Aggiornato al 21/11/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire
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Anna Maria Maddalena Dilevrano - Milano s'ammanta di nebbia - 2011/2012


Nostalgia di Milano.

 

Sarebbe più giusto dire nostalgia di una Milano che non c’è più e nella quale sono stati riversati molti anni di una gioventù, la mia. Quindi nostalgia di Milano vuole dire anche nostalgia di quegli anni, di quella gioventù, di quelle speranze.

La prima volta che sono venuto a Milano è stato per fare un secondo colloquio di selezione alla Olivetti, dopo il primo fatto a Roma con Furio Colombo presso la magnifica vecchia sede dell’azienda in Piazza di Spagna. Il colloquio a Milano era fissato per il pomeriggio di un certo giorno di settembre con Ottiero Ottieri, noto scrittore e che aveva poco prima pubblicato il famoso “Donnarumma all’assalto”, dove raccontava in modo straordinario la sua esperienza di selezione a Pozzuoli in occasione dell’avviamento della nuova fabbrica Olivetti, bella, di fronte ad uno splendido mare, la prima operazione di investimento di una impresa del nord industriale nel cosiddetto mezzogiorno di Italia.

Sono arrivato a Milano lo stesso giorno del colloquio  al mattino con la Freccia del Sud, il famoso treno che ha portato al Nord in tanti decenni milioni di emigranti ed innumerevoli valigie di cartone, il treno cantato in una splendida poesia siciliana da Ignazio Buttitta di Bagheria (la stessa città ed ambiente di Guttuso e della Maraini) noto poeta e cantore del cuore della Sicilia. Il treno da Palermo, la città dove vivevo e che mi ha visto crescere, a Milano impiegava allora 23 ore attraversando il paese e offrendo la sensazione di passare per aree molto diverse che la natura per scherzo aveva accostato. Un treno pieno di tanta gente povera ma allegra, forse per contegno e per non scoprire il proprio stato d’animo, che manifestava  tanta voglia di fare pensando di sapere cosa e dove,  lasciava amori, affetti, amicizie, colori e profumi per il lavoro, per conquistare la propria dignità.

Arrivato a Milano ho cercato subito una pensione perché dovevo riposare qualche ora e ripulirmi, rendermi presentabile. La trovai, la pensione Duca che ora è diventata un albergo, proprio nella piazza antistante la Stazione Centrale a sinistra.  Uscendo dalla Stazione Centrale di Milano, per un provinciale come me arrivato dal profondo Sud lo scenario era affascinante, proprio bello. A destra il grattacielo Pirelli di Gio Ponti, allora della azienda Pirelli e non ancora rifilato alla Regione Lombardia che lo utilizza come una delle sue magnifiche e inutili varie sedi, di fronte Via Vittor Pisani (un boulevard nostrano) con Piazza della Repubblica che si intravede, mentre i tram vanno e vengono, la gente  cammina spedita e quell’odore. L’odore di carne lessa misto a quello di catrame fumante che per me è rimasto per sempre l’odore di Milano.

Nel pomeriggio il mio colloquio con Ottiero Ottieri fu splendido e indimenticabile. Due persone che si scambiano opinioni su un sacco di cose, che commentano, che si alzano a passeggiare nell’ufficio al secondo piano dello splendido palazzo Olivetti di Via Clerici in pieno centro, che esprimono dubbi, che ritrovano spunti di interesse comune e modi coincidenti di interpretare vicende, che cercano di capire se la speranza è un sentimento che può guidare la vita di un uomo o piuttosto non rappresenti un sistema di fuga dalla realtà.

Sono stato assunto, ho cominciato a lavorare in Olivetti come si usava dire, ho fatto i miei corsi di formazione e ho iniziato il mio percorso. Le prime esperienze sono state dure ma interessanti a  Genova e Roma, dove ho lavorato con due capi bravi come Boccaccio e un personaggio come Franco Leoni (splendido gentiluomo). Dopo mi hanno trasferito a Milano togliendomi dal gruppo cui ero stato aggregato (allora in Olivetti i laureati li assumevano in gruppi per facilitare la programmazione e il controllo del loro percorso), per punizione e come conseguenza di un giudizio negativo espresso non da chi mi aveva visto lavorare ma da chi aveva coordinato uno strampalato corso intermedio di perfezionamento, una persona che nella azienda contava molto ed era considerata un grande e (soprattutto) misterioso professionista. Ho avuto allora la sensazione che ogni tanto qualche testa doveva cadere se non altro per dimostrare l’efficacia di questi corsi (ma forse non ero imparziale onestamente). Da quel momento il mio percorso professionale è stato molto faticoso e non sono mai riuscito a cancellare la violenza subita che ho sempre ritenuto ingiusta, ma non mi sono mai lamentato e non l’ho mai esibita. Dunque, pur essendo stato successivamente in varie sedi nazionali ed anche estere, cambiando attività, capi e prospettive di volta in volta, ho adottato definitivamente Milano, che è rimasto il posto di casa, dove ritrovare il passato almeno da una certa svolta di vita in poi. E anche dove mi sono sposato e dove presumibilmente  finirò con il lasciare la vita.

E quindi ho cominciato a viverla questa città dalla fine degli 50. L’ambiente era accogliente (a parte la nebbia che allora era presente spesso, al contrario di quanto accade oggi), c’era sì diffidenza verso i meridionali tanto è vero che quando qualcuno voleva farmi un complimento mi diceva che proprio non sembravo meridionale non rendendosi conto che così mi offendeva  e mi costringeva ad una gentilezza formale non sentita, ma non posso dire che la situazione era difficile e antipatica  come per esempio a Torino, dove però, ad onor del vero, erano arrivati in un tempo brevissimo migliaia e migliaia di meridionali (controllati in origine da carabinieri e preti) per lavorare e riuscire a vivere loro e le loro famiglie.  La famosa operazione di Peyron, noto Sindaco di Torino e di Gaudenzio Bono, Vice Direttore Generale Fiat, con obiettivo di dare buona e docile manodopera alla azienda (la Fiat) e nello stesso tempo far diventare democristiana la città.

Ho vissuto in vari quartieri di Milano, anche se quello cui mi sento più legato (oggi che vivo in una borgata vicina, autonoma e devastata) è quello di Piazzale Lodovica dominato dalla presenza sempre più che mai incombente della Bocconi, perché è una zona dove insieme convivono abitazioni private, negozi, studi professionali, artigiani, alloggi per studenti che trovi in tutti i bar, ristoranti e locali dell’intorno. Insomma una zona come erano le città, qualsiasi città prima di andare verso il criterio della specializzazione urbana (le zone con gli uffici e le aziende, quelle per vivere, quelle per comprare, quelle per divertirsi, quelle per fare sport). Un criterio che, scommetto, presto finirà per essere rivisto perché l’uomo in definitiva non è e non può essere un pacco e non gli si può togliere del tutto il libero arbitrio e la voglia di mischiare le vicende, tutte le vicende della propria vita.

È stato facile trovare amici e compagni con i quali condividere discussioni, cene, spettacoli, esperienze. Soprattutto tra i tanti che come me non erano di Milano e che quindi erano nella fase della costruzione di una nuova vita, di un nuovo ambiente.

Ricordo con piacere il palermitano Mimmo Marino a casa della gentile famiglia del quale, a Pavia, andavo spesso per il pranzo domenicale, Mario Unnia che conoscevo per contatti universitari precedenti quando si faceva insieme politica nell’Unione Goliardica Italiana, Paola Pieraccini, una splendida toscana, affettuosa,  intelligente e sempre pronta a darti una mano o un consiglio, Lionello Cantoni, geniale e bizzarro amico con il quale si è stabilita una frequentazione durata tanti anni e che spesso mi ha aiutato in varie vicende personali e professionali, Marisa Bellisario, sfortunata, indimenticabile e carissima amica che sposò successivamente Lionello.  Ed ancora Peppino Perrotta con il quale abbiamo diviso tanti pezzi di strada ed idee in un rapporto più fraterno che amichevole, come con Nicola Colangelo, l’ amico di sempre oggi prigioniero di una malattia cattiva che mi lascia una tristezza profonda. Ma tanti altri negli anni come Carlo Peretti (già con esperienze personali e professionali internazionali predestinato a grandi cose), Giuliano Caldiroli (con le sue cene, il suo volontariato e la sua simpatia e che poi ha sposato la bellissima Flora), Toni Fasoli (un vogherese che somigliava ad un cow boy, un tecnico che sembrava un giocatore professionista di poker), Umberto Padalino (milanese di atteggiamento e di cultura pugliese, fumava la pipa e ogni  tanto faceva discorsi strani non so ancora se per finta o seguendo un estro), Luigi Lanaro (genovese e bello, elegante, distratto e proiettato nel futuro sempre), Michele Pacifico (filosofo, scriveva bene, di origine napoletana e con un padre militare, sempre ansioso di far carriera), Marcello Polidori (amava la batteria, il caviale, il patè e le donne), Ciccio Dusio (di Casale affettuoso e sempre disponibile per qualsiasi avventura), Dino Spagnuolo (un abruzzese teatino, suonava il piano splendidamente, parlava inglese, uno di cui ho sempre cercato di seguire le orme e con una splendida famiglia),  Raimondo Peri (un cattolico entusiasta) , Wanda Anselmetti (ci siamo ritrovati anche in altri posti per lavoro, da Palermo a Roma, con tante serate a chiacchierare), Ildo Frediani (di Fucecchio coi suoi motti e la praticità campagnola), Renzo Tagliapietra (che ha avuto il merito di introdurmi nel mondo dell’Amarone), Tommaso Moro (un genovese che ha poi lasciato il cuore a Valdagno), il caro Peppino Cesareo (di Pagani ma re a Vietri sul mare), Giuliano Bezziccheri con il quale abbiamo condiviso tanti anni di lavoro, amici, discussioni e serate. Tanti, tanti ed è stato bello conoscerli e frequentarli.

Si andava in un Ristorante di quelli toscani veri diffusi a Milano e che costituivano la base del sistema della ristorazione milanese, come quelli abruzzesi lo erano a Roma. Si chiamava “Alla bella toscana” ed era gestito da una famiglia con la quale è nato un rapporto di amicizia che non si è mai interrotto, una delle due figlie del patron, don Cesare come lo chiamavamo, ha poi sposato un amico, Antonio Curatolo, con il quale a Palermo avevamo studiato insieme e vissuto la vita palermitana ed anche con lui non ci siamo mai persi. Mangiavamo bene, era un punto di ritrovo per tanti di noi, eravamo trattati come in famiglia e ci facevano pure credito sino alla fine del mese. E poi c’era come chef una signora di Caltanissetta (Vincenzina) che faceva fantastiche zuppe, mentre la Signora Lina, moglie del patron, faceva i migliori spaghetti della città (il suo punto di cottura della pasta era assolutamente perfetto). Si andava anche dai Matteoni, di Dario e Alberto cari amici, frequentato per tanti anni, adesso loro non ci sono più, non c’è nemmeno il ristorante, c’è una pizzeria. Con Dario e Alberto si passavano le serate ad andare in giro spesso con l’amico Bindi (quello che ha fatto i soldi con lo zuccotto) per quella Milano trovando gente, bevendo cose, dimenticando, cercando allo stesso tempo.

Ma quella Milano era splendida da molti punti di vista. La musica jazz e americana alla Taverna Mexico con Basso Valdambrini o all’Aretusa con Pezzotta e il povero Dossena poi morto in un incidente in autostrada, la chitarra alla Vecchia Stazione (il vero goulasch e birra ascoltando Bach)  o Alla Parete (salumi e vino ascoltando la musica spagnola con il miglior repertorio di Segovia).  Si poteva andare anche alla Taverna Morigi (gradevole e caldo ambiente con ottimi vini selezionati ma niente musica) o al Praticello (un precursore quasi dei locali con karaoke), o anche a Brera ad incontrare scrittori e pittori al Giamaica, ma era simpatico anche Scoffone, classico locale di stampo austriaco, all’angolo con Via Orefici.

Al Santa Tecla si andava per ascoltare Giorgio Gaber, Adriano Celentano, Ivana Monti, l’aperitivo per esempio da Gattullo dove c’erano giornalisti sportivi, Lino Jannacci magari con Renato e Cochi, Diego Abatantuono e che poi andavano a fare il cabaret al Derby Club. Per l’aperitivo si poteva andare anche al Bar Basso o al Camparino in Galleria. C’era il bar in cima alla Torre del Parco, la Terrazza Martini in Piazza Diaz, nascevano le prime birrerie come il Rosengarten di Piazza Cairoli, i primi locali per ascoltare musica e conversare magari con una ragazza o con pochi amici.

Ma Milano significava anche teatro con il Piccolo allora con Giorgio Strehler e tanto di tutto, dal Lirico al Nuovo, dal Manzoni al piccolo Gerolamo. E significava eventi di ogni genere soprattutto nell’area del disegno, della architettura, della pubblicità, della bellezza (la moda stava diventando importante), ma anche sulla organizzazione aziendale, sulla formazione, sulla società. Sul piano politico funzionavano la Casa della Cultura di Via Borgogna e il Club Turati in Via Brera, ma molte erano le iniziative di tante librerie anche piccole che giocavano un ruolo importante. Un ruolo che è in eliminazione e questo rappresenta una grave sconfitta per la cultura.

Intanto io lavoravo, crescevo, prendevo casa con Nicola Colangelo prima in Via Plutarco vicino alla Fiera, dove organizzavamo feste mitiche e poi in Via Roentgen a Piazzale Lodovica, pendolavo con Ivrea, andavo in giro per il mondo e poi per due anni sono stato in Spagna, a Barcelona, una città che mi è rimasta nel cuore.

Dalla Olivetti tradizionale ero passato da tempo alla elettronica (l’ informatica), sono poi ripassato alla Olivetti quando il gruppo vendette l’elettronica alla General Electric. Nella elettronica ho avuto la fortuna di conoscere persone che mi sono piaciute molto come Ottorino Beltrami (un grande manager ed un uomo di polso) ed Elserino Piol. Quest’ultimo è stato il mio capo per diverso tempo, da lui ho imparato tanto  e siamo ora amici sinceri. Io non avrei fatto tutto quello che ho visto fare a lui e forse ho dato a lui più di quello che ho avuto, ma la genialità del personaggio e la sua capacità di aggregazione delle informazioni sono fuori discussione.

Non so cosa devo nella mia vita e a chi, a tanti che mi hanno voluto bene e sopportato in modo più o meno aperto.  Certamente devo a quella Milano il piacere di essere stato dentro un processo di cambiamento, di ottimismo, di sviluppo, di averlo visto e apprezzato. Una Milano che mi ha fatto crescere e a cui sono legato per sempre, perché la sento mia insieme alla mia Palermo e al paese dove sono nato nel Sud della Sicilia.

 

 

Inserito il:09/02/2015 10:56:04
Ultimo aggiornamento:23/02/2015 10:45:59
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