. Cose che lasciano il segno quando sei vecchio, a quasi 80anni. La moto non cambia nel tempo, non incanutisce, non è sdentata, non ha il pannolone. Non si accascia quando meno te lo aspetti. Non ti insulta. Neanche il tuo cane ti è forse fedele come la tua moto. Trattami bene e io ti ripago. Mi dà l’ebrezza e con lei godo il vento e la pioggia e il sole e i gas che regala.

Di questo passo vado fuori strada, devo chiudere con l’apologia della moto.

E allora? È vero o no, che l’uomo non è vecchio finché è alla ricerca di qualcosa? Così pare.

E io, quasi ottantenne, che cerco?
Sono
vecchio e i vecchi non è sempre detto che siano saggi, eppure ricercano la quiete e scansano i rischi. Per questo diventano attenti e così io ho mandato in pensione la mia moto. Anche lei. Era ora. Giro in bici e pedalo e fa bene ai muscoli e alle articolazioni. È tempo di sognare profumi e odori diversi dai miasmi dei motori.

Quella bici è vecchia, vecchissima, una Bianchi del ’60, cimelio tenuto come un gioiello, lavata e oliata, scolorita ma solida e fedele, presa con i soldi delle prime lezioni di matematica alle ragazze del collegio. Con la bici ho ritrovato la calma e dimenticato l’irruenza dei sorpassi e degli slalom tra le code delle auto.

Ed è in questa ritrovata calma che mi godo il piacere di vivere, quello capace di trasformare la fragilità in forza, di mutare le paure in speranza. Forza e speranza che mai devono morire, ottantenne, novantenne, centenario. Ed è in questa quiete che riscopro la gioia d’essere padre, di avere dato la vita, che ancora e sempre deve potere continuare.

A dire il vero la vecchiaia oggi è arrivata di soppiatto, zitta, zitta. Non l’ho distinta dalle altre età. L’avevo camuffata e allontanata. L’avevo rimossa inseguendo una vaga idea di eterna lontananza dagli acciacchi gravi, più che di immortalità. Avevo dimenticato il numero degli anni. Poi di colpo è arrivata la decadenza, parola che non conoscevo. Come una folata di vento ha spazzato via il presente. Molti temono fortemente e si spaventano dal sopraggiungere della vecchiaia e dai cambiamenti fisici che essa reca, ma spesso non tengono conto che proprio questa è l’età in cui, vicino agli ottanta, è possibile vedere cosa c’è dopo una vita di lavoro e regalarsi soddisfazioni e gioie a volte inattese, come diventare nonni o continuare ad amare.

Eppure non ci ho pensato due volte: anche la bici in discarica, ispirato dai versi di Borges:

Se potessi vivere di nuovo, comincerei ad andare scalzo all’inizio della primavera e così continuerei fino alla fine dell'autunno. Farei più giri nella carrozzina, guarderei più albe e giocherei di più con i bambini. E così, da oggi vado a piedi e l’auto sarà quella della moglie.

E il giorno dopo inizio a chiedermi: Chi sei, chi sei stato, chi eri?

Ero meglio quando ero giovane, molto meglio. Ricercavo qualcosa. Ricercavo medaglie e medagliette, nella corsa, nel salto, nel diploma, nell’associazione studentesca, quella di latta del concorso letterario, quella d’oro per il valore civile per i soccorsi a Longarone, per la rappresentazione in un teatro, nella recita all’oratorio, volontario a Lourdes, volontario in Croce Rossa, quella di carta dei concorsi Veritas della Parrocchia.

Finito il tempo delle ambizioni. Anche quello.

Da sempre sono stato ingordo di libri. Dicono che significhi ammassare desideri e chi ha molti desideri è molto giovane, anche a ottant’anni. Chi li ha letti, chi mai dei miei figli li ha sfogliati, guardati e amati e toccati? Nessuno. Decidi: anche i libri in pensione, venduti all’antiquario. Restano le foto delle pareti delle stanze e dei corridoi tappezzati di scaffali, quelle prese di sfuggita, migliaia di volumi, nuovi e centenari, tanto per ricordare i miei monumenti sepolcrali. Mi è rimasto dentro il loro odore, quello di muffa e di antico.

Le case dei vecchi hanno un odore particolare. Anche le cose. Non è lerciume, insomma, solo che spesso si sente l’odore dei ricordi, di ante rimaste chiuse a lungo, una sorta d’intimità greve e melanconica, a volte pesante. In questa casa io continuo a vivere, da quasi 80enne.

Che faccio ogni mattina, al risveglio? Mi alzo e leggo, un verso, un salmo, un pensiero, una poesia. Giova allo spirito. Poi butto giù qualcosa, rileggo gli scritti e seduto, calmo, traccio la via del giorno da seguire, lucido, sereno, senza paure né affanni. Abolisco il tempo e il timore del negativo. Con gioia e amore per ciò che faccio. Perché sono vivo. Devo dimostrarlo. Devo urlarlo al mondo. Avere lo sguardo positivo sul negativo non significa banalizzare il negativo ottimisticamente, volgarmente. Significa, una volta trovata la ferita inflitta dal negativo, sperare che esso non germini, operando, scatenando tutte le forze, affinché esso non si trasformi nell’unica luce con cui illuminare la realtà intera, ha detto qualcuno.

La speranza non è l'ottimismo.

Quando si è alla soglia degli ottanta, si è arrivati a pensare che non ci sia speranza di un mondo migliore, ma vale la pena continuare egualmente a lottare, se necessario sino al massimo, per cambiarlo, sfidando l’assurdità del sacrificio, inebriandosi del dovere di vivere, di succhiare il magico fiele della vitalità e del piacere di attendere la fine.

La meditazione mi viene molto in aiuto, oltre a orientarmi a vedere l’oggi sotto un altro punto di vista. C’è molto da cambiare, moltissimo. È sciocco perdere tempo prezioso, perché la vita è un dono, per questo la voglio vivere intensamente. Agire e rivedere gli schemi di vita vissuti finora, ridurre nettamente sogni e desideri. Entrare nel mondo che mi ha parlato. Un mondo che mi chiede una tregua e l’ha fatto capire a modo suo, obbligandomi a rallentare. Vigilante per la paura del contagio da un virus, devo darmi la forza di cambiare stile e rinunciare al crudele modello di crescita infinita, con il mio impercettibile contributo. Un miliardesimo dello sforzo collettivo del pianeta. Devo riaprire gli occhi per un rinnovato sguardo d’amore. Sì, avvertire amore. A che giova essere ricchi se vicino agli 80 i figli vorranno dichiararmi rincoglionito per mettere le mani sui miei beni?  Ma quali beni? Niente auto, niente moto, niente bici, niente libri. Devo essere positivo, questo è il mantra del giorno.

Positivo, nome abusato, suona bene, consola, fa sentire invincibili, forma rap che grida la rabbia come gioia, superficiale, ribelle, anticonformista; quando la religione scivola nella credenza popolare, il viaggio nell’inconscio un’illusione fitta di scorciatoie, come il labirinto senza punto di partenza. Al nascere il Positivismo scartava tutto ciò che era fuori dal rigore della logica, sacrificava la creatività, la malattia come anormalità, arrogante scienza che si vedeva universale. Esisteva solo quest’attimo e viveva soltanto nel passato della memoria.

Positivo è sapere pensare. Positivo è il coraggio di pensare. Positivo è il mio vicino ottantenne che si preoccupa per me. Positivi sono i nostri sogni, i miei e i tuoi. Positivi i miei baci.
Positivo il gesto che fece Ulisse legandosi all’albero della nave per non venir trascinato dal dall’ingannevole melodia delle Sirene: un agire sensato e un forma per prevedere il futuro. Il migliore modo per prevederlo è costruirselo. Prevedere sin d'ora, quando mi resta ancora tempo, ciò che può succedere domani e decido di autolimitarmi con parsimonia. Vivere, non sopravvivere. La stessa razionalità che ha guidato l’eroe ha portato tutti intenzionalmente a una scelta individuale di autocontrollo. Non soccombere alla seduzione della sirena. Una volta catturato il marinaio, lei lo smembra e lo divora. Questo Omero non l’ha mai svelato.

Ho dedicato la mia vita all'amore del vero. È l'orrore delle menzogne e dell'ipocrisia che ha animato il mio spirito, ha orientato le mie scelte professionali e dettato i miei scritti.

In quarant’anni avventurosi e densi di follie, ho segnalato errori e imbrogli in società ossessionate dalla politica e invasate dal potere. Ho attaccato adulti e denunciato i perversi, uomini e donne alla pari. Meglio avrei fatto a evitare i numerosi campi di battaglia dove ho investito il mio tempo, i miei consigli e trovato i miei guai. Fatiche felici, di cui non mi pento né mi vergogno. Ho abbandonato la carriera e il miraggio di una lauta pensione. La migliore pensione è il possesso di una mente in piena attività che mi ha permesso di continuare a pensare fino alla fine.  Con una penna in mano, una risma di fogli bianchi e un buon libro. Nessuno invecchia semplicemente perché gli anni passano. Si invecchia quando si tradiscono i propri ideali e vicino agli 80 anni la vecchiaia inizia quando si è sicuri di non essersi mai sentiti così giovani. Saper invecchiare significa saper trovare un accordo decente tra il mio scarno volto di vecchio e il mio cuore e cervello di giovane. A 80 anni devo essere ancora pieno di stupore e di gioia di vivere.
L’amico Franz Kafka mi bisbiglia quotidianamente all’orecchio: Chiunque sia in grado di mantenere la capacità di vedere la bellezza non invecchierà mai.
Con l’amore, con l’amicizia, con l’ambizione tutti i conti sono stati saldati.

Quali infine le parole guida e i segreti? Energia vitale da diffondere a ogni respiro, prodotta e alimentata da libertà, amore, passione, curiosità, interesse, fantasia, sogno, dialogo, tolleranza, parsimonia. Il dialogo con la donna resta l’inesauribile sorgente di follie e di profondità di pensiero, lei, maestra del desiderio, l’artista dell’improvvisazione, regina di perfidie e dolcezze. Parole uscite dal vocabolario? Menzogna, pigrizia, sotterfugio, violenza, mediocrità, abitudine, servilismo.

Quattro i segreti a sorreggere il quotidiano. Non smettere di imparare; affrontare gli interrogativi del vivere, dall’infinitamente piccolo all’impenetrabile, da uomo maturo, con l’innocenza e la positività del fanciullo; trasformare il lavoro in un gioco, in un’avventura esaltante; fare di un obbligo morale una libera scelta, fonte di serenità.

La casa nel tempo si è spogliata, restano le pareti, vuote e mute e bianche e il tanfo del futuro.

Un immenso loculo in attesa delle mie ceneri, là sul ripiano del camino.

 

 

Inserito il:20/04/2021 14:34:41
Ultimo aggiornamento:20/04/2021 14:39:18
Condividi su
ARCHIVIO ARTICOLI
nel futuro, archivio
Torna alla home
nel futuro, web magazine di informazione e cultura
Ho letto e accetto le condizioni sulla privacy *
(*obbligatorio)


Questo sito non ti chiede di esprimere il consenso dei cookie perché usiamo solo cookie tecnici e servizi di Google a scopo statistico

Cookie policy | Privacy policy

Associazione Culturale Nel Futuro – Corso Brianza 10/B – 22066 Mariano Comense CO – C.F. 90037120137

yost.technology | 04451716445