Aggiornato al 21/11/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Bob Orsillo (Lewistone, Maine, USA - ) - World Factory

 

“La costruzione della Società di Massa” - CAPITOLO V

 

L’uomo nuovo

(seguito)

di Camilla Accornero

 

Delirio complottista o ragionevole critica alla società del suo tempo?

Era il dubbio che giorno dopo giorno mandava lentamente in cortocircuito la limitata capacità di discernimento del docente di mezz’età che era in me. Come individuo nato e cresciuto all’interno di un contesto finalizzato a sopprimere la criticità in favore di soluzioni semplicistiche preconfezionate, non ero avvezzo a compiere scelte particolarmente gravose. Devo ammettere che le uniche decisioni che ero chiamato a prendere riguardavano il tipo di pasta da comprare al supermercato, scelta che per altro non era mai genuinamente personale ma in gran parte veicolata da pubblicità assillanti, promozioni, sconti… e considerato lo stipendio da fame che incassavo, mi lasciavo passivamente abbindolare dal cartellino con il prezzo più basso. In tutta sincerità, un tale meccanismo, se impiegato su larga scala in contesti non riguardanti i gesti di banale quotidianità, insegnava progressivamente a non-scegliere, lasciare a qualcun altro l’onere di oberarsi di una tale responsabilità, motivo per cui, invero, non ero minimamente nelle reali condizioni di saper fare una scelta. Potevo provarci, certo. Ma provarci non aveva lo stesso significato di saperlo fare con cognizione di causa.

Alla fine, limitato dal perpetuo stato di incertezza in cui versavo da mesi, giunsi ad una conclusione accettabile: appellarmi al ragionevole dubbio in meritò alla veridicità delle asserzioni più feroci contenute all’interno del taccuino, quelle sterili da imbellettamenti retorici e terminologia solenne di sorta, certo che non si potessero ritenere completamente genuine e non in parte distorte dalla visione rancorosa dello scrittore nei confronti dell’oggetto della critica; sentimenti che giustificavano i passi del testo che assumevano le tinte di un folle delirio. Viceversa, quando il racconto si soffermava sulle descrizioni della società, degli usi e dei costumi caratterizzanti quell’epoca, saltava immediatamente all’occhio la rara capacità dell’Osservatore di tracciare un’accorta e accurata analisi storica e sociale. Pertanto, in qualità di docente, attento a concentrarmi sui dati oggettivi, -o quelli che avevo sempre creduto essere tali, benché, in realtà, fossero stati ampiamente manomessi dagli astuti plutocrati-, decisi di trascurare le invettive e le aspre critiche, così come la veemenza e il fervore di taluni commenti disseminati nel testo, preferendo soffermarmi sui cenni storici e sulla serie non trascurabile di note e postille freneticamente scarabocchiate a margine. Tutte rimandavano a testi di storia antica. Testi che, per essere precisi, non erano stati falsati dalla Lobby e, in quanto tali, erano stati inseriti nell’indice.

La mia già citata propensione naturale alla curiosità, mi spinse a voler entrare a tutti i costi in possesso di quei libri. Dovevo averli.

Malgrado la boriosità peculiare della mia persona, non avevo la presunzione di essere eccezionale in qualunque ambito e, complice la batosta che aveva ricevuto il mio orgoglio nell’ultimo periodo, seppi riconoscere le mie limitate capacità nello svolgere attività che esulassero dal lavoro sedentario da scrivania o topo da biblioteca. Pertanto dovetti accettare l’idea di affidarmi alle competenze degli Eredi. Fidarmi di loro. Tuttavia, prima di avanzare una richiesta che avrebbe potenzialmente messo in pericolo le vite di coloro che fossero stati incaricati di andare a recuperare quei volumi, custoditi nella Biblioteca Privata della Lobby, dovevo mettermi nelle condizioni di poter perorare la mia causa con la dovuta documentazione. Naturalmente avrei potuto far leva sul loro odio viscerale per i plutocrati e per l’iniqua giustizia che vigeva nella società a discapito di quanto si facesse credere, facendo un eccellete utilizzo delle miei doti espositive, purtroppo non era nel mio stile raggirare le persone o scatenare il lato emotivo per indurle ad agire. Se dovevano partire per una missione tanto pericolosa, -se fossero stati colti in flagrate o anche solo visti con in mano quei volumi sarebbero stati giustiziati senza previo processo-, dovevano avere la possibilità di prendere una decisione ponderata. Ammesso e concesso che, a differenza dei tanti individui-massa, fossero davvero in grado di fare buon uso del pensiero critico.

Iniziai così a creare un dossier contenente tutte le informazioni del memoriale che avevo ragione di credere essere sufficientemente adatte per sostenere la mia causa. Non trascurai di sottolineare l’indiscussa bravura della Lobby nel porsi sempre un passo avanti a tutti gli altri, quanto fosse prodiga di consigli e soluzioni a problemi da essa stessa creati, e di quanto si fosse operosamente affaccendata per ottenere il monopolio della cultura, -che poi di fatto deteneva-, e raggiungere una duplice finalità: decidere cosa fosse opportuno che la Massa pensasse, (più precisamente di cosa fosse indotta a pensare), e conservare il privilegio di essere l’unica custode nonché conoscitrice della “storia degli antichi”. L’appannaggio della conoscenza era un tassello cardine delle mire autocratiche.

Quando la mia versione più giovane si alzò davanti al Consesso degli Eredi, la più autorevole assemblea all’interno dell’Organizzazione Anti-massificazione, d’improvviso si sentì terribilmente fuori luogo: con il suo pancione prominente, lo sguardo altero, i capelli radi già ingrigiti e il vecchio dossier con promemoria e appunti, non fu più certo di avere piena consapevolezza della situazione in cui si stava impelagando. Al minimo sospetto, alla più effimera voce di corridoio che potesse in qualche modo collegarlo alla rete di dissidenti, sarebbe stato estromesso dal sistema, non solo da quello universitario, bensì da quello della società stessa. Un solo epilogo avrebbe avuto la sua storia: l’accusa di tradimento. Poi la scelta della condanna sarebbe spettata alla Lobby. Pena capitale o estromissione totale dal sistema con il conseguente declassamento alla condizione di reietto? Se fosse dipeso da lui, non avrebbe saputo dire quale sorte sarebbe stata più miserevole.

Ricordo ancora la sensazione di totale estraniamento che si impossessò del mio corpo, mi pareva di aver perso di punto in bianco le capacità motorie: non riuscivo a muovere un muscolo, ero come paralizzato. Dovettero richiamare più volte la mia attenzione per riuscire a distogliermi dal torpore. Per un attimo credetti che fossero trascorsi parecchi minuti e che ormai nessuno avrebbe più voluto ascoltare cosa avevo da dire; una parte di me in fondo ci sperava: se mi avessero cacciato mi sarei risparmiato il costante stato d’allerta che ormai mi seguiva come un’ombra da mesi. Ma non accadde. Dopotutto non si poteva convocare una riunione straordinaria per trattare di bazzecole (Un termine estremamente buffo che ho voluto a tutti i costi inserire! Perdonate ancora una volta la digressione, ma la sola idea di essermi precluso per così tanti anni un linguaggio tanto florido è ancora terribilmente difficile da accettare), altrimenti non sarei mai riuscito a richiamare la totale attenzione del Consesso.

Così, quando mi volsi verso l’orologio appeso alle spalle dei Portavoce di tutti gli Eredi, coloro i quali avrebbero avuto l’ultima parola sulla mia proposta, notai che i miei vaneggiamenti non erano durati più di qualche decina di secondi e il richiamo che avevo udito era stato fatto per spostare la mia attenzione sui fogli che avevo distrattamente fatto scivolare a terra. Li raccolsi in tutta fretta e, borbottando dei ringraziamenti raffazzonati, presi posto dinanzi alla corte. Una volta presentato ufficialmente il motivo per cui eravamo riuniti, mi venne concessa la parola. E se appena pochi attimi prima non avrei saputo sillabare nemmeno la più semplice delle frasi, in quel momento riacquisii la piena capacità delle mie facoltà oratorie, una dote di cui ero sempre riuscito a vantarmi. Aver fatto il docente per quasi venticinque anni doveva pur essere servito a qualcosa.

Se fu per il potere persuasivo delle mie parole, per la destrezza che avevo dimostrato nell’avanzare la proposta, per la fermezza e convinzione con cui avevo sostenuto le mie ragioni o per la semplice voglia di azione non mi è dato sapere, tuttavia, quel che posso con certezza affermare, è che la mia causa venne a lungo acclamata e accolta come la svolta che da tempo stavano aspettando. In pochi minuti dalla platea si erano levati applausi a profusione: uomini e donne votati alla causa continuavano ad offrirsi a gran voce per prendere parte alla missione. In quel momento ebbi la netta sensazione di non aver compreso sino in fondo le dinamiche che animavano quel movimento, né forse posso affermare di averle comprese oggi. Delusione, stanchezza, voglia di riscatto dovevano ardere in loro più della paura del fallimento. Non avevano nulla da perdere. In cuor mio, grazie all’esigua parte di umanità che mi era rimasta e che mi rendeva capace di empatizzare col prossimo, sperai non si trattasse solamente di disperazione.

La commissione, una volta placata la vivacità della platea e contenuto il clamore, espresse la propria solidarietà con la maggioranza degli Eredi presenti. In breve avrebbero emesso le disposizioni per portare a termine l’arduo compito. Posero un’unica condizione: solo coloro che avrebbero partecipato in prima persona alla missione sul campo sarebbero stati messi a conoscenza dell’intero piano. La divulgazione di informazioni tanto delicate avrebbe potuto compromettere l’intera operazione qualora qualcuno fosse stato catturato e interrogato: la Lobby aveva metodi decisamente persuasivi per indurre le persone a parlare. Non ebbi nulla da obiettare, tutt’altro, mi trovavo perfettamente d’accordo: meno persone sapevano, meno possibilità di essere scoperti ci sarebbero state. Pertanto, io stesso, per dare l’esempio e convincere anche tutti gli altri che fosse l’idea più logica e razionale da seguire, dovetti farmi da parte e accettare di rimanere all’oscuro. In fin dei conti, per svolgere il mio compito non mi sarebbe servito a nulla conoscere i dettagli del piano per recuperare i libri… mi servivano unicamente quei libri.

Solamente in un secondo momento venni assalito da un terribile cruccio: sin dove erano disposti a spingersi pur di ottenere un risultato? E non pensavo minimamente all’infrazione di assurde e irragionevoli leggi sulla censura, ma a tutt’altro tipo di reato. Cercai di mettere a tacere quei dubbi assillanti che come tarli si erano insinuati nei miei pensieri diventando un ritornello costante. Riuscirono a trasformare quell’attesa nella più lunga e tormentata della mia esistenza.

Non chiusi occhio per giorni. Nemmeno quando fece ritorno il manipolo di Eredi con i libri potei davvero trarre un sospiro di sollievo. Sì, ero elettrizzato di poter tenere tra le mani oggetti tanto preziosi, custodi di chissà quali segreti, eppure non riuscivo a scacciare dalla mente oscure congetture. Ma nulla valse indagare con discrezione sulle dinamiche del piano. Non trapelò la benché minima informazione dalle labbra degli incaricati. La loro lealtà al Consesso era inamovibile.

Per smettere di pensare mi gettai a capofitto nel progetto. In qualità di docente potevo vantare qualche piccolo privilegio, come ad esempio approfittare della disattenzione del Rettore quando dimenticava di chiudere a chiave il settore riservato della biblioteca dell’Università, nonché della sua ingenuità per abbindolarlo con falsi complimenti e cavargli di bocca qualche informazione utile. In fondo, se si lasciava intortare con tanta facilità, perché mai mi sarei dovuto fare tante remore? Forse il mio comportamento non si sarebbe potuto definire irreprensibile, ma quello di chi non lo era? Chi in quella società di facciata avrebbe potuto affermare di non aver mai approfittato delle proprie doti per trarne un qualche vantaggio? Sarebbe stato un terribile spreco. Comunque sia, la mia posizione di docente con specializzazione in studi storici mi aveva conferito, seppur minimamente, di ampliare le mie conoscenze linguistiche oltre la “neolingua” e risalire sino al periodo appena successivo all’epoca in cui doveva aver vissuto l’Osservatore di cui leggevo le memorie. L’aver acquisito qualche nozione in più rispetto alla media della Massa lo avevo sempre considerato un vanto. Si trattava di piccolezze, per lo più, ma in quel frangente si dimostrarono assolutamente provvidenziali. Grazie alle mie competenze e agli intensi studi degli ultimi tempi, riuscii a destreggiarmi egregiamente tra le pagine dei libroni censurati su cui le mie mani si muovevano con la delicatezza di una piuma. Non avrei riservato cotanta cura a nessun altra cosa.

Gli Eredi mi misero a disposizione alcune delle menti più colte affinché avessi la possibilità di sveltire il lavoro e ottenere nel minor tempo possibile dei risultati. Una responsabilità non da poco. Lo trovai curioso dal momento che, sino ad allora, non ero mai stato tenuto in gran considerazione. Molte delle personalità che potevano affermare di avere una posizione privilegiata all’interno dell’Organizzazione erano coloro che svolgevano quel che simpaticamente mi divertii a definire “lavoro da spia”. Il loro ruolo era di primaria importanza, infatti, malgrado quanto avessi supposto in un primo momento, non erano certo degli incoscienti pronti a gettare al vento la propria vita. Avevano trascorso mesi, per non dire anni, a valutare tutte le misure di sicurezza messe in atto dalla Lobby per controllare gli apparati statali della società e i luoghi pubblici, conoscevano a menadito la posizione di ogni telecamera o microfono nascosto e, viceversa, sapevano quali fossero i punti ciechi del sistema di monitoraggio e avevano altresì attuato delle efficaci strategie per poter eludere i controlli. Naturalmente, tutto quello non sarebbe stato possibile senza la presenza di infiltrati nelle alte gerarchie. Evidentemente persino qualche plutocrate aveva una coscienza, o perlomeno provava un certo senso di colpa a governare su un branco di marionette non-pensanti.

Io, d’altra parte, non avevo mai goduto di tanta visibilità. Non di quella dalla quale si vorrebbe essere circondati. Appena entrato a far parte di quel mondo di cospiratori e ammiratori degli Osservatori, venni guardato con diffidenza. La mia credibilità come sovversivo era prepotentemente minata dalla posizione di rilievo che rivestivo all’interno della società, sebbene non avessi la minima voce in capitolo sulle decisioni prese dai plutocrati; l’unica reale differenza tra me e la Massa era la quantità di fili con cui i burattinai ci tenevano sotto scacco. Ma come biasimare la loro reticenza? Tra i volti che ebbi modo di incrociare tra le file di Eredi ne riconobbi alcuni, sicuramente ex studenti che avevano avuto modo di tracciare un profilo ben dettagliato dell’individuo che ero: rigoroso, ossequioso delle regole, dedito al lavoro e poco incline a contravvenire alla condotta che la Lobby consigliava di adottare. Ho usato il termine “consigliare” perché era lo stesso che propinava la Lobby per non risultare dispotica o con tendenze impositive, ma in realtà un comportamento dissimile da quello ritenuto “socialmente appropriato” finiva con l’essere osteggiato in tutti i modi possibili, tant’è che alla fine si era indotti, volenti o nolenti, a uniformarsi alla sua volontà. Nei primi tempi ebbi la sensazione che molti Eredi avessero addirittura pensato che potessi essere una spia mandata per sventare l’Organizzazione. Fortunatamente furono costretti a ricredersi quando mostrai loro il memoriale. Stupiti ed eccitati, si erano subito interessati alla mia storia, per quanto banale fosse stata la circostanza in cui ero entrato in possesso di un oggetto tanto raro. Tra espressioni allibite e invidiose divenni ben presto un nome noto, e la mia fama crebbe quando si resero conto che le mie competenze potevano aiutarli a perorare la loro causa. Arrivarono persino ad affibbiarmi scherzosamente l’appellativo “il prescelto”.

In qualunque caso, quale che fosse il vero motivo per cui ero entrato a far parte dell’Organizzazione Anti-massificazione, che fosse dipeso dalla sorte o dalla volontà di qualcuno, la cui identità non mi è dato conoscere, era mio preciso dovere assolvere al compito per cui ero stato chiamato ed esprimere al meglio le mie potenzialità: decifrare codici, tradurre nella neolingua parlata dalla Massa i passi più significativi del memoriale… mettere a disposizione le mie conoscenze in merito alle informazioni che, stando alla legge cui ero sottoposto, non avrei potuto divulgare.

Ogni fibra del mio corpo era percorsa da brividi di eccitazione.

Il periodo successivo al rinvenimento di quei volumi fu un susseguirsi di giornate trascorse tra pesanti manuali, taccuini, appunti e memoriali. Lo studio che mi avevano messo a disposizione, posto nei sotterranei della sede dell’Organizzazione, assomigliava ad una vecchia cantina polverosa. Fortunatamente non ne conservava il peculiare odore di muffa e stantio, né l’umidità, in tal caso sarebbe stata la rovina per i miei preziosi libri. Relegato in quell’antro male illuminato da una sfarfallante lampadina, feci entusiasmanti scoperte. Una delle prime conclusioni che riuscii a desumere dall’analisi comparata tra i nuovi testi e il memoriale fu la tendenza della Lobby a tacciare come lesivo o pericoloso per la società qualsiasi forma di pensiero che contravvenisse a quello che propugnava come “credo dominante”, la cui legittimità era stata garantita grazie ad un solido impianto giuridico. Così facendo, chiunque si fosse dimostrato ancora fedele ai vecchi valori sarebbe stato considerato un trasgressore della legge. In altre parole: un criminale. Il risultato? L’adesione in massa al Credo della Lobby, ottenuta con allettanti slogan atti a mascherare un ben congegnato sistema coercitivo -tenuto conto che, pur sostenendo la libertà di scelta, consideravano criminale chiunque non la pensasse come loro-.

Che giornate assurde!

Un vortice di parole, pensieri, idee prendevano forma nella mia mente in un caotico groviglio incoerente di teorie che potessero giustificare un tale comportamento. In fondo, anche qualora fossi riuscito a venire a capo dell’astuto piano messo in atto dalla Lobby, sarei stato ugualmente incapace di comprendere le motivazioni per cui aveva agito in quella determinata maniera. Perché mai desiderare di poter governare su una società popolata da Ominidi di Serie, sottomessi ed eterodiretti, persuasi di essere liberi e autodeterminati, nonché convinti di essere fortemente connessi ad un’identità arbitrariamente scelta? Identità che, essendo considerata come “eccessivamente fluida”, non poteva se non risultare “liquefatta”. Perché i plutocrati glorificavano l’UOMO NUOVO?

Tanto il professore che ero, quanto l’Osservatore prima e io stesso negli anni della maturità non riuscivamo a comprendere quale soddisfazione potesse derivare dal governare su una massa di automi. Non aveva il minimo senso! O forse solo menti avide di potere, amanti degli intrighi e della manipolazione potevano realmente concepirlo, sino al punto di arrivare a costruire un meccanismo in grado di essere perpetuato.

(Continua)

 

Inserito il:18/09/2019 16:40:15
Ultimo aggiornamento:06/10/2019 19:12:21
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