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La crisi delle telecomunicazioni europee: i costruttori
di Achille de Tommaso
L’ecosistema del digitale rappresenta oggi il 4,7% del PIL europeo, con un valore di mercato di circa 1.000 miliardi di euro nel 2023. Le telco guidano gli investimenti nel settore digitale con una quota del 60% sul totale di 115,5 miliardi investiti, poi ci sono i fornitori di contenuti e applicazioni (30%) e infine produttori di hardware (10%). Un comparto che dà lavoro direttamente a oltre 537.000 persone in Europa, cui si aggiungono 376.000 occupati nell’indotto e oltre 100.000 con contratti diversi (Agenda Digitale).
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Ma dietro questi numeri si nascondono diverse criticità. Per la prima volta in dieci anni, nel 2023 gli investimenti totali nel solo settore delle telecomunicazioni in Europa sono diminuiti del 2%, passando da 59,1 a 57,9 miliardi di euro. Un dato ancora più preoccupante se confrontato con altre aree del mondo: gli investimenti pro capite nelle telecomunicazioni in Europa (117,9 euro) sono la metà di quelli statunitensi (226,4 euro) e inferiori a quelli di Giappone (187,6 euro) e Corea del Sud (173,1 euro).
Prima di addentrarci nel tema della crisi, è bene ricordare un'epoca d'oro. Prima della caduta dei monopoli, le telecomunicazioni in Europa prosperavano. In Italia, la SIP, Società Italiana per l'Esercizio Telefonico, era un'eccellenza. Negli anni '80, venne insignita del premio per il miglior bilancio a livello internazionale, un riconoscimento che testimoniava la sua solidità finanziaria e la sua efficienza operativa. La SIP era tecnologicamente all'avanguardia, capace di sviluppare soluzioni innovative come la teleselezione, il Progetto Socrate, un ambizioso piano per la digitalizzazione della rete telefonica italiana, che la poneva all'avanguardia in Europa. Ricordo inoltre l'introduzione della telefonia mobile RTMS, un'altra pietra miliare dello sviluppo tecnologico italiano.
Ma cosa è successo poi?
LA CRISI DEI COSTRUTTORI – LA PROSPETTIVA STORICA
Il cuore di questa crisi risiede nella profonda e rapida (forse inaspettata) trasformazione che ha investito anche il settore dei costruttori di infrastrutture.
Prima della liberalizzazione, ogni grande nazione europea poteva vantare propri campioni nazionali nella costruzione di apparati per telecomunicazioni (soprattutto centrali di commutazione). I più importanti:
- Italia: Italtel e Telettra. E Face Standard (poi inglobata in Alcatel, che adesso è parte di NOKIA)
- Francia: Alcatel (poi fusa con Lucent)
- Regno Unito: Marconi
- Germania: Siemens (adesso ha abbandonato le tlc e si occupa di treni)
- Spagna: Standard Eléctrica (ITT-Standard Eléctrica)
- Finlandia: Nokia
- Svezia: Ericsson
- Paesi Bassi: Philips (settore telecomunicazioni)
Questi costruttori, operando in un regime di monopolio, beneficiavano di un mercato protetto. Ad esempio, Alcatel raramente competeva in Italia con Italtel e Telettra. Questo sistema, se da un lato garantiva margini elevati sia per gli operatori che per i costruttori; dall'altro frenava l'innovazione: i costruttori erano “pigri e tranquili” perché il mercato era stato garantito dal monopolio e avevano “grande flessibilità nei prezzi”.
Ma la svolta cruciale avvenne con la caduta dei monopoli delle telecomunicazioni in Europa (1998) e in UK già nel 1981. Con la liberalizzazione dei servizi, si aprirono anche i mercati dei costruttori. E le conseguenze furono devastanti.
La tecnologia delle centrali telefoniche, da elettromeccanica era già andata rapidamente orientandosi verso il protocollo IP, dove (per intendersi) i router prendevano il posto dei tradizionali sistemi di commutazione elettromeccanici e TDM.
Aziende come le statunitensi Cisco, e Avaya, leader nella produzione di apparati IP, entrarono quindi prepotentemente nel mercato, con “centrali telefoniche IP” offrendo soluzioni innovative e competitive e prendendo in contropiede i costruttori tradizionali, “pigri nell’innovare”. Come esempio, Italtel, sorpresa da questa necessità di “innovazione IP inaspettata”, e non avendo prodotti propri, negli anni ‘90 ha cominciato a integrare le piattaforme Cisco nei propri progetti di migrazione dalle reti TDM, contribuendo in modo sostanziale all’adozione delle tecnologie Cisco da parte di telco, grandi aziende e pubbliche amministrazioni in Italia e in Europa.
Parallelamente, i produttori cinesi, come Huawei e ZTE, iniziarono a scalare posizioni, erodendo quote di mercato ai costruttori europei con politiche di prezzo aggressive.
Da allora, i costruttori europei hanno iniziato un lento declino. Hanno faticato a adattarsi alla nuova realtà competitiva, a innovare e a competere con i colossi americani e cinesi. Questo declino è il risultato, comunque, di una serie di vari fattori:
- Una regolamentazione miope: L'Unione Europea ha spesso imposto normative eccessivamente stringenti, che hanno penalizzato gli operatori e i costruttori europei, favorendo la concorrenza esterna. Ad esempio, le eccessive regolamentazioni sui prezzi hanno compresso i margini degli operatori, limitando gli investimenti anche dei costruttori in nuove infrastrutture e in ricerca e sviluppo.
- Mancanza di protezione: L'Europa non ha saputo proteggere le proprie industrie strategiche, aprendo il mercato a concorrenti agguerriti senza imporre le stesse regole del gioco.
- Eccesso di regolamentazione: Come detto, la complessità e l'eccesso di regolamentazione hanno soffocato l'innovazione e la competitività.
- Gestione di interessi privati: Talvolta, decisioni politiche e regolamentari sono state influenzate da interessi privati, a discapito del bene comune e della crescita del settore
LA CRISI DEI COSTRUTTORI – LA SITUAZIONE ATTUALE
Il Disallineamento tra investimenti e ritorni degli operatori europei
- Gli operatori europei hanno investito oltre 500 miliardi di euro in reti fisse e mobili dal 2005 al 2023 (ETNO 2023), ma i ritorni sono stati inferiori a causa della saturazione del mercato e della corsa al ribasso dei prezzi.
- Inoltre, gli operatori non monetizzano direttamente i dati o la pubblicità, come fanno invece i grandi OTT (Google, Meta, Amazon), che utilizzano le reti telco senza contribuire ai costi di infrastruttura.
Innovazione e digitalizzazione concentrate negli USA
- Gli USA sono sede delle maggiori piattaforme digitali (Apple, Amazon, Google, Meta, Microsoft), che controllano l’ecosistema digitale.
- Le telco americane si sono integrate verticalmente (es. AT&T con media, T-Mobile con edge computing), creando nuove fonti di ricavo.
- La maggiore flessibilità normativa ha permesso sperimentazioni su 5G privato, slicing, AI nelle reti, FWA, cloud-native architecture.
Ritardo tecnologico su fibra e 5G
- Nonostante alcuni progressi (come il rollout FTTH in Francia e Spagna), molti paesi UE – Italia in testa (dovrei dire “in coda”) – hanno ritardi cronici nell’estensione della fibra e nella copertura 5G.
- L’Italia, ad esempio, ha copertura FTTH sotto il 45%, e solo 40% di popolazione coperta da 5G “vero” (standalone) (Fonte: DESI 2023).
- Negli USA, la copertura 5G (incluso 5G+ e mmWave) supera l’82%, e gli investimenti sono stimolati anche da programmi federali (BEAD, Infrastructure Act).
Incertezza sugli standard e sulle politiche industriali
- L’Europa ha perso la leadership tecnologica che aveva con il GSM negli anni ’90.
- Oggi i principali standard di rete sono guidati da consorzi globali dominati da USA e Asia.
- L’assenza di una politica industriale unificata per le telecomunicazioni e l’incertezza su iniziative come l’EU Chips Act o l’European Cloud hanno generato confusione.
Le Costose Aste Per Le Frequenze 5g E Il 6g
Le aste per le frequenze 5G hanno drenato circa 29 miliardi di euro dalle casse degli operatori europei, dissanguandoli; risorse che avrebbero potuto essere investite nello sviluppo delle reti. Il rapporto Draghi suggerisce di armonizzare a livello UE le licenze dello spettro, aumentare la durata delle concessioni e ridurre le riserve di banda.
Nokia ed Ericsson
Dopo anni difficili per i principali operatori europei delle infrastrutture di rete – inclusa la finlandese Nokia – la ripresa degli investimenti da parte degli operatori mobili, in particolare nei mercati emergenti come l’India, sta, forse, oggi, offrendo segnali positivi.
L’analista di Bloomberg Intelligence, Matthew Bloxham, ha sottolineato che Ericsson potrebbe resistere meglio del previsto alla pressione dei dazi, grazie a una combinazione di tagli ai costi, preaccumulo di componenti e solidità nella gestione operativa.
- Questi due storici colossi stentano comunque a tenere il passo con l’innovazione asiatica (Huawei, ZTE) e americana (Cisco, Juniper).
- La pressione geopolitica ha imposto il bando di Huawei in molte nazioni UE, ma Nokia ed Ericsson non sono riusciti, e non riescono, a trarne vantaggio duraturo in termini di quota di mercato o crescita.
- Entrambe le aziende hanno subito forti riduzioni di personale (Nokia ha annunciato nel 2023 il taglio di 14.000 posti) e una drastica contrazione dei margini operativi.
IL RITARDO EUROPEO SUL FRONTE DELL’INNOVAZIONE
Sul fronte dell’innovazione tecnologica, l’Europa mostra un ritardo preoccupante in alcune aree strategiche. La copertura 5G stand alone – cioè, la versione più avanzata del 5G – ha raggiunto il 40% della popolazione europea, contro il 91% del Nord America e il 45% dell’Asia-Pacifico. Anche nel cloud edge computing l’Europa insegue, con solo 320 nodi edge operativi contro un obiettivo UE di 10.000 nodi entro il 2030.
Il sostegno all’innovazione tecnologica e l’importanza strategica del 6G
Un altro aspetto fondamentale riguarda il sostegno all’innovazione tecnologica. L’Europa deve accelerare sulla realizzazione delle reti 5G standalone, cruciali per abilitare nuovi servizi e applicazioni industriali. Il gap attuale con Nord America e Asia richiede investimenti stimati tra i 25 e i 30 miliardi di euro solo per raggiungere una copertura completa con frequenze mid-band. Parallelamente, serve uno sforzo coordinato per lo sviluppo del cloud edge computing, dove l’obiettivo dei 10.000 nodi edge richiede un’accelerazione significativa degli investimenti.
Il rapporto Draghi sulla competitività europea e il rapporto Letta sul mercato unico identificano il settore delle comunicazioni digitali come cruciale per guidare l’innovazione e migliorare la produttività. Ma evidenziano anche come l’attuale quadro regolamentare e di politica della concorrenza, sviluppato nell’epoca del “monopolio del rame”, non sia più adatto allo scopo perché cerca di preservare artificialmente uno status quo che non esiste più.
Conclusione
La crisi europea delle telecomunicazioni è il frutto di scelte regolatorie miopi, di mancanza di scala, e di una incapacità di adattarsi ai nuovi modelli digitali. Al contrario, gli USA, pur con un mercato più concentrato, hanno saputo integrare tecnologia, regolazione e finanza, e hanno lasciato spazio a nuove sinergie tra operatori e OTT, stimolando investimenti e innovazione.
OGGI E DOMANI: Le aspettative sul Digital Networks Act
La nuova Commissione Europea, in carica da dicembre 2024, avrà un ruolo chiave nel tradurre queste indicazioni in azioni concrete. L’annunciato Digital Networks Act, finalizzato a promuovere la connettività sicura ad alta velocità, sia fissa che wireless, rappresenta un’opportunità per ridisegnare il quadro normativo del settore in una direzione più favorevole agli investimenti e all’innovazione.
AUGURI!