Norman Rockwell, gigante dell'illustrazione.
Lo spunto è la mostra che si chiude l'otto di febbraio a Roma, a Palazzo Sciarra. Con rammarico, l'ho persa. Ma ho ricevuto in regalo il catalogo, davvero ben fatto. Nell'epoca della illustrazione divulgativa Rockwell esprime la fierezza, il dolore, la delicata ironia, l'amore profondo per la tolleranza e il rispetto dei valori, laici o religiosi che siano.
Era un pittore di smisurata grandezza e tecnica finissima. La sua arte era messa a disposizione di un mezzo di comunicazione: un giornale, anzi, più precisamente, alla copertina di una rivista popolare, il Post. Creò ben 321 copertine in 47 anni. Vi lavorò dal 1916 al 1963, raggiungendo la tiratura di un milione di copie l'anno. Rispettare le scadenze e farsi venire nuove idee, erano il flagello dell'illustratore: aveva solo una prima pagina, e non poteva sbagliare. Per anni raffigurò la famiglia americana felice, sempre con un gatto o un cane, ragazzini sorridenti, babbi natale a dicembre, tacchini nel ringraziamento. Insomma, tutti buoni. La copertina narrava una storia, e quella storia era a lieto fine. Diceva di non riuscire a dipingere i cattivi. Su quella rivista democratica, collaboravano scrittori come Jack London, Agatha Christie, Francis Scott Fitzgerald, Ray Bradbuty, John Steinbeck, William Faulkner. Veniva letta da tutta la famiglia americana. E' un mondo innocente, che ancora precede la "caduta", in cui gli uomini sono amici della natura e della propria natura: il male è l'antagonista, come nelle favole. E mentre se ne parla è già sconfitto.
Col tempo le copertine cambiano, devono stare al passo con i tempi. Fatti di cronaca e mutamenti sociali prendono il posto della famiglia americana ideale. Nella parte finale della sua carriera, la sua produzione è molto più impegnata e "scura": l'ultimo suo dipinto, un omicidio nel sud degli Stati Uniti, è immersa in un buio infernale, rischiarato solo dal bianco delle camicie e dal rosso del sangue. Niente a che vedere con i cagnolini che saltano o le bambine che mangiano il gelato.
Rockwell dipingeva ad olio, dopo aver eseguito numerosi disegni seguendo le fotografie scattate. Quindi la pagina veniva stampata partendo da una vera e propria opera d'arte. Pensava all'effetto che avrebbe fatto la copertina nel chiosco degli edicolanti. Non era solo un illustratore, era in grado di dipingere come gli antichi maestri. Questo sembra dire con il suo autoritratto al cavalletto, dove sono appesi i ritratti di Durer, Picasso, Rembrandt e Van Gogh.
Considerava la pittura come arte nobile, pur essendo al servizio della pubblicità e del giornalismo. Per rispondere a quei critici che pontificavano sulla sua banalità solo perché dipingeva bene, troppo bene.