Cristofano dell'Altissimo (Firenze, 1525 - 1605) - Piero de Medici detto il Fatuo
Le grandi famiglie: I Medici - L’età dei Papi
di Mauro Lanzi
1 - Piero il fatuo. L’esilio
La morte di Lorenzo il Magnifico segna la fine di un’epoca per Firenze e per l’Italia.
La situazione politica in Europa era già mutata da qualche tempo, con l’affacciarsi sulla scena europea di nuove potenze militari, per le quali un’Italia ricca, debole e divisa non poteva che apparire come un frutto maturo da cogliere. Spesso si tralascia di osservare che l’impetuoso sviluppo dell’Italia nel Rinascimento fu anche dovuto ad una favorevole congiuntura internazionale, in cui il declino dell’impero tedesco ed il rapido collasso di quello bizantino ponevano il nostro Paese al riparo da grossi pericoli esterni.
Alla fine del quattrocento, però, emergono nuovi stati nazionali, assai più intraprendenti ed aggressivi dei vecchi imperi; parliamo innanzitutto della Spagna, che con la riunione di Castiglia ed Aragona e con il completamento della “Reconquista”, nel 1492, a Granada, si trova nelle condizioni di poter gettare in campo tutto il peso di una esperienza di guerra secolare, ma anche della Francia, che liberatasi infine dallo scontro mortale con l’Inghilterra (guerra dei Cento Anni), aveva ritrovato unità e coesione intorno alla figura del sovrano, lo spietato Luigi XI sopra ogni altro.
Il modello politico della città-stato su cui si era basato il Rinascimento non poteva di per sé reggere il confronto con queste nuove realtà: governanti inadeguati al vertice dei principali stati italiani, tra questi Firenze, accelerarono il collasso del nostro paese e l’asservimento agli stranieri.
Lorenzo aveva avuto da Clarice Orsini 4 figlie femmine e tre maschi: di loro il Magnifico diceva: “Uno è stolto, uno è intelligente, uno è buono”. Il buono, Giuliano, il minore, diventerà duca di Nemours; personaggio storicamente insignificante, morirà giovane (a lato, il ritratto di Raffaello).
L’intelligente, Giovanni, che era divenuto cardinale all’età di 13 anni, sarà papa Leone X e di lui si parlerà in seguito.
Lo stolto, Piero detto il Fatuo o lo Sfortunato, succederà, purtroppo, al padre al governo, essendo il maggiore dei tre.
Piero salì al potere all’età di ventun anni, potendo contare su di una macchina politica molto efficiente e collaudata, messa a punto dal padre: ogni strumento, però, deve essere impiegato con arte da chi lo utilizza e Piero non se ne dimostrò capace. Forse non era del tutto sciocco, ma certo era un debole e l’acume familiare in lui non raggiungeva di sicuro i livelli di chi l’aveva preceduto. Soprattutto non era in grado di mantenere nei confronti dei suoi concittadini quel tratto cordiale, quel contegno di uguaglianza che il padre si era sempre preoccupato di ostentare: Piero non fu fortunato neanche nella scelta della moglie, una Orsini anche lei, Alfonsina, donna altezzosa ed arrogante, che contribuì non poco all’impopolarità del marito, quando il potere dei Medici era fondato soprattutto sull’apprezzamento dei fiorentini.
L’ostilità nei suoi confronti era sicuramente alimentata anche dalle prediche del Savonarola, che invocava su Firenze ogni sorta di flagello divino, ma anche dagli intrighi dei suoi cugini, Lorenzo e Giovanni, rappresentanti del ramo detto dei “popolani”, che approfittano delle evidenti lacune di Piero per dar sfogo ad un risentimento latente da tempo; tutto questo però non sarebbe stato sufficiente a decretare la rovina dei Medici senza il precipitare della situazione internazionale.
Nel 1490 aveva raggiunto la maggiore età a Milano il “duchetto”, Giangaleazzo Sforza e, secondo gli accordi presi a suo tempo, lo zio Ludovico avrebbe dovuto cedergli il potere; il Moro non ci pensava proprio. Di per sé il nipote non avrebbe creato problemi, debole e neghittoso com’era, ma la moglie, Isabella d’Aragona la pensava diversamente ed invocava l’aiuto del padre e del nonno, re di Napoli, per far valere i diritti del marito. Pressato da questa minaccia, il Moro si risolse ad una mossa, che l’intelligenza politica del Magnifico aveva saputo scongiurare in altri tempi, invitò in Italia il re di Francia, a rivendicare le pretese della sua dinastia sul regno di Napoli.
Ludovico si era dimostrato negli anni precedenti un reggitore, privo di scrupoli, ma anche abile e capace; a lui Milano deve molto per la magnificenza con cui completò il castello e Santa Maria delle Grazie, che avrebbe dovuto accogliere le tombe sua e della moglie, oltre che per i capolavori che in questo periodo realizzò a Milano Leonardo, al servizio del duca. Purtroppo la sua sciagurata mossa, ispirata non si sa se più dall’arroganza (chiamava il Papa “suo cappellano” e “ciambellano” il Re di Francia) o da una intrinseca insicurezza per la sua posizione di potere, condurrà alla rovina il ducato, il suo reggitore e l’Italia intera.
In Francia regnava in quel periodo Carlo VIII, un re giovane, goffo, non molto intelligente che, però aveva ereditato dal padre una situazione politica molto solida; Luigi XI non si era limitato a sterminare i baroni a lui contrari e a ridurre il potere di tutti gli altri, ma si era costituito uno strumento nuovo in Europa, un esercito permanente agli ordini della corona, che quindi superava i vincoli imposti al re dagli eserciti feudali e gli consentiva un’autonomia sconosciuta fino ad allora. Così questo re, di scarse capacità e mediocre levatura, poté scendere in Italia nell’autunno del 1494 con un esercito mai visto fino allora, grazie anche ai prestiti ottenuti da banchieri italiani e dallo stesso Ludovico, che non poteva più tirarsi indietro, anche se la morte del nipote, avvenuta a fine ’93, lo liberava di fatto da ogni minaccia. Carlo VIII non aveva mire su Firenze, ma nella sua discesa verso il Sud Italia, doveva necessariamente avere il transito assicurato attraverso i territori fiorentini.
Piero cercò inizialmente di organizzare una difesa con truppe mercenarie, ma quando i francesi minacciarono la fortezza di Sarzana, Piero, agendo d’impulso, senza neppure consultare la Signoria, si recò all’accampamento francese, per accettare senza discutere tutte le condizioni imposte dal re: consegna delle fortezze di Sarzana, Sarzanello e Pietrasanta, concessione di un enorme prestito, passaggio per la città di Firenze dell’esercito francese.
Forse un negoziatore più abile, come il padre, avrebbe ottenuto condizioni migliori, ma è indubbio che all’esercito francese non si poteva resistere: Piero rientrò a Firenze l’8 Novembre, certo di essersi guadagnato la gratitudine dei suoi concittadini e si trovò invece di fronte ad un incredibile scoppio di indignazione, per le concessioni fatte, soprattutto le roccaforti: non solo la predicazione del Savonarola che presentava il re di Francia come l’inviato del Signore per purificare Firenze, non solo gli intrighi dei cugini impegnati a gettare discredito su Piero, ma anche e soprattutto la grande impopolarità di Piero e della sua famiglia indussero la Signoria a fare dei Medici il capro espiatorio di una situazione comunque disperata.
La Signoria, quindi, emanò un decreto d’esilio durissimo nei confronti di Piero e di tutta la famiglia, eccettuati i “Popolani”, ovviamente, e consentì pure il saccheggio di palazzo Medici, con il che andarono persi tesori inestimabili di arte e di cultura.
Iniziò per Piero ed i suoi familiari una lunga peregrinazione per le corti europee, mal tollerati ovunque, la grande influenza della banca di famiglia si era dissolta con la sua solidità finanziaria.
Sicuramente Piero non si era dimostrato all’altezza della situazione, non aveva la statura politica dei suoi predecessori, ma l’ingratitudine di Firenze nei confronti di una famiglia che l’aveva resa grande è realmente riprovevole.
Alla fine delle sue peregrinazioni, Piero si risolse ad aggregarsi ai francesi, allora in guerra con gli spagnoli per il possesso del Regno di Napoli; questi infatti gli avevano fatto vaghe promesse di un suo ritorno a Firenze. Nell’attraversare il fiume Garigliano il barcone che lo portava, carico anche di 4 pezzi d’artiglieria, si capovolse e Piero, sfortunato fino in fondo, perì annegando miseramente (dicembre 1503).
L’esilio
Per quasi vent’anni, dal 1494 al 1512, i Medici rimasero lontani da Firenze e non furono anni felici per la città: Firenze subì l’onta di un esercito straniero accampato in città, evento mai accaduto prima; solo Frà Girolamo fu capace di inneggiare all’arrivo dei Francesi: “finalmente tu sei venuto o Re, sei venuto ministro di Dio, ministro della iustitia….Colui ti manda, che per nostra salute triunfò sul legno della Croce.”
Quanto fossero insensate queste parole, come peraltro tutto il progetto di teocrazia caldeggiato dal Savonarola, lo si rilevò ben presto; Firenze si vide sottrarre Pisa, oltre alle tre fortezze già citate, dovette pagare un pesante tributo, anche se inferiore al richiesto, ma soprattutto perse l’influenza ed il rango politico in Italia ed Europa che il prestigio della famiglia Medici, di Lorenzo in particolare, avevano saputo darle.
Quelli che seguirono non furono anni felici per Firenze e tutta l’Italia, che dovette scontare il fio della propria debolezza e delle follie dei suoi reggitori: l’esilio dei Medici non portò bene alla città ed al Paese ed anche il loro rientro non avverrà in forma indolore, come era stato per Cosimo, e non sistemerà le cose al meglio.
Quello che segue non è un periodo facile da narrare; riguarda Firenze, ma esula, in parte, dalle vicende della famiglia Medici.
Non possiamo evitare di parlarne perché gli eventi di questi anni saranno determinanti per il futuro di Firenze, dei Medici e di tutto il nostro Paese.